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L'allure 32 dell'amore infinito ♥ Marisa Aino & V.S.Gaudio

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L’allure 32 dell’ amore infinito. 
Il quadro di Barthes
byMarisa Aino&V.S.Gaudio
(…) o l’arancio se rovesci un giorno se ritorniamo qui a farlo se sposti la carriola e mi prendi sulla scala c’è un segno o perfino la pelle(…) → cfr. la posa del caffè e la psicanalisi 33   La stagione delMedlar-Sky → “pingapa”


L’amore che resiste nel tempo, questo mi disse un giorno
mia moglie che nel tempo tanto amore mi aveva dato e altrettanto
ne aveva ricevuto se non di più per come ne coltivavo immagini e
situazioni nei piaceri singolari infiniti e diuturni, circadiani, dentro la piega
e nell’onda di ogni ciclo del bioritmo, e nell’ analemma esponenziale che veniva
a farsi demone meridiano e dea postmeridiana, della controra e dell’alba,
dei crepuscoli astronomici e nautici, civili, disse mia moglie che l’amore
intanto che cresce e si fa grande e già lo era quando nacque
perché io avevo le trecce e la camicetta con la cravatta e quell’andatura che
quando l’hai vista entrare nel tuo quadro ed eri nella bottega della finta
falegnameria a  fare il guardiano postmeridiano e già allora eri postmoderno
per quell’aria tutta gaudiana che avevi anche quando non mi stavi
guardando passare di bolina attraverso la piazzetta  dall’angolo del caseggiato
di mio nonno ed ero dunque in quella diagonale che stavo andando
e nella tua finestra, come scrisse Roland Barthes[i], la mia andatura
si è fatta quadro e oggetto “a”, hai detto l’oggetto “a” basico, l’assoluto, il mio amore
grande e infinito che mi tiene sull’eclittica, e sempre s’innalza  al mio meridiano
fossi anche in Patagonia o in Mongolia, in piazza Solferino a Torino o in via Roma,
in via Po, al mercato della Crocetta a toccar il culo sabaudo, questo mi disse
un giorno mia moglie e disse ancora che sai a cosa penso spesso a quando
andavamo nella giovinezza del nostro esserci e del nostro amore in campagna
nel giardino dello Zen dell’Arancia di Mia Nonna, e mi prendevi l’amore seduto
su quella sedia impagliata e fu allora che venni al meridiano del gaudio
facevamo la giocosa del Foutre du Clergé de France che è la 32[ii],
che è un po’  quella da cui vengono fuori, a seconda del bioritmo dell’amore,
quella del mondo rovesciato e del mondo aperto e rovesciato, o,
se si vuole far star seduto il mio amore, in mezzo al verde e agli aranci,
quella della misteriosa e del clistere portentoso, e non eravamo in Sud America
con la tua ragazza triatomica, l’elegante cimice nuda,
sudiciamente supina, ovunque dal Sud America chiazzata
te la ricordi? La ragazza triatomica di Chagas[iii]
serena allegra appurata
inchiodata
di fianco, seduta, in piedi
a tergo
tu, con questa ragazza del  Chagas, e io, questo aggiunse un giorno il mio
amore assoluto, che pure come lei inginocchiata, nel tuo quadro
e quell’andatura nella piazzetta, fu così che da immediato oggetto
multiforme a senso ora e sempre mi contieni, Erlebnis appunto noetico
dal volgermi l’amore si  epochizza  per cui sempre mi scopri nuova vita
da cui sfuggo a divenir cosa
il senso della durata, da quegli istanti
i valori infiniti dell’esserci , io è a quel tuo (-phi) di allora che mi enuncio
come fantasma da chiavare, legno che tocca il prato
che sotto il dito e il (-phi) unisce e lega, se schiocca o
se l’intervallo si fa misura, l’erba che stringe tutt’intorno
dentro la luce se è suono, l’arancia che taglia l’aria
da un lato all’altro dove tutto ciò che si leva
quella carriola rotta e la scala appoggiata all’ulivo
se getta i colori il vento, se pieghi l’ombra oppure
inumidisci la polpa, e da un lato all’altro
l’amore mio si leva, intorno e disteso, immerso
piuttosto che più in là
il caldo, la linea d’orizzonte cambi l’ordine,
i segni, le posizioni sulla sedia e sull’erba
la macchia di Lacan, là la vedi? Dove trattiene il
rosso o l’arancio se rovesci un giorno se ritorniamo
qui a farlo se sposti la carriola e mi prendi sulla scala
c’è un segno o perfino la pelle che da allora fruscia
e vola o ronza o se sollevi ligne par ligne il mio corpo
e facciamo la 34 du Foutre du Clergé la chaleur,
l’amour, quel jour, nel giardino di Mia Nonna dello Zen,
où tout ça ne fait plus qu’ un seul geste,
l’amour, adesso che lo ritrovi che cammina,
è differenza dell’amore, fuori niente è cambiato
disse ancora il mio amore infinito: la piega del sole
forza il blu, te lo ricordi quel mio vestitino di seta col
cinturino, maledetto amore mio, di fronte al testo
la felicità passa al limite nudo di un orlo
e non è detto che sia quello delle mutande “La Perla”
e non è sempre l’alba che trascina amore, anche il pomeriggio
non è male per fare la carriola, di fuori dall’aranceto
l’acqua dell’acquaio incrocia l’orizzonte a sud
lì si legano la linea e il sogno, à chaque caresse la figura arriva
dove guarda poiché ti tocca un po’ dappertutto da ogni lato
dove altri la toccano, adesso la ritrovi che cammina,
attraversa la piazzetta o l’aranceto, il sentiero che dal cancello
porta al fabbricato e al pollaio, ci sono alberi, gelsi e fichi,
che pare che siano messi fuori dalla foresta o dal bosco del pantano
sulla strada l’andatura della tua ragazzina quando si incrociano
le linee dei fatti e l’amore cresce e mi prende seduto
che luce lascia il corpo, che cosa taglia ad angolo retto
il nostro libro? Che cosa fa crescere così il nostro amore?
E si fonde eco o caso, legno a ridosso della scala, un po’
pietra o tatto che sotto il (-phi) unisce e lega
e l’inguine perde l’orbita, come mi dicevi amore mio
maledetto e infinito con Vicente Aleixandre[iv]?
sobre muslos de piedra, dolce maschera bianca,
cuerpo feliz que desciende cantando
nodo di presenza, un giorno intatta innocenza
da cui il fuoco il corpo felicità mi stende le braccia
o dove il mondo guancia dove i soli toccano carne
allora sedersi sopra un argine basta allora sedersi
su quella sedia che così posta è la memoria come
filo o saliva o sperma o il crepuscolo rosato, il miele
della mia andatura, dammi solo amore sopra la terra
umida e i trifogli, maravilla lucida labbra, l’acqua misterio oculto o
l’azzurro che si leva, il clamore della terra, alzami quel vestitino
azzurro il cielo felice voglio fiore acqua foglia sete
lamina fiume o vento o infinito laggiù bosco che si cela all’uomo
o una pioggia o se il saraceno da se stesso si allontana
nell’azzurro le arance l’occhio o il palpito di questo mondo
che sento che cade ad occidente dove non c’è il mare
o se c’è da qui non si vede unico, né felice trasparenza
né segreto midollo dell’osso delle tigri, così trema tanto
amor  angelo uccello lieto l’aria quieta la bocca il limone
sopra l’erba  la superficie del polline o il piede o suspiro
o il silenzio, il pulviscolo fine su cui gravita il nome,
che, è un incanto, è proprio sul gaudio che adesso il mio culo
o il fondo de ese mar donde
l’ amore gli abbracci  la giovane delizia


[i] Cfr. Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, trad.it. Einaudi, Torino 1979: in particolare il paragrafo 5. di Rapito in estasi a pag.165 e 166. Vedi anche L’arancia, a pag.94,  per l’obbligo di spartizione; e il Gaudiume laetitia, a pag.47 e 48,  per il possesso perpetuo e il piacere allegro della giovane delizia.
[ii] Cfr. Les quarante manières de  foutre, dédiées au Clergé de France[1790], Librairie Arthème Fayard, 1986. La Giocosa, che, in virtù della radicalizzazione dell’amore assoluto del poeta, può essere sostanzialmente rinominata La Gaudiosa: “Il poeta, seppur ancora in erba , prende posto sulla sedia impagliata nel giardino Zen di Mia Nonna dello zen dell’Arancia. Non è necessario che si abbassi i calzoni fino alle caviglie. L’innamorata futura moglie si mette a cavalcioni su di lui, che l’accarezza e le sta di fronte. Lei fa entrare il (-φ) di Lacan così morfologizzato [in quanto VS Gaudio], e ne fa [in quanto Aino Marisë] l’ αἶνος (leggi:ainos; gr.= lode, racconto) del “genere maschile”(=maris;lat.). Può anche disporsi in senso contrario,il poeta insinua allora le mani sotto le braccia dell’innamorata, e coglie i pomi di Venere di chi è nata di Venerdì: invertendo così la Gaudiosa in 33, che, essendo la Misteriosa, sarà qui denominata la Mistergaudiosa”. Per altro, come omaggio all’innamorata eterna, la Giocosa potrebbe essere titolata l’Ainosa, che ha in sé il sigma del sostantivo greco e la esse del genitivo latino “maris”. Aino Maris, come "lode" o "racconto del genere maschile", allittera anche “Aino Amoris”, come “lode dell’amore” o “racconto dell’amore”: per “amoris” genitivo di amor-amoris.
[iii] Cfr. V.S.Gaudio, Da “La temporalità dell’ombelico”(1973), in: Idem, Lavori dal desiderio, Guanda, Milano 1978:pag.40.
[iv] Cfr. V.S.Gaudio, La Stimmung del 25 ottobre 1977 con Vicente Aleixandre, in: Idem, STIMMUNG, Collezioni di Uh, Cosenza  1984.
Nella foto  Nettie Harris


Il vento e l'amore del poeta adolescente.

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Il poeta adolescente e il vento.
by Marisa Aino & Gaudio Malaguzzi
Il poeta ancora quando era quasi ragazzo e d’aspetto sempre e di più colto, non frequentava cinema ma già amatore di cineserie, non aspetta, sul lungomare, quel pomeriggio, forse già dentro la primavera, la adolescente che già gli ha afferrato l’animus sui banchi di scuola, appena avviata la pubertà, e con quelle sue trecce, e sa che è affascinante la sua ragazza adesso e di delicata bellezza; è uno dei loro primi appuntamenti, ed egli non affronta il vento, che, a conti fatti, a ripensarci ora, non può che essere scirocco per quanto non è detto che non fosse, è logico, grecale; è tardo pomeriggio,ed egli non va sul lungomare con tutto questo vento che gli scompiglia i capelli, non lo sopporta, il giovane poeta capellone, questo longilineo ed ectomorfo individuo che, nonostante sia miope, non sopporta nemmeno gli occhiali e forse neanche le canottiere, che gli ricordano Salvatore Giuliano, specialmente quelle di lana e a banda larga. Il poeta, ancorché sia così giovane, nulla lo umilierebbe di più dell’idea di fare aspettare quella adolescente, già così dentro i suoi solitari pensieri  e anche nei piaceri singolari non solo notturni, saperla lì sul lungomare con quel vento, e sconvolto dal sentirsi scompigliare i capelli, che lo rendono insieme affascinante e geniale, taluni dicono che, a vederlo nel giardino Zen di Mia Nonna, anche sopra il munzillo di pietre dove ci sono i fichi d’India, pare che abbia la figura di Gesù il Salvatore, tanto che, molti lo pensano, pare che chi gli ha dato questo secondo nome questa somiglianza prefigurasse, e perciò questo secondo nome non gli fu dato per prefigurarlo come discendente di Salvatore Giuliano, anche perché l’adolescente poeta pare che fosse un pacifista russelliano ante-litteram[i].
Nei confronti della ragazza che sta amando, egli prova un sentimento misto, forse addirittura triplo, che mescola desiderio, venerazione, rispetto con l’erezione dell’ ”orgoglio peyronico” di Eric Berne, quel quarto grado, che, quando si spiega, include, nella pulsione uretral-fallica dell’adolescente, il proprio orgoglio e il brivido di vanità per il bagliore ainicoche già intravvede nella giovane figura che è la sua ragazza, che ha una bellezza che ha sempre un che di silenzioso e di mistico, di misterioso, con una sensualità sobria e allo stesso tempo tutta dentro la carne, o il tergo, che costituzionalmente ha sempre una bellezza contemplativa, ancorché sia una longilinea ectomorfa[ii].Dalla pulsione trasformativa di contatto, che nasconde i suoi fantasmi oro-anali e fa del suo corpo una mappa di sorprese, abissi, sporgenze, percorsi o fiumi dell’angoscia, ma anche dello splendore profondo in quanto pianeta immenso per la navigazione eroica.
VS su un muretto del lungomare: con a fianco la A cerchiata
dell'ammascatura: scritta apparsa 4 lustri dopo quell'
appuntamento bucato dal poeta adolescente per il vento
Egli, con quel vento, allora, non si è recato a quell’appuntamento. E quindi parve allora, quel giorno, che non ci sarebbe stata poi una lunga serie di appuntamenti, e lì sul lungomare la loro storia non potrà diventare un inesauribile deposito di ricordi. Qualcosa, quel pomeriggio, dice bruscamente all’adolescente, mentre dalla finestra, che dava verso la ferrovia e il mare, guardava il fluire dell’acqua dalla fontana pubblica: “Qui il tuo matrimonio non comincia”. Cosa è successo negli astri, nei cieli delle stelle fisse, dei punti arabi, nella contabilità degli angeli, nel ronzio della matematica della genetica e del dispositivo di sessualità? Ebertin, poi, nella sua “Cosmobiologia” che dirà mai del passaggio di Urano sull’Ascendente della ragazza in amore col giovane poeta?  Lei dunque non appoggerà la mano sul braccio del giovane poeta, e non avrà inizio quel percorso che non avrà fine, è bastato  il levarsi del grecale o l’ostro-scirocco che fosse? E se fossero stati a Trieste, un po’ di bora e…niente, amore mio, odio il vento e, anche a Cervia, il garbino non mi andava giù, anche il rezzo o un groppo, un semplice spiffero tra i miei capelli mi inquieta l’anima e mi scompiglia il (-φ) manco fossi Sansone e non semplicemente un poeta adolescente che dentro l’acronimo del nome reca l’omaggio genetico al brigante Salvatore  Giuliano, per questo, poi, quando mi farai quella foto sui fichi d’India, che cosa diranno i visionatori? Ma questo non è un giovane poeta, è Gesù Cristo nel giardino dell’arancia di Mia Nonna dello Zen!
Il rapido passo di una donna che s’avvicina lo fa trasalire, è il giorno dopo, e mancano pochi minuti all’apparizione di un angelo,ed è ciò che entra nell’orecchio[iii], un’amica dell’adolescente amata del poeta che gli domanda:”Perché non sei venuto ieri all’appuntamento?”
Il giovane poeta affascinante, che è un incendiario, per via della pulsione uretrale e del vento che gli scompiglia  la poesia e i capelli, a volte ha anche sonno, e specie di pomeriggio pensa che la giovane donna affascinante, che ama concentrare i significati ma anche sorprendere per le soluzioni sensoriali estreme, non vada all’appuntamento per via del vento, e si addormenta, prende sonno fino a sera, e allora risponde a Sara Gallerano, quantunque fosse senza l’ermellino[iv], come se rispondesse a una ragazza timida che gli chiede un’indicazione, non degnandola nemmeno di uno sguardo: “C’era vento!”

Il vento soffia anche in "La Centaura e il Poeta":
ma quella è un'altra microstoria...di Simona Pisani!


[i] Ci si riferisce a Bertrand Russell(1872-1970), la cui opzione pacifista si era precisata e radicalizzata con la creazione del “Tribunale internazionale contro i crimini di guerra nel Vietnam”.Ma nel riferimento a Bertrand Russell sottentra Marriage and Morals, di cui il poeta adolescente aveva il pocket Longanesi del 1966: “Matrimonio e Morale”, traduzione di Gianna Tornabuoni.
[ii] Che, per questa tipologia costituzionale, la ragazza, che pesa quanto dovrebbe pesare una normolongilinea ectomorfa al livello più basso, e che, per questo indice costituzionale che può essere, per il waist, sotto 50  e, per i seni, sotto 53, così giovane delizia ha ancora l’indice del pondus medio, tra 31 e 27, fin quando, una volta che il matrimonio è cominciato, si farà medio-alto, tra 26 e 21.
[iii] Plutone che passa sulla Luna della giovane amante; il Nodo lunare che sta per raggiungere il Nodo del giovane amato ed è in transito equidistante tra il Nodo di questo e il Nodo della fanciulla, con l’allineamento stesso di Urano, l’Urano del vento e della pulsione sorprendente e meridianica, demonica della ragazza, sul punto più freddo  del meridiano e dell’Herkunft del poeta. Posta la pulsione di sorpresa, che nei fattori pulsionali di Leopold Szondi si pone come connettore tra spinta pulsionale di tipo E e quella di tipo HY, come motore del punto “f” e dell’Ascendente della ragazza, il bisogno di apparire, il desiderio di piacere, anche la civetteria che cosa non potrebbe non concretizzare, tra reale e carne, mondo e reale, se non la patafisica sorprendente, che, dissaldando la connessione tra dispositivo di sessualità e dispositivo di alleanza, sarà l’energia, e il vento, dell’amore-uragano, l’amore assoluto e patagonico?
[iv]Cfr. il ritratto della quasi omonima Cecilia Gallerani, la Dama con l’ermellino, di Leonardo da Vinci, 1488-1490.

Simonetta Molinari ▌L'anima liquida di Tristano

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Hurta 2 - 
L’anima liquida di Tristano

meditavo conato di vomito
una notte di neve
senza luce a scavare stanchezza
cercavo a tentoni la tua anima liquida
un caffè per assopire la morte


nel tuo nome e di mille come te
basta arrugginirsi il cuore in frammenti
H ci distrugge
nervino ci fa di sale
mano dolore
                     no più gabbie di tortore inferocite
mano follia
e solo col tuo sesso
annientato in mille e mille particole d amore
ma
puttana
ho cervello che risucchia tempi e temi
e fiabe
di padri macellati
                       dinosauri pietosi
ioamebaioserpeiopesceiocoralloioterraio
e poi no
non donna non madre di figli raggomitolati in un ogiva

fuck you mondo di merda agnus homini lupus
per lunghe ere astrologiche
la pars destruens della collazione all inglese
ha seminato ovuli di violenza
non bastano stelle-anaconda e verbi
suvvia non siamo più bambini
sappiamo che le parole non sono le cose
tre menti tre
non fanno di un vizio un pelo
sao ko kelle terre
Jamais sono state nostre
cui prodest ?
un padre borghese basta per fare del mondo un puzzle
un figlio rivoluzionario per giocare
a cavalluccio con gli schiavi ereditati
ha provato a rendere veggenti gli uomini
sputandogli negli occhi
cui prodest?
sono morti mordendo il seno della vita
e tu
il mio seno non è avvizzito in Hiroshima di amore
ho sapore di mela sulle labbra
eva mi è sorella
di sudore
edipo è morto con tristano
oié oié il s appellait tristan car il est né dans
un jour de tristesse

Simonetta Molinari |hurtaeditrice l’aquilone 
|collana simboli oltre| diretta da alberto cappi|mantova 1975


Doreen e la Wordle della Stimmung con Westlake.

Cornuti Attanti di Paese ▌La Lebenswelt con Giorgio Manganelli & Vuesse Gaudio

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CORNUTI ATTANTI DI PAESE
Lebenswelt con la Settantaseidella Centuria di Giorgio Manganelli e il Test dei Cornuti di Vuesse Gaudio

In questo paese, vicino al passaggio a livello, sullo stesso corso principale intitolato al re d’Italia, abita l’Assassino, proprio di fronte abita il Ladro, poco oltre il Poeta e, proprio in fondo, vive, da sola, la Puttana.
L’Assassino, come quello della Settantasei della Centuriadi Manganelli[i], è un uomo tranquillo, che sarebbe benevolo e amico, se non gli fosse toccata quella professione che egli, per altro ama. Naturalmente, non ha mai ucciso nessuno, anzi non va nemmeno a caccia, pur essendo associato all’Ordine di Sant’Uberto; ma la sua giornata è interamente dedicata alla progettazione di efferati omicidi e di interminabili battute di caccia nei boschi e nei pantani della Sibaritide, e nella sua casa ha raccolto armi d’ogni tipo, che non sa maneggiare. Il fatto di essere Assassino gli consente alcune esperienze che altrimenti gli sarebbero negate: i sensi di colpa, la paura di essere scoperto, il bisogno di cancellare ogni traccia, il pentimento e la speranza in un ravvedimento finale. Esce solo di notte, quando è certo che nessuno sia per strada; ama le notti di pioggia. La moglie si affida così alla cortesia del Ladro, che non ha mai rubato nulla, ma che è pronto a soddisfare tutte le richieste che la moglie dell’Assassino gli fa. Il Ladro, come in Manganelli, è magro, delicato, sommesso, tenero, attivato dalla pulsione “e”, come la intende Leopold  Szondi[ii], ha scrupoli etici e accumula  affetti brutali, la moglie dell’Assassino crede che sia aviatore o ferroviere, invece avrebbe voluto fare una professione esplosiva, è silenzioso, anche quando fotte la signora, quando viene la pulsione uretrale gli permette risoluzioni orgasmiche tra l’epilessia essenziale e l’enuresi; le sue mani sono precise, eleganti, efficienti: l’ideale per l’erotismo anale della moglie dell’Assassino, che è depressa e feticista, lavora in banca ma avrebbe voluto fare l’insegnante di matematica specialmente quando è ipocondriaca e catatonica. Il Ladro è costantemente pronto alla fuga, ma è coraggioso e altero come un cavaliere. Sa aprire ogni serratura, anche nei paesi più ammašcati, ma se uno lascia la porta socchiusa lui avvisa il padrone di casa. Il Poeta ama sua moglie più di ogni altra donna al mondo, ma nel contempo ama andare a fottere di notte la moglie del Ladro e di giorno la moglie dell’Assassino; la moglie del Ladro ha un bellissimo abito di nozze con cui riceve il Poeta, che le legge delicate poesie se non perversi poemi, lei sospira e non conta gli orgasmi, ha orecchio per il ritmo ed è attenta alla rete paradigmatica del testo; per Leopold Szondi è attiva in questa donna la pulsione “hy”, tra l’esibizionismo e il voyeurismo, tra civetteria e tendenze spettacolari alla luce del sole ma, all’interno nello spazio e nella prossemica della celebrazione meridianica del (-φ) del Poeta, la sua pseudologia fantastica la rende modella e indossatrice, tenuta tra ansietà, pudore, fobie del passo e delle posizioni, tanto che la pulsione “p” del Poeta fa implodere la sua libido tra mitologia, mistica, psicologia dell’oggetto “a” così doviziosamente interpretato dalla moglie del Ladro.
Talvolta il Ladro, l’Assassino,lo Straniero di passaggio e  il Poeta si trovano in una pizzeria e ognuno parla del proprio tradimento; tutti hanno un grande rispetto non solo della Puttana ma soprattutto della moglie del Poeta: nessuno, difatti, osa pronunciare sia il nome dell’una che dell’altra, come la Regina  di Cuori, ma anche quella di Denari e di Bastoni, hanno tutti un grande rispetto di questa patagonica signorilità, anche se è risaputo nel paese tutto e anche negli altri paesi più o meno limitrofi, che la signora sia l’amante del Ladro, dell’Assassino e dello Straniero di passaggio  che chiede della Puttana Invisibile. L’Assassino, come nel micro romanzo  Settantaseidella Centuria di Manganelli, si considera il suo Esercito se non la sua macchina da guerra: la moglie del Poeta ama il feticismo, nell’armatura d’uso, della ginocchiera e della barda del cavallo, è splendida cavalcatura con le sue groppiere, i suoi fiancali, le staffe e le selle. Il Ladro si considera il suo Ministro: tra effrazione e violazione di domicilio, tra appropriazione indebita e spoliazione, tra trafugamento e  fottimento, ha schemi verbali e azioni irripetibili: frega, abbranca, raspa, asporta, fotte, vuota, scassina, scardina, saccheggia, a volte, quando c’è lo straniero di passaggio, fa anche il palo e poi divide la torta; anche con l’Assassino, lavora di mano, nel senso che mentre quello la cannoneggia, questi  fa allungare le mani alla signora. Il Poeta , è naturale, si considera il suo Principe consorte: dignitoso, titolato, blasonato, con tanto di stemma e forse con la particella nobiliare, de o di che possa essere, quindi marcato da una moglie così signorilmente di marca. Lo Straniero si considera  di volta in volta il suo viandante, il suo passante, il semplice pedone, l’utente, l’automobilista, il camionista, l’autostoppista, il pellegrino,  il viaggiatore, il nomade, il passeggero, il pendolare, l’escursionista, l’esploratore, o l’ospite invisibile, a cazzo, che non si sa da dove cazzo viene purché sia del genere appropriato e sia dotato dello spirito erettile di cui anche alla tigre in sanscrito[iii]. La moglie dello Straniero di passaggio, che è ancor più signorile, o forse non è mai esistita, della Puttana Invisibile e della Moglie del Poeta, per l’impossibilità di stabilire dove vive e che tipo di zoccola sia, sarebbe la nobiltà perfetta; alcuni viaggiatori narrano, non solo all’orecchio del Poeta, che la moglie dello Straniero è in realtà la Regina di Spade o di Picche: per il bisogni di aggressività e di ratto,non le si è potuto non attribuire la pulsione dell’erotismo sadico, e quindi la socializzazione del carattere freddo, duro, una zoccola brutale, con molto spirito d’iniziativa, sicura di sé, caparbia, alcuni dissero che era addirittura una macellaia o una manicure, se non una chirurga o una passa ferri; altri dissero che era una domatrice, una guardiano allo zoo se non alle latrine della stazione ferroviaria; infine gli ultimi vennero a dire che era professoressa di ginnastica, come qui lo era la moglie del pretore, se non cacciatrice, autista, soldata, colona dell’umanesimo di stato, con strane sintomatologie tra la pederastia, il metatropismo e l’omicidio sadico, che fece sobbalzare di botto al quarto grado l’erezione dell’Assassino.
"Che cornuto sei o saresti":
"Linus" n. 9- settembre 1993
Fu così che in una sera d’estate, in cui ci si sente ancora più inutili e cornuti, decisero, in quella famosa pizzeria, tra un bicchiere e l’altro, di farsi, ognuno, il Test dei Cornuti, che il Poeta aveva adocchiato in edicola all’interno di “Linus”[iv]. Per far vedere come si faceva, cominciò il più avvezzo alla lettura e alle corna, il Poeta
Ottenne 7* , 6 & e 3$, quindi era considerato un Cornuto Grandioso, almeno per i primi due simboli più diffusi: “non ti addolori né ti compiaci delle corna che intravedi. Mantieni una calma invidiabile. Ma puoi essere anche un Cornuto Disdegnoso. Tua moglie è talmente onorata del fatto di avere te come marito che non potrebbe nemmeno pensare di dare ascolto ai galanti. E, infatti, i galanti, per la tua negligenza, procedono più rapidi”[v].
All’Assassino, che rispose alle sedici domande del test, vennero fuori come simboli dominanti &/$, ragion per cui era, non c’erano dubbi, un Cornuto Smaliziato o Misantropo:”Dopo aver creduto ostinatamente alla virtù di tua moglie, alla fine sei disincantato. L’evento ti fa aprire gli occhi un po’ tardi e passi tristemente nelle file degli smaliziati, dopo aver figurato tra gli “stregati”. Se hai totalizzato anche molti ° (come testimoniano le risposte  D alla 1, C alla 7, D alla 11 e B alla 14[vi], tendi ad essere un Cornuto Misantropo: scoperta una tresca della tua partner, prendi a odiare il mondo, assicuri che il secolo è perverso e che i costumi degenerano”[vii].


Il Ladro ottenne un risultato incredibile, quasi l’80% delle risposte a simbolo &, per cui, è inevitabile, era un Cornuto Ortodosso o Abbarbicato: “Sei il catecumeno del mestiere, quello che ha la fede, che crede ai principi e ai buoni costumi, pensi come la gente per bene e che in realtà i libertini ne dicono più di quante ne facciano, che restano più donne oneste di quel che si pensi e che non bisogna credere con leggerezza ai cattivi discorsi. Insomma, hai riposto ogni tua speranza nella naturale bontà di tua moglie e nella morale. Col tempo, finisci con il rappresentare il secondo tipo: non vieni scoraggiato da nessun affronto o oltraggio; qualunque scandalo abbia commesso tua moglie, vai a implorarla con umiltà. Se tua moglie scappa venti volte, venti volte vai a riprendertela, versando lacrime di gioia. Cornuto di vocazione”[viii].

"Linus" n.9-1993: qui è visibile
il cornuto Cosmopolita...
Allo Straniero uscirono in modo assoluto come dominanti il simbolo° e il simbolo *: era, di base,  un Cornuto Beffardo ma, infine, si sarebbe affermato come Cornuto Cosmopolita: “Come Cornuto Beffardo scherzi sui confratelli e li consideri imbecilli degni della loro sorte. Quelli che ti ascoltano si guardano sorridendo e si rincuorano evangelicamente a vicenda(“Vede la pagliuzza nel nostro occhio e non vede la trave che sta nel suo”).Come Cornuto Cosmopolita: la tua casa assomiglia a un albergo per il gran numero di ammiratori che  tua moglie vi raccoglie da ogni paese. Hai amici di tutti i luoghi, che condividono con te le gioie della tua metà, e trovano a casa tua(si fa per dire) una buona tavola e un morbido letto. Quantitativo.”[ix].
byGaudio Malaguzzi




[i] Giorgio Manganelli, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Rizzoli Editore, Milano 1979-
[ii] Cfr. Leopold Szondi, Introduction à l’Analyse du Destin, Editions Nauwelaerts, Louvain 1972.
[iii] Come Vyāghra, sostantivo, è “tigre”, che si può dire anche con śārdula. L’aggettivo “vyagra” vale: “distratto”, “agitato”, “eccitato”, “intento a”. Come avverbio equivale a: “in modo agitato”.
[iv] Vuesse Gaudio, Il Test dei Cornuti, “Linus” n. 342, RCS Rizzoli Periodici Spa, Milano settembre 1993.
[v] Cfr. in “Che Cornuto sei o saresti”, in “Linus”, num. cit. pag.50.
[vi] Demi Moore per l’attrice che rappresenta la tua donna ideale:D/1; Ornella Muti la nuova Penelope per un remake di “Proposta indecente”: C/7; il seno come parte del suo corpo che ti piace di più:D/11; “te ne importerebbe poco” se ti capitasse di tradire la partner: B/14.
[vii] Cfr. in “Che Cornuto sei o saresti”, in “Linus” num.cit. pag.51.
[viii] Ibidem: pag.52.
[ix] Ibidem:pag.51.

Valentino Zeichen ▌Come dirti ancora amore mio

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Come dirti ancora amore mio,
mia, mio, adesso
che gli aggettivi possessivi
sono istruiti di dubbi, svogliati
e disaffezionati alla proprietà
abbandonano la guardia e disertano
lasciando sguarniti i beni privati,
concedendosi solo al plurale.
Come se i granelli di sabbia
che si assommano nei deserti
oltre che attimi
non fossero anche efelidi

cadute la notte di San Lorenzo
dalle guance di belle,
spente
superficialmente sepolte.
Dai sentimenti che mi precedettero
non ho tratto consiglio

da quelli che mi succederanno
non trarrò che idee.

ALLA SUMERA
Intersecare il mio cuore col tuo
in una vignetta anatomica
sarebbe un brutto ex voto
                                  a parere
del nostro diplomato buon gusto,
evitiamo la pessima figura allegorica
prenotando opposti destini.
                       La tua saggezza è il monotono Dolmen
                       che orbita da due decenni
                       intorno al mio collo.
Accidenti! E’ un dente del giudizio,
se vivi ancora
come devi essere squilibrata
per esserti tolta questo saggio-ricordo.

da Valentino Zeichen| MAHVASH | in> Idem, Ricreazione, Società di Poesia, Milano 1979


La materia dell'anima ▌La Stimmung di V.S.Gaudio con Felice Piemontese

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V. S. Gaudio
Un buco giallo, il mondo per le scale e la materia dell’anima
La Stimmung con Felice Piemontese[i]sulla poesia visiva che ritorna lineare

1
per  l’impossibilità di pensare, la merda è la materia dell’anima; poi corre ad annegarsi nel fiume, ma non per  l’ansia, per quello che dall’orecchio gli entra e grida qualcosa, ma lui non sente, e nemmeno Jacques Lacan: un vestitino senza macchia, e l’entropia che sta bene nella pancia, lì al 21 di rue Daguerre, che fare? Un buco giallo, il cavallo dalla testa di cane, l’emicrania, il totem matriarcale, con un gancio nell’
2
accendono i fuochi, e questa volta si vedono, come la rosa dei tropici, un’atmosfera indescrivibile, e un futuro pieno di luce, la regina del sud come le trote che non hanno scarpe sembra che sia una scalzacane, è così allegra e della metafisica ha gli occhi prolissi e i capezzoli nei pacchetti, Baudelaire non c’è; e, sporgendosi dal finestrino gli comunicano la notizia e finalmente ride, dopo una lunga astinenza fosse stato un merlo con i baffi che suona il clavicembalo; c’è questa cordicella nella vasca dei cigni ann

Felice Piemontese | Le antiche stanze
3
cercando di uscire dalla gabbia in una piazza di Dublino con Gérard de Nerval c’era Maria Luisa Belleli che a Torino me ne parlò per il suo sole nero dei poeti[ii], e io pensai a Isidore Ducasse col sigaro e catatonico, l’occhio che lo fa scivolar via nella fessura delle natiche il nesso, l’anatema, e in questo orrore di dubbi  e di maledizioni avrei voluto suonare il clavicembalo come un merlo con i baffi  inseguendola per via del dorso sabaudo che s’innalza quasi immobile e i ragazzi GULP!per questo vivono liberi nella giungla d’asfalto  fin quando lei e la sua camicia viola se ne va con un negro non trova l’uscita lo scrivono sui muri ma non serve per quel culo di mula, per timore di perderlo tutto, il pensiero ha certezze meschine, mostra i buchi

Felice Piemontese| Le antiche stanze 3 – in tema
4
gli spazi mentali sono tutti occupati, come sempre inseguono i merli, per le strade di Nantua, un esercito di flics, medici e infermieri, ubriachi e catatonici, con oscuri incantesimi, solo per sottrargli la merda che annega nella fontana con una grande sciarpa a fiori; ce ne sono nove (l’acqua) le gambe escono dal collo (la lepre) la legano all’albero (il cammello) i vecchi aquinati ne hanno ottantaquattro, in giardino ci si possono buttare i cadaveri, dopo averli annusati; andando in campagna (il cane) dove non c’è l’epidemia? E perciò gridano tutti là sotto scoppia la bombaTrenta vomitano ogni tanto, cercando di tener lontani i curiosi dalla parete entropica dalla paura che caschino dal letto  a | un linguaggio  b|un’aria nuova  c| catatonico o Charcot  d| entropica la parete nera già utilizzata per pisciarci contro  e| forse funziona dalla  f|in viaggio lievemente gli occhi e la fessura  g| giunto qua tutto rosso c’è altra carta bianca
5
Gérard de Nerval era in realtà a Napoli nel 1834  è poi partì stanco di veder nel dramma di Donizetti una che pareva tutta Jenny ed era una veneziana BUONDELMONTE, partì dunque per Marsiglia , si legge nel Giornale del Regno delle Due Sicilie : Gerardo Labrunie de Derval catatonico        con oscuri incantesimi e l’occhio che cosa faceva scivolare nella fessura , qual nesso , una maledizione, un dubbio, Aurélia era dunque Jenny Colon, prima di uscire dalla gabbia e si sporge dal finestrino, coi piedi sconnessi calpesta il mondo dietro la luna,ILMONDOè per le scale, gli afferra i capelli, spia, beve liquidi, occorre star dietro a Jenny Colon il totem matriarcale una antica Dea pagana eccola! ride dell’opera bagnata di rugiada





[i]Alla base della Stimmung c’è innanzitutto: Felice Piemontese, Ancora della poesia visiva, Continuum Napoli 1972: in 100 copie numerate a mano e firmate. La nostra è la numero 84.Sono stati fatti sottentrare anche altri testi da: Là-bas, Geiger, Torino 1971 e dai testi contenuti nell’antologia Le Proporzioni Poetiche, vol.ii, a cura di Domenico Cara, Laboratorio delle Arti, Milano 1976.
[ii]Maria Luisa Belleli, Il sole nero dei poeti. Saggi sulla letteratura francese dell’Otto-Novecento, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1975.

Felice Piemontese |dietro la luna

                                                                                                           
Felice Piemontese|Ancora della poesia visiva 1972
 |3^ di cover. Copia n.84

  RISVOLTI n.22 | luglio 2016
disponibile anche in ebook on Calaméo


Il poeta epifanico e magmatico privato del Nome ♦

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La cover di "Linus"è quella
del numero che contiene
Il Test dei Cornuti
del poeta epifanico
e magmatico
Un poeta epifanico e magmatico, come si evince dall’antologia Le Proporzioni Poetiche, volume II, Milano 1976[i], ricevette un giorno una lettera, che invero attendeva da tempo. La lettera proveniva dall’Ufficio  Soggetti Privati del Nome, di cui all’articolo 22 della Costituzione della Repubblica, il cui responsabile era , come il padre, associato a una Confraternita culturale a  carattere genetico, costituitasi nell’ambito territoriale amministrativo e fisico della regione Calabria, e perciò tanto valeva che la lettera arrivasse da questo paese sulla costa ionica che aveva dato i natali al presidente e coordinatore di questa così costituita associazione culturale, noto per essere stato considerato (e arrestato) come  associato esterno alla mafia nel paradigma dell’operazione “Galassia” del ’95, insieme al fratello, ma che, poi, senza por tempo in mezzo, e in virtù forse del così diffuso modo di intendere e di volere “Tutto in Comune, Niente a Gaudio”, predispose un ufficio stradale nazionale per una discendente, in virtù del diffuso modo di dire “Tutte le strade, anche quelle comunali e provinciali, i sentieri, i tratturi, la scuola magistrale, fosse anche quella ammannita dalle monache di quel ridente paese in cui fu costituito l’atto di nascita del poeta regolarmente falso, portano a Roma e partono da Roma, passando dalla Sicilia e dalla Calabria, con i caselli dei briganti e delle postmoderne maffie, istituiti per la raccolta delle quote degli associati all’Ordine della Ruota, o del Bosco del Torinese".
 Il poeta epifanico e magmatico
e il Decreto Galattico 
La lettera diceva al poeta epifanico e magmatico, con laconico garbo [seppur fosse firmata da un nome, che essendo così vergognoso e ridicolo, non si capiva perché invece fosse preposto a inviare le pratiche, destinate alla competenza del Ministero dell’Interno, più complesse e intricate, e perciò dense di notizie di reati costituiti per più generazioni ma da un medesimo ufficio Anagrafe e da un medesimo Comune della Repubblica di cui all’articolo 22 della Costituzione così patentemente violato], che era imminente la sua ridefinizione del Nome e quindi la sua dichiarazione di esistenza genetica, fiscale, nominale, e che pertanto  si preparasse ad entrare in esistenza entro breve tempo, dando addio al suo nome di poeta epifanico e magmatico e di cultore delle scienze patafisiche dell’effimero, tra cui la curiosa e indefinibile scienza della Mano Morta[ii], come ebbe modo di stabilire l’Enciclopedia delle Scienze Anomale[iii], affibbiandogli, a scanso di equivoci, anche il nome del figlio, tanto che il lettore attento più volte ebbe modo di interpellare il poeta così definito in quell’antologia sopra nominata per chiedergli chi fosse in realtà l’ Eroe Tattile che ebbe modo di costituirsi in quanto tale per la strategia del contatto e della carezzamessa in atto, tra le altre città, anche a Bari in via Cavour per il biondo prototipo mesomorfo normanno-pugliese che in quella via, in quegli anni dell’edonismo reaganiano, faceva strage di falli, facendo chiudere definitivamente “il piccolo Hans”, la rivista di psicanalisi freudiana edita da Dedalo, perché incapace di semiotizzare la losanga di Lacan alla base di questa attrazione tra la bionda della strage di falli e il poeta epifanico, magmatico e saraceno, quando sbarcava, proveniente dalla città della Ruota,  in quella città per reperire, alla libreria Laterza, in via Sparano, l’ultimo numero di “Carte Segrete”.
 Il poeta, così definito e costituito, manco fosse tra gli eteronimi di Fernando Pessoa, per questo qualificato come fesso costituzionale, si rallegrò del messaggio, e non fece nulla, mentre il Sommo Pontefice annunciava le sue dimissioni, che, puntualmente, poi, a data prefissata, dette.
Lievemente euforico il poeta all’idea di esistere con il nome, forse, geneticamente, e quindi fiscalmente corretto, effettivo, per quanto fosse ancora nella letizia di quel cognome che lo identificata nell’antologia di Mimmo Cara come poeta epifanico e magmatico, insieme a poeti essi stessi epifanici e magmatici, alcuni  in questa sequenza denominati Guido Ballo, Brandolino Brandolini d’Adda, Alberto Cappi, Carlo Cignetti, Milo De Angelis, Fabio Doplicher, Gilberto Finzi, Alfio Fiorentino, Giuliano Gramigna, Renato Minore, Simonetta Molinari, Alberto Mario Moriconi, Nicola Paniccia, Raffaele Perrotta, Felice Piemontese, Mario Ramous, Roberto Sanesi, Edoardo Sanguineti, Sebastiano Vassalli, egli considerò quel momento in cui era allora, quella lacuna tra l’esistere, per quanto  nel pantano non solo dell’epifania magmatica, e il non esistere, come una sorta di vacanza, per quanto non ricordasse nessuno o nessuna azienda che mai gli avesse pagato un solo giorno di ferie; poiché nulla poteva accadergli finché non avesse cominciato ad esistere veramente, con il ripristino del nome, come si usa per i diritti degli esistenti delle minoranze etnico-linguistiche[iv], egli si trattò con qualche indulgenza e un po’ do gaudio: si alzava tardi, passeggiava gran parte della giornata, seppur nello spazio lineare e ristretto, tra il km 46,300 della SP 253 e 45,700, andando verso sud, e tra il Km 46,300 e, in rari casi, ma non d’inverno, il km 47, andando verso nord, verso il luogo che gli aveva fatto quello scherzo anagrafico e fiscale, genetico e costituzionale; non poteva, come avrebbe voluto, fare brevi viaggi in luoghi distensivi e pittoreschi, e nemmeno andare in crociera, come inutilmente, 7-8 lustri prima, una rivista gli aveva proposto di fare per seminari di psicanalisi, astrologia, caratterologia francese, criminologia, cosmologia a 90° e a 360°, non poteva farlo non perché non sapesse con quale nome andarci, non poteva farlo perché, oltre che il nome, gli avevano tolto tutto, anche le mutande e non aveva nessun diritto, di qualsiasi natura, nemmeno umano e migratorio, come si usa fare anche con i cani, lui che era stato fatto nascere con quel nome nel paese degli Scalzacani.
Aspettava la lettera definitiva, con il decreto, senza impazienza, giacché sapeva che le pratiche erano delicate, le operazioni sottili, le interconnessioni tra l’ufficio territoriale, l’associazione culturale, l’associato onorario, forse anche la Diocesi e l’Ordine di Malta, le distanze enormi, le poste inefficienti, come già era avvenuto quando il poeta epifanico e magmatico, nell’inviare a quell’ufficio territoriale così competente l’affisso avviso, questo affisso avviso fu inviato, per essere affisso o per essere avviso per tutte quelle popolazioni e le relative esattorie, nella città dei longobardi e dei confinanti giostrai di Segrate, dei palazzinari ed editori di Milano 2, nella città posta a capoluogo del territorio del fiume il cui nome indica la via della sede legale, ma in un’altra città, dell’ente delle illuminazioni e del canone telelettrico, e infine nella città dell’ufficio territoriale del governo preposto alla vigilanza dell’ordine e degli sfratti, della ruota e delle associazioni culturali nel nome della regione che è fondamento assoluto del buon nome nel mondo intero e nella Galassia, non solo del 95, della più potente e assurda Maffia, interconnessa con tutte le altre Maffie, le Massonerie, financo le Ur-Lodges come quella di Philadelphia.
Dopo quattro mesi, ricevette una seconda lettera che lo informava che la precedente lettera gli era stata recapitata all’indirizzo da cui lo stesso ufficio aveva autorizzato l’intervento delle forze dell’Ordine per sfrattarlo anni prima e inviarlo in esilio, nel pantano , dove, all’inizio dello sfruttamento del Petrolio  nella Val d’Agri, era stato fondato il finto esilio del futuro suocero del poeta “epifanico e magmatico”, così come si evince dall’antologia, secondo volume, denominata Le Proporzioni Poetiche.

Il Test dei Cornuti,
ideato e realizzato da
Vuesse Gaudio, “Linus” n.9,
Milano  settembre 1993.
Pertanto la precedente lettera era annullata, e la sua pratica era stata riaperta, ed era in corso di definizione; sebbene la lettera non accennasse ad un imminente ripristino del nome originario e quindi il poeta epifanico e magmatico non sarebbe stato più riconosciuto né nell’antologia di Mimmo Cara né nel ForseQueneau come creatore dell’effimera scienza della Mano Morta, di cui al bootleg che quell’editore del lago di Bolsena stampò per centinaia di migliaia di copie in una tipografia inesistente della stessa città celebrata per aver dato il nome e l’esistenza corretta  al fautore dell’associazione culturale dei nati e nominati dagli uffici anagrafici della regione in cui avevano tolto il nome originario al futuro poeta; e si pensi alla costernazione di eventuali lettori che, rinvenendo quel “Linus” del 1993 tra le bancarelle dei libri e dei giornali usati tra Milano e Torino, nel farsi il Test dei Cornuti[v], pur riconoscendosi virtualmente  nel “cornuto” predisposto dal Test, non avrebbero più identificato e riconosciuto  l’autore; e, si stava dicendo, sebbene la lettera non accennasse a un imminente ripristino del nome originario, il tono era incoraggiante, seppur la pratica fosse ancora seguita e indirizzata dal funzionario con un nome che, stando all’articolo 89  del Decreto del Presidente della Repubblica 396/2000[vi], si poteva cambiare seduta stante.
Egli provò un lieve disappunto, ma non osò dispiacersene, nonostante ci fosse stato anni prima, in occasione di uno scriteriato abuso da parte di alcuni acquisiti parenti del rituale del porco, una nettuniana infusione di Ghb affinché, durante la fantasmatica notte, fosse dato al poeta epifanico e magmatico il gaudio a lui pertinente come archetipo-sostantivo, nell’accezione delle strutture antropologiche dell’immaginario di cui a Gilbert Durand. Anche un poeta epifanico e magmatico, nell’universo e nella Galassia era pur sempre una assai piccola cosa, e cercò di considerare il rinvio come una ulteriore vacanza, seppur mai fosse stato considerato, nella nazione della Repubblica  Pontificia della Ruota, un soggetto pertinente per il pacchetto delle vacanze precostituite; ma non poteva negare che vi fosse nei suoi svaghi innocenti, e anche nei piaceri singolari, un che di amaro.
La terza lettera arrivò dopo altri sei mesi o sei anni; palesemente non lo riguardava, qualcuno dopo avergli inviato una lettera di un soggetto il cui nome non era in nessun archivio del poeta, anzi si appurò che quel nome poteva identificare un soggetto, per quanto l’identità non fosse proprio quella dichiarata con quel nome, cadavere da più tempo, e difatti in quella lettera si parlava della sua cremazione e del fumo che ne era derivato, per problemi nell’impianto, e non erano reperibili gli zingari di Cassano che andavano dicendo di prima mattina , sulla ex statale 106, dove è stato confinato il poeta epifanico e magmatico, ne paese contiguo al paese che gli ha cambiato il nome secondo l’articolo 22 della Costituzione:”Se la vostra cucina a gas fa fumo…”.
Egli non poté non pensare che in quell’Ufficio Territoriale vi fossero delle gravi inadeguatezze, e se ne rammaricò.
Dopo un anno o un anno e dieci mesi, o trentasei mesi e tre lustri, forse mezzo secolo, una nuova lettera, scritta via email con uno smartphone dalla figlia di una parente acquisita, strettamente connessa con gli zingari che vanno dicendo se la vostra cucina a gas fa fumo, per via di una presunta affiliazione fatta con il dispositivo di sessualità coordinato e disposto secondo l’Ordine della Ruota e del Bosco del Torinese, in modo bizzarramente stolido, con il solito doppio sintagma, in cui il principio di coerenza è tutto disposto dalla grammatica e dalla sintassi del principio della porca e della cicogna abortista, che non solo vola nel cielo della Torre Saracena.
Guardando attentamente la busta, egli si accorse che non solo il suo nome era stato scritto con una preposizione mancante ma che la busta era stata stampata dalla Stamperia Reale di Roma, quindi proveniva dall’Ufficio Territoriale che nel secolo scorso e durante il Regno aveva un’altra denominazione.
byGaudio Malaguzzi

[i]Le Proporzioni Poetiche, vol.II, a cura di Domenico Cara, Laboratorio delle Arti, Milano 1976.
[ii] Cfr. V.S.Gaudio, Manualetto della Mano Morta, Bootleg Scipioni, Viterbo 1997.
[iii] Cfr. ForseQueneauEnciclopedia delle Scienze anomale, Zanichelli editore, Bologna 1999.
[iv] Vedi art. 11 Legge 15 dicembre 1999, n.482, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche; e art. 7 Decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n.345, Regolamento di attuazione della Legge 1999/482.
[v] Cfr. Il Test dei Cornuti, ideato e realizzato da Vuesse Gaudio, “Linus” n.9, Milano  settembre 1993.
[vi] Decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n.396.
ATTI PUBBLICATI ALL'ALBO PRETORIO DIGITALE:
Per tipo atto: AVVISO

Aida Maria Zoppetti ▬ Ora lo vedi

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Ora lo vedi,
ora non vedi proprio niente.
Hai visto, Milady?
Rimi(ri) inutilmente.

ricreazione

blog artificiale d'arte e artifizi

 Aida Maria Zoppetti
Uh Magazine!L’estate che verrà?

Cornelia Hediger ▬ Doppelgänger

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Cornelia Hediger
Doppelgänger
Hediger’s photographic assemblages are an autobiographical dialog between herself and a series of doppelgängers or doubles.Hediger is both photographer and model, acting out a series of characters representing hope, despair, good, evil, past and present.She describes the interactions between characters as “an internal dialog and struggle between the conscious and the unconscious”.Herimages toy with perceptions of self and the variety of selves that can exist within an individual. At times her work speaks of an internal darkness and mistrust of self but ultimately humor takes over forming a more playful exploration. (via)

Born in Switzerland, Cornelia Hediger lives and works in NYC. She earned both her BFA and MFA from Mason Gross School of the Arts at Rutgers University. Her imagery has been presented in exhibitions at Wallspace Gallery in Seattle, WA; Anita S. Wooten Gallery in Orlando, FL; PS122 Galleryin NYC; the International Center of Photography in NYC; Maryland Institute College of Art in Baltimore, Rutgers University in New Brunswick, and the Massachusetts College of Art. In addition Hediger has shown her work abroad at the Gallery Del Mese-Fischer in Switzerland andLimilight9 Gallery in Halifax, Canada.


La Lebenswelt fotografica di Cornelia Hediger
Quando si fa una Lebenswelt[i]c’è sempre una storia d’amore che sottentra, o potrebbe sottentrare da un momento all’altro, tra la figura e il personaggio, e che, il visionatore, anche se è preso da una ectomorfa leggera e ancora ragazzina che, a guardarla, qui sul marciapiede, che va su e giù verso est per caricare l’orza all’occhio desiderante, la vede che si precisa nell’immediatezza di una intersoggettività che, tenuto così dentro il désir, non è che l’elastico infinito del tempo, tra la biografia della fotografa e il poeta privo di fantasia e amante della buona tavola che, tra pane e pomodoro e  riso con le vongole come lo prepara Marisa Aino secondo Manuel Vázquez Montalbán[ii], è per questa dicotomia un prodotto combinatorio, anche se per riconoscersi, in una strada affollata, come personaggio avrebbe difficoltà. Parte, il poeta, nelle sue storie d’amore, sempre dal terzo tempo, che è quello del tentativo di impossessarsi dell’altro, o addirittura parte subito dal quarto, ormai, sia come personaggio che come figura è fuori tempo, e invero non ha più tempo per fare storie, perciò ritorna all’essenza con un microracconto, una Lebenswelt, una Stimmung[iii].
La configurazione semica del Nome proprio e la biografia che man mano si va facendo,che si fa passaggio, luogo di passaggio e di ritorno[iv], anche su un marciapiede, una stazione, una spiaggia, una strada, della figura, che, quando il poeta la vede per il podice che gli sta muovendo la ragazza su questo marciapiede per tirargli su l’orza al meridiano, nei suoi skinny-jeans tanto che un po’ penserà a Sandra Alexis in via Micca a Torino[v], così questa figura, che non è mai una combinazione di semi fissati su un nome civile, quando la vedi nella sua maneira de andar, ma che, dopo, avendola dotata di un nome, seppure inesistente all’anagrafe di Elvas ma non al Circo Orfei in quel secolo scorso, ora che vedo questa skinny-young un po’, ma solo un po’, con quel passo di Sandra Alexis, e non ha Nome, la temporalizzo come figura e a partire dalla luna nuova la incontrerò, o, meglio, la vedrò camminare davanti a me una seconda e anche una terza e anche una quarta volta, come se fosse il doppio di Sandra Alexis, fin tanto che, come ebbe a dire, passando davanti al poeta, con un ragazzino che l’accompagnava, che non c’è più la rete qui, è stata rotta, e qui manco da quattro anni, come se quattro anni fa la rete ci fosse stata, e il poeta pensa che anche lui a conti fatti da lì mancava da quattro o forse sei anni, se non sette, e la settima volta la vedrà ancora con quel podice ectomorfo che un po’ gli ricorda Sandra Alexis e un altro po’ Simone Dauffe[vi], ma intanto che tra la figura e il personaggio non c’è più tempo per farci una Lebenswelt, e nemmeno una Photostimmung, o, come nel caso di Cornelia Hediger, una Photolebenswelt, il poeta, che non potrà mai parlarle come personaggio, e cosa potrebbe mai dirle, di che segno sei? Oppure: penso che tu abbia, per via del tuo passo di bolina, Mercurio e Urano a 90°, e allora il mio oggetto “a” di base che è la figura, di tutti gli altri oggetti “a” infiniti ed esponenziali, che ha Mercurio e Urano a 180° è proprio vero che con il suo passo al gran lasco quando caricava l’orza ai passeggiatori nello stesso momento che cosa rinserrava per stringere così tanto il (-φ) nell’insenatura più stretta e ottusa?
La Photolebenswelt è una sorta di buona scrittura, dunque: produce dei personaggi, e non li fa giocare fra loro davanti a noi, li produce perché innanzitutto  è l’autore che gioca con loro, e, poi, il visionatore, anche se non è il poeta, per ottenere da loro una complicità che assicuri lo scambio ininterrotto dei codici, insomma i personaggi, anche  quando appaiono come assetti morfologici narcissici, alimentano la pulsione uretralfallica dell’autore, il doppio produce dei tipi di discorso, dei tipi di Lebenswelt, dei tipi di Stimmung, dei tipi per i piaceri singolari del proprio oggetto “a”, che è, non solo allo specchio, quello dell’autore,che, lo vediamo continuamente, e contiguamente, se è la Photolebenswelt che si sta visionando,  non fa che far fare tutte queste figure al personaggio con cui gioca o interfigura e fa il gaudio.
Nella Doppelgänger, che io chiamo Photolebenswelt,  una sera il doppio di Cornelia Hediger  osò rivolgerle la parola, anzi no, le fece una fotografia, la mise in scena, come se fosse innamorata, e senza speranza, oppure per niente, non era innamorata, voleva solo allietarsi l’animus, e quindi confessò alla sosia di sentirsi in una situazione d’angoscia, e sotto le vibrava il désir, e c’è questa losanga di Lacan, e non so se amo o se amerò, non me ne importa un cazzo, è che adesso, come nel caso del pesce, che è da est che mi sta venendo incontro, e non saprei, visto da qui, fin quando arriva, se ci faccio la salatura o lo shummulo, e il doppio sconvolto dalla rivelazione, giacché amava la sosia, che, essendo la figura connessa all’oggetto “a” dell’autore, era lei stessa il personaggio protagonista, e tremò al pensiero che si fosse creata una scissione così grande, così profonda, così visibile, a lato, o sotto, ma venendo il pesce da est, lei era nella parte ovest, dove c’è la California o, se proprio si tratta di pesce atlantico, c’è il Portogallo, e allora la scissione, ma anche la salatura, è davvero insormontabile.
Per questo, la Doppelgänger, che io chiamo Photolebenswelt, è destinata , per via del Leib della figura moltiplicato dall’ambivalenza del personaggio, a una cupa malinconia: passa con se stessa, la sosia, o il doppio, gran parte del suo tempo, e chi le guarda vede due decorose signore che se la intendono, a lato, sommessamente, o sotto, anche sotto il letto, a volte, o dietro la porta, in un angolo, il doppio talora conferma, talora nega. Più lontano, dietro la foto così assemblata, non c’è altro che la sua superficie, il groviglio di linee, la scrittura indecifrabile del désir del doppio; sotto, c’è il nulla della castrazione, ma non è detto che il movimento dilatorio del significante non possa riprendere grazie a un altro sosia, che, in sostanza, è destinato ad essere il personaggio principale purché venga a rappresentarsi in scena.
! v.s.gaudio


[i] Cfr. V.S.Gaudio, La Lebenswelt, in: Idem, Lebenswelt, L’arzanà, Torino 1981.
[ii] Cfr. Manuel Vázquez Montalbán, Ricette immorali, trad. it. Feltrinelli, Milano 1992.
[iii] Cfr. V.S.Gaudio, La Stimmung, in: Idem, Stimmung, Collezioni di Uh, Cosenza 1984.
[iv] Cfr. Roland Barthes, Personaggio e figura, in:Idem, S/Z, trad.it. Einaudi, Torino 1973.
[v] Cfr. V.S.Gaudio, La maneira de andar di Sandra Alexis.Estetica e teoria dell’andatura, in “lunarionuovo” nuova serie n.15, Catania aprile 2006.
[vi] Vedi: Simone Dauffe, in: V.S.Gaudio, Chambonheur, © 2004. Cfr.online in Uh-book from Issuu 2015.


Il passo-sotto della ragazza brevilinea mesomorfa ░

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Un poeta, ormai privo di fantasia e con la libido stravolta anche da vini ormai inconcepibili per via dell’Unione Europea, seppur ancora amante della ricetta immorale pane e pomodoro, incontrò per la prima volta  sul marciapiede di un sottopasso ferroviario, andando verso est, al mare, una ragazza brevilinea mesomorfa di quel  tipo un po’ patafisico e un altro po’ patagonico , in shorts, con gli stessi shorts di quell’altra ragazza che, ferma al passaggio a livello, fu concupita e maneggiata dal poeta-fantasma. La riconobbe immediatamente, senza neanche guardarla un po’, e ne provò un lieve e blando piacere, senza stupore alcuno; sapeva che, sebbene rari, avvenimenti del genere erano possibili, anzi non infrequenti, sempre che si sia nella Umwelt  del mostro Sibari. Ritenne opportuno non far mostra di essersi riconosciuto nel desiderio della giovanetta, dato che non si erano mai visti né fossero stati presentati.


 

Il passo-sotto della ragazza brevilinea mesomorfa e la finestra del poeta 
(...)con gli stessi shorts di quell’altra
 ragazza che,
ferma al passaggio
a livello
 (...)
L’incontrò la seconda volta sempre sullo stesso marciapiede, questa volta al contrario: lui andava verso ovest e lei scendeva al mare, verso est, ed una terza nello spazio più prossimo alla spiaggia di pietre. Questa volta la giovanetta, sempre accompagnata da una sorta di accompagnatore di casa, un cugino o il fratello, si piegò a raccogliere una pietra e, fin tanto che non l’ebbe trovata, destinò al poeta  quel che Roland Barthes circoscrisse(per l’innamoramento) nel riquadro della finestra e che Salomon Resnik, negli Impatti estetici,   illuminò nell’angolo di 45°[i]. Una raccoglitrice di funghi, se vedete quel che può fare in questo angolo di 45°, non potrebbe mai essere così giovane, né indossare quegli shorts, come li aveva la ragazza in bicicletta concupita dal poeta-fantasma al casello ferroviario, anche perché mi dite dove cazzo sono i funghi d’estate e come è possibile che siano spuntati tra le pietre nel Delta del Saraceno, che, d’accordo, è l’habitat del “ciuccio che vola” ma, quando vola, è fisiologico, non può tendere al meridiano il suo (-φ), anche perché un ciuccio, anche se vola, non ha letto i seminari di Jacques Lacan, figuriamoci se conosce il greco, anche se è nel cielo della Magna Grecia che scacazza peggio del Barone di Münchhausen.
La quarta volta si fecero un breve cenno reciproco, ma non si rivolsero la parola: qualcosa che solo Jean Baudrillard avrebbe potuto indicare. Una sorta di item cinestesico a distanza, un gesto di comunicazione invisibile, nell’ambito della pura percezione sensitiva alla Hume[ii], come se la pulsione uretrale  dell’uno  e la pulsione tattile dell’altra fossero in un stretto rinserramento implosivo.

Fu solo al quinto incontro che si salutarono con un sommesso “Il mare a cosa servirebbe allora?”, ed anzi egli sorrise, e si accorse, o così gli parve, che l’altra non intendesse che lui si mettesse a lanciare i ciottoli piatti sulla superficie del mare per farli rimbalzare tre-quattro o anche cinque volte, a volte ; a volte, il mare, o la superficie del mare, è un pretesto, specie quando , con un Nageur della Maison Lejaby, anche così brevilinea e compatta, e con un tergo che non appena Dio, se ci fosse un Dio, avendolo intravisto, nella linea di sole che rimane da ovest, non potrebbe non tracciare a chiare lettere nel cielo mai così azzurro: “E’ questo il Gaudio!”, il pretesto della ragazza brevilinea che ora si stende sul telo da mare e comincia a tessere la tela del Nageur per il gaudio del poeta che, ora, si sta avvicinando la linea del crepuscolo,non ha più pretesti e orgoglio per non farsi visionatore.
La sesta volta, dopo che il mare a cosa servirebbe allora?, il caso volle che essi venissero, sul marciapiede, laddove finisce la rete metallica che delimita il bosco, sospinti l’uno verso l’altro dal passaggio veloce e improvviso di un pastore tedesco e del suo padrone che cercava di tenerlo al guinzaglio: il poeta toccò la ragazza garbatamente, per proteggerla, e venne fuori l’item i1 fra gli items del Contatto, che è “sentire il corpo della toccata, in cui l’eroe tattile è invitato a sentire il corpo che desidera, sentire con il dorso della mano, passarglielo su una natica, sentire il dolce canto che lei canta e con plettro batte dolce musica”[iii]; lei gli sussurra :”il cane allora quando non abbaia a cosa potrà servire mai?” e , dagli items della Carezza, preme con dolcezza, che è l’item C, il gesto che corrisponde alla terza porta, che spetterebbe al poeta, è la porta del servizio[iv], per questo scambio di funzioni, lei gli sorride e sente che si sta bagnando come non mai.
La settima volta, è come se fosse l’inizio dell’equinozio, anche perché egli e la ragazza abitavano a qualche centinaio di metri l’uno dall’altra; era chiaro che lei amava fare passeggiate lungo la carrareccia che è parallela al bosco e l mare, e fu allora che, essendo il poeta un noto passeggiatore, per quella carrareccia si incontrarono e non si stupirono più di tanto, e non c’era nessun cane , nemmeno di quelli che hanno un’aria eccessivamente autunnale. Disse la ragazza, nel salutarlo: “Questa via nel bosco a cosa  servirebbe secondo te se non è per portarci a passeggiare il cane?” Il poeta, dopo una breve pausa, le confessò che la prima volta, all’orizzonte, quando era apparsa nel suo campo visivo, c’era la Luna a ovest, e lei è a ovest che se ne stava andando, e il poeta non si girò a guardarle il passo[v]. Tanto, disse lei, adesso che stiamo andando verso nord, e il cielo è sgombro, vorrai vedermi passeggiare, è questo che vuoi? Prima che venga la sera, e adesso viene prima, le disse il poeta, quando ritorniamo verso sud, e la prima volta che ti vidi al meridiano saliva il mezzopunto Lilith/Marte sulla cuspide della mia casa Quinta, ed è per questo che dentro la bolla di Hume, avrei voluto accarezzare e trattenere il tuo culo, fino a che, al tramonto, il mezzopunto Luna/Sole, che è quello dell’Anima, ed era il mezzopunto del mio radicale Sole/Ascendente, vi arrivasse 28 minuti dopo, tu pensi che, con tutto questo tempo, ce la faremo adesso a farci lo shummulo esattamente nel punto dove mi hai fatto implodere l’Anima e io ho fatto inzuppare il tuo Animus?
Che non è una confessione di essere innamorato, né che la donna fosse indegna del suo amore, per cui, la conquistasse o meno, egli era condannato a una penosa, intollerabile situazione; lei non era per niente irritata dalla rivelazione, non gliene fregava un cazzo che non era innamorato di alcuna donna; e tremò al pensiero che, per quanto fosse stato tutto così casuale, nel momento in cui il poeta le calò gli shorts e lei avvertì una  così grande e profonda scissione, quasi insormontabile tanto era ripida ed erta, lo sferragliare continuo di un treno passeggeri, con nessun passeggero a bordo, potesse impedire a quel Dio del cielo, se ci fosse stato ancora anche sulla carrareccia dell’equinozio, di  farle sentire l’urlo divino:”E’ questo il Gaudio che ti entra nell’orecchio: è il mistero gaudioso!”
byGaudio Malaguzzi



[i] Vedi in V.S.Gaudio, BODY PAGE, PingapaArt 2015, ebook on Calaméo: in particolare il paragrafo Il Body Page ottunde il senso tra Heimlich e Unheimlich:pagg.25-28.
[ii] Cfr. V.S.Gaudio, La pura percezione sensitiva alla Hume della maneira de andar, in: Idem, La maneira de andar di Sandra Alexis.Estetica e teoria dell’andatura, in “Lunarionuovo” anno XXVII n.15, Catania aprile 2006: in particolare anche la nota 13.
[iii] Cfr. V.S.Gaudio, Manualetto della Mano Morta. Variazioni dell’approccio tattile, Bootleg Scipioni, Viterbo 1997:pag.11.
[iv] Ibidem: pag.18.
[v] Il passo della ragazza è come una bolina ancor più stretta, e il vento pare che lo prenda da sotto,e le sale tra le natiche, è il “passo del meridiano”, 6° di qua e 6° di là, è una sorta di andatura al traverso, perpendicolare alla rotta, ecco perché quando  tratterrà il “mistero gaudioso”, il treno, che le passa sopra la testa, le sferraglia l’Animusal traverso e nel suo orecchio non entra la voce di Dio,sopra la sovrastruttura della strada ferrata, che la sta urlando che è questo il Gaudio che ti viene sotto, perché là sotto è il mistero gaudioso che le sta salendo nell’Animus.

Il passo largo e il numero del Bonheur ░

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L’elastico-nageur e l’udometro del bonheur
Un poeta, ormai privo di fantasia e con la libido stravolta anche da vini ormai inconcepibili per via dell’Unione Europea, seppur ancora amante della ricetta immorale pane e pomodoro, incontrò per la prima volta  quasi sul marciapiede che porta a un sottopasso ferroviario,ma ancora sulla strada statale, vicino al cancello di casa sua,una donna normobrevilinea mesomorfa in compagnia del marito.
La riconobbe immediatamente, senza neanche guardarla un po’, e ne provò un lieve e blando piacere, senza stupore alcuno; sapeva che, sebbene rari, avvenimenti del genere erano possibili, anzi non infrequenti, sempre che si sia nella Umwelt  del mostro Sibari. Ritenne opportuno non far mostra di essersi riconosciuto nel desiderio della giovane moglie, dato che non si erano mai visti né fossero stati presentati.

L’incontrò la seconda volta sempre sulla stessa strada e sempre vicino al cancello di casa sua ma lei era sul marciapiede,stava tornando dal mare e indossava un pareo e questa volta destinò al poeta  quel che Roland Barthes circoscrisse(per l’innamoramento) nel riquadro della finestra e che Salomon Resnik, negli Impatti estetici,   illuminò nell’angolo di 45°[i]. Una raccoglitrice di funghi, se vedete quel che può fare in questo angolo di 45°, non potrebbe mai esserlo con il pareo, né indossare quegli shorts, come li aveva la ragazza in bicicletta concupita dal poeta-fantasma al casello ferroviario, anche perché mi dite dove cazzo sono i funghi d’estate e come è possibile che siano spuntati tra le pietre nel Delta del Saraceno, che, d’accordo, è l’habitat del “ciuccio che vola” ma, quando vola, è fisiologico, non può tendere al meridiano il suo (-φ), anche perché un ciuccio, anche se vola, non ha letto i seminari di Jacques Lacan, figuriamoci se conosce il greco, anche se è nel cielo della Magna Grecia che scacazza peggio del Barone di Münchhausen.
Tra il vestito che indossava quando il poeta privo di fantasia l’aveva vista la prima volta in compagnia del marito e sotto casa e il pareo, da cui, in quell’angolo di Resnik,mostrò la colma finitura delle cosce e la resistenza quasi mesomorfa delle gambe, il poeta percepì quel solito qualcosa che solo Jean Baudrillard avrebbe potuto indicare. Una sorta di item cinestesico a distanza, un gesto di comunicazione invisibile, nell’ambito della pura percezione sensitiva alla Hume[ii], come se la pulsione uretrale  dell’uno  e la pulsione tattile dell’altra fossero in un stretto rinserramento implosivo.
Tanto che al terzo incontro, lei tornava dal mare in costume da bagno grigio, e allora il poeta non poté non girarsi a guardarne il pondus e i quarti posteriori, e fu così che andando verso est, verso il mare, venne:
a volte, il mare, o la superficie del mare, è un pretesto, specie quando , con un Nageur della Maison Lejaby, anche così brevilinea e compatta, e con un tergo che non appena Dio, se ci fosse un Dio, avendolo intravisto, nella linea di sole che rimane da ovest, sostituendosi al poeta non potrebbe non tracciare a chiare lettere nel cielo mai così azzurro: “E’ questo il Gaudio!”, il passo  della giovane donna brevilinea che appena un quarto d’ora prima era  stesa sul telo da mare e già cominciava a  tessere la tela del Nageur per il gaudio del poeta che, ora,eccolo, lo incontra di nuovo e questi, a questo punto dell’apparizione,non ha più pretesti e orgoglio per non farsi visionatore. Anzi, non ha più nemmeno un pizzico di pudore per non farsi visionatore bagnato. Non sa ancora che ci sarà il quarto incontro con i 200 passi, lei davanti e lui dietro, in tutti i dislivelli e le curve di quel marciapiede-passerella, un elastico-nageur[iii]come se fosse teso dall’item i4 del Contatto, che equivale a “nessun contatto”, che per un attimo, con questo lieve andar giù, passa nell’item i3, “contatto accidentale”, e poi senza che ce ne fosse bisogno il poeta “toccando una parte, un punto del podice di quel corpo”, curva con l’item i2, tanto che non si può escludere, nel piacere singolare che ne seguirà, l’item i1, “sente il corpo della toccata”e per farle una lode sottile le dice semplicemente “Oh,Dio, che culo che hai!”, tanto che, essendo vicina al traguardo, quasi alla fine del marciapiede, la signora si lascia accarezzare e trattenere, l’eroe le tocca pienamente con il palmo le natiche, ed è l’item i0: la signora è a pochi passi dal cancello di casa, il Contatto è riuscito, c’è silenzio nell’anima del poeta, l’animus della donna dopo questi 200 passi nel sottopasso non lampeggia più, è ormai l’udometro del bonheur.
La quarta volta, non siamo  all’inizio dell’equinozio, anche perché lei non è  la ragazza con gli shorts rossi che,a pensarci bene, abita nello stesso caseggiato o in quello a fianco;e  era chiaro che lei non amava fare passeggiate lungo la carrareccia che è parallela al bosco e al mare, ama tutt’al più starsene sulla spiaggia bagnata al sole nel suo Nageur a farsi guardare e desiderare intanto che lo stesso desiderio cresca fino al meridiano nel poeta che è  un noto passeggiatore,e di sicuro la incontrerà ancora sul marciapiede al limite del bosco, e nessuno dei due si stupirà più di tanto, se non ci sarà nemmeno un  cane; e non sarà il poeta, dopo una breve pausa, a confessarle che la seconda volta,quando apparve da sola col pareo nell’ultimo tratto del marciapiede, quando era apparsa nel suo campo visivo, c’era il Sole al Meridiano e Urano sulla cuspide della casa Sesta, e lei in quel tratto di curva del marciapiede proprio a sud-est sull’asse XI/V i vettori del farsi vedere Mercurio/Giove per farsi oggetto patagonico, Kirone esattamente sulla cuspide della V, è a ovest che se ne stava andando, e il poeta non si girò a guardarle il passo[iv]. Tanto, che lei avrebbe dovuto rispondergli: adesso che stiamo andando verso nord, qui nel bosco e il cielo è sgombro, vorrai vedermi passeggiare,farti i 200 passi che ci sono da quando inizia il tratto con la ringhiera fino a quando finisce il marciapiede e starmi dietro nel meridiano farti mio oggetto “a”irredento per ogni notte che verrà,  è questo che vuoi? Prima che venga il mezzogiorno, e io sarò la tua dea meridiana la prima volta che ti vidi al meridiano saliva il mezzopunto Lilith/Marte sulla cuspide della mia casa Quinta, ed è per questo che dentro la bolla di Hume, avrei voluto accarezzare e trattenere il tuo fallo, fino a che, mettiamo mezzora dopo, il mezzopunto Luna/Sole, che è quello della tua Anima, tu pensi che, con tutto questo tempo, ce la faremo adesso a farci lo shummuloesattamente qui a qualche metro a est da dove mio marito mi prende a lungo nella notte, nel punto dove ti ho fatto implodere l’Anima e tu mi hai fatto inzuppare l’ Animus per tutti i 200 passi che mi sei stato dietro?
Che non è una confessione di essere innamorata, né che l’uomo fosse indegno del suo amore, per cui, lo conquistasse o meno, lei era condannata a una penosa, intollerabile situazione; lui non era per niente irritato dalla rivelazione, non gliene fregava un cazzo che non era innamorato del poeta; e tremò al pensiero che, per quanto fosse stato tutto così casuale, nel momento in cui da poeta le avesse fatto sentire nel meridiano del Nageura che altezza del meridiano fosse salito il suo (-φ)  lei avvertisse una  così grande e profonda scissione,anche perché in questo caso non avrebbe dovuto calarle gli shorts,  quasi insormontabile tanto era ripida ed erta, lo sferragliare continuo di un treno passeggeri, con nessun passeggero a bordo, tanto da poter impedire a quel Dio del cielo, se ci fosse stato ancora un Dio in quel bosco del pantano, di  farle sentire l’urlo divino:”E’ questo il Gaudio che ti entra nell’orecchio: è questo il mistero gaudioso che nuota nel tuo Animus?!”
by Gaudio Malaguzzi




[i] Vedi in V.S.Gaudio, BODY PAGE, PingapaArt 2015, ebook on Calaméo: in particolare il paragrafo Il Body Page ottunde il senso tra Heimlich e Unheimlich:pagg.25-28.
[ii] Cfr. V.S.Gaudio, La pura percezione sensitiva alla Hume della maneira de andar, in: Idem, La maneira de andar di Sandra Alexis.Estetica e teoria dell’andatura, in “Lunarionuovo” anno XXVII n.15, Catania aprile 2006: in particolare anche la nota 13.
[iii] L’elastico-nageur si interconnette, in realtà, alla lunghezza della ringhiera del marciapiede-passerellain passi del poeta, che sono 156, che, nel grafico a 90° di Ebertin, corrisponde al grado 66, che è quasi numero del diavolo che, come un demone meridiano, diabolicamente ridefinisce e consolida la legatura [e una precedente  corrispondenza predisposta subdolamente dalla famosa confraternita che, non solo secondo Borges, detiene i destini e i numeri per la Lotteria di Sibari] tra la giovane donna ammogliata a quel numero e il poeta interpellato con una corrispondenza errata con quel numero! Il 66, è cosa nota, è anche detto “bisesto” come rapporto anale: l’uso equivoco è per il valore etimologico di “due volte sesto, doppio sei”, pittogramma(66) indicante la sodomia.
[iv] Il passo della giovane donna è come una bolina più ottusa, e il vento non  lo prende da sotto,e le sale tra le natiche, è il “passo largo del meridiano”, 12° di qua e 12° di là, è però, allo stesso modo del passo della ragazza con gli shorts rossi, una sorta di andatura al traverso, perpendicolare alla rotta, ecco perché quando  tratterrà il “mistero gaudioso”, il treno, che le passa sopra la testa, le sferraglia l’Animus al traverso e nel suo orecchio non entra la voce di Dio,sopra la sovrastruttura della strada ferrata, che la sta urlando che è questo il Gaudio che nuota dentro, perché là dentro, in quel mezzo, a lato del sottopasso,  è il mistero gaudiosoche le sta facendo nuotare l’Animus.

Il Poetosofo, l'intermaffia, i briganti e S.Arcangelo ▌

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Da più giorni, il poetosofoè estremamente irrequieto; lui dice che è per via del bioritmo, in cui il ciclo della risonanza intellettiva è nella sacca negativa e il ciclo emotivo l’altro giorno è stato a cavallo del giorno critico e adesso lo è quello fisico; fatto sta che, dopo  un lungo periodo di vita solitaria, s’è accorto che il sottoscala e sottostrada in cui vive è abitato sopra da altri esseri. Sopra lo spazio di quel che si può considerare il suo appartamento lievemente postmoderno, per via delle pareti piene di poesia visiva  e di optical art, hanno fissato dimora tre fantasmi, che di volta in volta si manifestano come due streghe o due mafiose della Repubblica Pontificia o una chimera che ha il corpo di una porca-cicogna e l’altra una chimera tra una cornacchia e una gallina; una sorta di commesso viaggiatore in fac-simile, metà affiliato all’Enasarco e metà alla mafia delle giostre e del palazzinaro della Brianza, ma che è di ammašcate origini relative alla Fiscalrassi. Ha anche l’impressione che vi siano o arrivino da più parti della Repubblica Pontificia altri esseri, di cui ignora il nome, e che, di volta in volta, sembra che riesca a percepire il nome della località da cui vogliono fargli intendere che provengano: difatti una recente apparizione pare che venga dalla Terra del Petrolio, che, per come glielo hanno fatto lo stato di famiglia storico al Comune dal codice catastale L353, è la terra che ha dato i natali alla sua madre affidataria, e che pare che abbia svolto la funzione, anche onoraria, di ispettore della Rai, che andando spiando nelle case dei poeti, tenuti prigionieri secondo l’articolo 22 della Costituzione, dovevano poi produrre, tramite un informale traffico di influenze, molestie infinite al poeta, che, non solo della Tv di Stato ma anche della Tv di quello che prima aveva  urbanizzato il territorio attorno alla Giostra Stanziale di Segrate (in sodalizio stretto  con un ex impiegato di banca che col nome sembrava la via principale che attraversa longitudinalmente il paese dove hanno costituito il nome falso del poetosofo), non ha mai saputo che farsene. Naturalmente, il subitaneo affollamento lo sconvolge: non capisce perché tutti questi esseri abbiano scelto di stargli sopra, e non capisce quale funzione esercitino, anche se a volte una da il granone e le scorze del cocomero alle galline e l’altro all’alba col decespugliatore decespuglia l’argine della strada nazionale già decespugliata dagli operai annessi alla cosiddetta Provincia, sembra un essere normale ma fa cose improbabili, ad esempio dice di essersi sposato con un animale ibrido e di aver generato, ancorché guardandone la prole non si può non pensare che il miracolo possa essere avvenuto per via di quel cosiddetto cilindro di quel frate così benedetto oggi, specialmente dalle riviste del gossip più becero e monarchico, e così perseguitato dalla Chiesa ieri.
Il Poetosofo, l’intermaffia del pantano e il Gaz della  Terra della Madre affidataria

Ma nulla turba il poetosofo più del fatto che questi esseri si rifiutano di farsi vedere, di parlargli, quantunque si facciano pervenire fatture e bollette indirizzate nella contrada del Campanaro, che, appunto, è inesistente, ed è proprio perché la contrada è inesistente che, più volte minacciato di morte il poetosofo, con violazioni del suo domicilio, e urla inaudite, questi esseri che stanziano sopra di lui non hanno orecchie per sentire, oltre la mancanza evidente degli occhi. Egli sa, come il personaggio del Cinquattotto della Centuria di Manganelli, che non può continuare a vivere in una casa infestata a quel modo, ma se almeno potesse far udire le sue grida, quella misteriosa occupazione avrebbe un senso, e forse un qualche senso ne verrebbe anche alla sua vita[i]. Da un punto di vista meramente giudiziario, egli non può portare alcuna prova dell’esistenza nella sua casa di quegli esseri, per quanto quegli esseri gli abbiano usurpato tutti i suoi diritti di cui al matrimonio con una autrice della The Walt Disney Company Italia Spa, quando ancora era in via Sandri e via Dante, e tuttavia la loro presenza, che è, appunto, stata propiziata e imposta come conseguenza del matrimonio del poetosofo, affinché quest’essere metà cane e metà scalzacane, inviato dalla ammašcata setta delle maffie mondiali calabresi, piemontesi e brianzole, potesse divenire accatastata chimera stanziale e il poetosofo fosse invece scacciato da quel luogo immondo, casolare nel pantano dell’intermaffia globale, petrolifera e della ruota, nonché dell’Ordine di Malta e delle baronie della Diocesi famosa in tutto il mondo per aver dato i natali al mafioso  F.C.; e tuttavia, adesso che il poetosofo è così trattenuto, come decretato, e fatto eseguire con le forze dell’ordine,  dall’accordo dell’emissario del luogo in cui ebbe origine la trivellazione in Basilicata con la chimera che gli abita sopra, la loro presenza è non solo evidente e inquietante, ma ovvia, per quanto il presidente di un famoso Tribunale, all’epoca informato dell’accordo, nulla abbia fatto come nulla ebbe a fare per quel famoso fatto di strada e di calcio avvenuto nell’ambito pretorile, la cui procedura per essere sempre così mirabile oltre ogni evidenza, ancorché sia inerente allo stesso codice di procedura che fu del Regno, non poteva che essere affidata alla regia di un essere mirabile di fatto e di nome, per quanto lo stesso nome fosse in appannaggio, stando a quanto venne reso e diffuso dalla relativa conferenza stampa, a un ‘ndranghetista capoclan connesso alla nuova Famiglia camorrista del cosiddetto ‘O Professore, e anche a quella che a questo fa da specchio.
Ha cercato il poetosofo di indurli a rivelarsi, non come mafiosi ma almeno come bestie immonde, uno per volta, e anche tutte e tre insieme, ed ha suggerito di far venire uno zappatore col trattore e di rivoltare, da mane a sera, e anche di notte, tutta la terra che sta attorno al magazzino dove è tenuto il poetosofo, e di fare tanta di quella polvere che sulla strada il traffico fosse reso impossibile, cosicché poi sarebbero venuti gli zingari di Cassano a dire: “Se la vostra cucina a gas fa fumo…”, intanto che la solerte Prefettura potesse verificare l’effettiva esistenza di questi altri fantasmi; quindi far suonare il campanone al Campanaro con scampanellate tanto terrificanti da spaventare il caseggiato.
Poiché nulla ha alterato la polvere, il fumo e l’orecchio dei mostri, si è rivolto a S. Arcangelo, percorrendo a piedi la strada statale 91: è arrivato appena cinque giorni dopo nel paese che dette i natali al vescovo di Napoli, che, lo si sa, dovrebbe avere una certa giurisdizione sulla Regione Militare del Regno di Napoli o delle due Sicilie afferente all’Ordine di Malta, e dette i natali anche alla madre che gli fu affidata e che, quando poi venne fuori tutta la storia del Petrolio in quella Val d’Agri, fece sparire, dai diritti ereditari del poetosofo, tutto il terreno infinito e gli uliveti come se niente fosse, via, un tocco di delirio e di mano e niente, anche con la mano morta che le fecero venire e che il poetosofo le fece passare con una sua personalissima metodologia chiropratica, non ci fu più niente per il poetosofo così dotato di quel nome nell’ambito catastale L353, nella lussuriosa terra della Magna Grecia e del mostro Sibari, la grossa Troia; ha alluso ai mostri, al drago Cilistaro, ai Saraceni, al brigante Salvatore Giuliano, al principe nero di Cerchiara, alla commenda Gerosolimitana, financo a Finocchiaro Aprile,ai briganti Michele e Arcangelo Curcio per via della Chiesa di S.Pellegrino in Orsara in Capitanata, connessa alle Trebisacce non solo per via dei pellegrini e degli scalzacani,  e ha parlato con deliberata leggerezza della propria anima, sperando o di allettare S. Arcangelo , o di irritare il demonio che il poetosofo sapeva che era lì nascosto [nella sua terra generata dalla madre affidataria e non come livellaria, come la sorella, dello “Scardaccione” così evocato da un Lucente e ombroso delegato alla “Chimica” nel “Liceo Scientifico” custodito da un omonimo , per via di un nome, del separatista evocato per intenerire S. Arcangelo] tra la Sterpina e Santo Brancato.
Non ottenendo risposta, ha fatto ritorno al magazzino nel Pantano di Villapiana, è ricorso a metodi di accertata efficacia per evocare lo spirito della madre, quella vera, che, a dire del demone della cronaca effusiva, si è suicidata, forse, ritenne a un certo punto il poetosofo, impiccandosi  a un ulivo, quando fu proprio il suo pater affidatario che fece abbattere in Culabria tutti gli ulivi secolari del Giardino dell’Arancia di Mia Nonna dello Zen. In realtà, il sottostrada, dove è tenuto, è affollato da entità, anche delle minoranze, che non hanno nessuna lingua, nessun super-io e nessuna costituzione, per quanto la stessa Repubblica protegge e rivaluta i loro piccoli ronzii alle orecchie e anche i peti emessi per pappagallizzare il Gaz che, nella lingua della Fiscalrassi, è il nome, maestoso del Nirvana della Santa Romana Chiesa, dato al poetosofo, dopo averlo privato del nome originario. Quello che egli non sa è che questi fantasmi e mostri non hanno orecchie e che, fatta sparire la Dama Nera delle Strade della Repubblica come se fosse il fiume iberico Guadiana, che ebbe come nome originario Anas, non c’è più nessuna strada che porti a Roma, dov’è custodito l’articolo 22 della Costituzione.
byGaudio Malaguzzi


[i]Cfr. Giorgio Manganelli, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Rizzoli Editore, Milano 1979.

Marisa Aino▐ Tabula Nelva

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Marisa Aino | Fasciculus florum ac Tabula Nelva © 2016



Un pittore per quanto possa essere privo di fantasia e quindi si pensa che possa essere un epigono di Piet Mondrian o un seguace della optical art, o un amante della singlossia, tanto che avendola incontrata per la prima volta ad una fermata d’autobus la riconobbe immediatamente perché  era sotto la sua cintura, e non poté rivolgerle la parola; allora questo pittore che qui espone questa serigrafia una sera il poeta lo incrociò forse a Torino all’uscita del Teatro Regio, dove c’era una mostra di Paola De’ Cavero, che, lo sanno tutti, detestava i fiori, un po’ come Elisa Penna, ch’era il mio vicedirettore e di Vuesse a “Topolino”, che una volta ci fece mandare un telegramma in Spagna per una campagna contro il combattimento dei galli, e qui da mia madre c’era un increscioso pollaio che, poi, mai si è estinto, lasciato in eredità alle sue galline e volatili della riproduzione , e Vuesse più di una volta mi raccontò del porcile che avevano nell’ aranceto di Mia Nonna dello Zen, porcile si fa presto a dire ed è fuori luogo, c’era anche lì un pollaio e a lato la porcilaia, con il porco che poi dopo capodanno avrebbero quei cultori di Salvatore Giuliano scannato perché del porco, lo sanno tutti, non si butta niente, tutto serve,  figuriamoci  i porci della zona di Sibari, che, lo sanno tutti, etimologicamente non è altro che la Grossa Troia, la Grande Troia, la Troia, appunto, della Magna Grecia.
Da qui si vede la serigrafia di Giorgio Nelva, che è del  1968, dietro i fiori che è da Sibari che la fioraia dell’Interflora una sera sul tardi ci portò, per via delle distanze enormi e le poste inefficienti, aggiunse Vuesse, le pratiche di consegna son così delicate e sottili e, se una lettera arriva dopo tre mesi o non arriverà più, un mazzo di fiori per quanto venga da Prato che così ha lo stesso nome del prato dove i fiori dovrebbero stare, e così disse quella volta Elisa Penna quando per il suo compleanno si vide recapitare dall’Interflora un nostro mazzo di fiori, e Hemingway allora, quando mandammo quel telegramma a non so chi in Spagna versus i combattimenti dei galli, che avrebbe fatto, se fosse stato in vita ci avrebbe mandato contro a sterminarci  Asterix?
Ripassando la serie  dei sentimenti, che cosa scorgiamo nella serigrafia di Nelva[i], il passaggio di una giovane donna sotto i portici di via Roma a Torino, e Vuesse che ama la semplicità e la chiarezza  e pensa che le ambiguità e le imprecisioni di un passo quando si protraggono nel percorso  finiscano con l’esprimere che quella del passo non ha mai amato ancora profondamente e a lungo un uomo, e neppure una donna, per questo non è escluso che dopo un determinato numero di passi si fermi irritata, e allora si mette a ridere per come sorprende il poeta con quell’espressione che solo un poeta visionatore ha quando segue una giovane donna secondo i dettami di Jean Baudrillard; in questa serigrafia di Giorgio Nelva, c’è anche questo giovane uomo e quella giovane donna che sono ormai a pochi metri, questa volta in via Po, e lei si ferma e si volta di scatto e si guardano, attentamente, in silenzio, quasi davanti alla vetrina della Libreria Casalegno ed improvvisamente una furia di gioia, o di gaudio, che è più figo, li coglie, tanto che entrambi capiscono, sanno, che nessuno dei due ha mai amato l’altro.
I poeti, lo si dice in giro, son dei grandi cultori dei piaceri singolari, e quindi, in poche parole, degli estremisti pugnettari, tanto che, essendoci, nella serigrafia di Nelva del 1968, il numero 43, si fa presto a tirarsela appresso l’immagine dell’Anatra, che, a sottrazione fatta[68-43], fa la 25 del Foutre du Clergé de Francein cui, appunto, la ragazza torinese del passo viene fantasmata nella posizione chiamata “L’anatra”[ii], che, per i galli e il pollaio di prima, tra Spagna e la grossa porca di Sibari, una giovane sabauda sulla sponda del letto non può che essere uno degli oggetti “a” più fantasmati nei piaceri singolari di quel poeta che ebbe a che fare per più di tre lustri con i paperi e le papere della Disney a Milano.
Nella serie dei sentimenti, anche chi scrive può aver scorto nella serigrafia di Nelva un angolo o un punctum, là come si riesce ancora a vedere, dietro quei fiori, la numerazione 13/15, che, a memoria d’uomo e di donna, il primo ci fa entrare nella posizione denominata “Gli estremi”, in cui quel che conta è che c’è un uccello che trova alloggio in un nido più stretto e gli attanti dei due sostantivi-archetipi(uccello e nido) ne traggono maggior piacere; il secondo rinvia alla posizione 25 e fa entrare in scena anche la figura dell’equus, ma al rovescio[iii]. Nel 1790, si riteneva che così cavalcando al rovescio, la giovane donna, che questa volta è anche l’attante del piacere singolare, con le chiappe così sollevate offre uno spettacolo molto più bello.


[i]Giorgio Nelva  “1968-43” copia 13/15
[ii] Cfr. Les quarante maniere de foutre, dédiées au Clargé de France[1790], Librairie Arthème Fayard, 1986.
[iii] La maniera numero 15 viene chiamata “Il rovescio della cavalcata”.

La bonaccia di Aurelia Mazzacane ♥ I nuovi oggetti d'amore

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Quando conobbi Aurelia Mazzacane[1], che, a dire il vero, i familiari chiamavano, con la pronuncia tipica della “a” e della “h” commutata nel suono “gh”, “Ghurelia”, Ghurelia Mazzacānë, era sulla spiaggia, tutta a pietre, e, senza guardarla, era stesa in una sorta di nageur che ora ne fanno un pezzo  da 500-600 euro “La Perla” e la “Maison Lejaby” che non fa che innalzare il (-φ) di qualsiasi visionatore, ogni volta che uno ci pensa , al 4° grado che Eric Berne, buon’anima, chiamava “orgoglio peyronico”, capite adesso perché non la guardavo, ma si sa che è proprio quando non la guardi direttamente che la stai osservando fin dentro il punctum che ne faccia il tuo oggetto “a” irredento e perenne per  migliaia dei tuoi prossimi piaceri singolari; allora: Ghurèlia stava lì nel suo patagonico nageur, e lei mi disse: “Oh, Enzu’, sai da quando volevo conoscerti? “, e si tirò su e cominciò a lanciarmi sassolini addosso, più giù che su, per via degli occhiali, e fu così che me innamorai, non per via dell’amore, che non potrei mai amare nessuna perché l’amore, l’amore del (-φ) , intendo, è tutto per mia moglie, ma quella volta mi innamorai, come dire?, a cazzo, di Ghurelia Mazzacane.  Oh, Dio, non è che la presi in disparte e le dissi: “T’amo a cazzo, Ghurelia, per via del tuo nageur, o maillot de bain, se vuoi, sei proprio una Mazzacane patafisica!”; anche perché c’era il fidanzato, che, poi, non sposò, ma questa è un’altra storia. L’amare a cazzo è contiguo o quantomeno è connesso allo spirito del libeccio, che, si sa, anche per via di una ragazza così patagonica stesa al sole in quel suo nageur da mazzacana, è audace e, nello stesso sottosoffio, sistematico; e, questo ora ricordo, lustri dopo, mi fu opportuno parlare proprio delle avventure audaci e sistematiche dello spirito del libeccio[2].
Test di Vuesse Gaudio
Un Rosso Miao...
"Donna Moderna" n.12,
Arnoldo Mondadori Editore,
Milano 7 giugno 1988
La combinazione tra giallo e rosso, scrissi, porta tre varianti, mi riferivo a quanto nella rubrica dei Test che curai per “Donna Moderna” fosse entrato in quanto colore:
1) lo spirito aperto e conciliante che soffia tra le grandi imprese e le avventure audaci; 2) lo spirito vivace e la versatilità che soffiano sull’ostinazione sistematica; 3) lo spirito discontinuo tra slancio e capacità d’azione.
Tre varianti per l’animus della donna(che è pur sempre la pelle del tergo per l’aderenza del suo maillot de bain), o, quantomeno per l’oggetto “a” femminile[3].
In sostanza, il libeccio, che si abbinava all’arancione, e che, a Milano, nei miei tragitti urbani non ho mai sentito che vento ci fosse, né mi era mai occorso che un qualsivoglia vento abbia mai sollevato la veste di un mio oggetto “a” così avanzato e urbanizzato, ora che sono qui sulla spiaggia tutta pietre con Aurelia Mazzacane , alla stessa stregua semantica e paradigmatica dei Test per “Donna Moderna”, che spirito fa soffiare con quel suo nageur ante litteram? D’altra parte, era pur sempre un maillot de bain, che adesso li fa a pelo di pelle e di podice anche l’Adidas.

Aurelia MazzacaneQuella dell’amore a cazzo; per via del suo maillot de bain
 
Sembra che lo spirito a volte si stia aprendo e poi c’è in sostanza questa apparente bonaccia, come se sul sintagma nominale, che era l’elasticità del suo pondus e del suo nageur interconnessi, non soffiasse più quel lieve libeccio arancione, e allora la pulsione fallica si acquieta, si fa quasi uretrale, ci vuole poco, e dall’accumulazione affettiva e  dalla sintomatologia quasi feticistica si passa alle conversioni spasmodiche dovute allo schema verbale della pulsione “e”, che è quella uretrale, che soffia dentro, è come se il libeccio  si commutasse  in bonaccia mazzacane: dall’arancione, dai colori fallici rosso e giallo, all’apparente quiete, che, però, è dentro la sintomatologia esplosiva del colore uretrale, che, allora, come sarà?
 Sottentra nella bonaccia mazzacanequello che come immagine può essere una spiaggia di pietre , un mezzo vento di Marte, che, se non è il libeccio, che è da sudovest che scompiglia il dono di sé e alimenta lo step-style tra spirito di distruzione e spirito realista, allora è evidentemente questa bonaccia di Aurelia, la bonaccia marziana, la bonaccia della Mazzacane che ha lo step-style tra la dolcezza  di uno spirito esplosivo e la collera di un fuochista travestito da pompiere. Il colore dello step-style della bonaccia mazzacane, tolto il nageur che è tra il grigio e il beige, è di un giallo lieve, anche il limone, se vai a vedere, è nel paradigma della bonaccia mazzacane, come la sabbia e la pietra pomice, il ciclamino anche e l’ocarina.
O forse è il blu nero, che è il colore dell’incantesimo, seppur nella misura breve del sintagma quieto e nominale, una sorta di miraggio condensato, o un segreto, che non è detto che non abbia verbo, sangue, corpo e sesso. Dentro le cose, questo stile della contuizione , da contuitus (più come “sguardo” che come “vista”, fino a rendere immobile e nominale lo schema verbale deponente del “contueor”  di “guardare con meraviglia”), opera una sorta di contrazione tra conscio collettivo e conscio personale, senza per questo accedere al significato nascosto di una cosa o di un sostantivo-archetipo, non c’è la procedura osmotica mediante un piano affettivo fatto di sentimenti, di simboli, di analogie, è apparentemente la strada della mistica ma ha l’adesione magnetica, breve, dell’amore fisico, tanto che il pansensualismo cosmico, che è sempre poco accessibile, che di solito si concede alle donne nate in marzo o con Giove e Luna nei Pesci, in Ghurelia ha qualcosa di ancor più marginale, come se quel suo step-style della bonaccia mazzacane avesse una lunghezza d’onda criptata: la dinamica, ma si trattava invero di quietudine di Marte, della bonaccia mazzacana[4] non ha mai una coscienza cosmica ma è come se frammentasse non solo il reale ma anche l’etica, non ha sentimenti, simboli, analogie, è sempre dentro questa pulsione un po’ gialla e un po’ blu-nera, una sorta di meccanismo fantasmatico che fa soffiare sempre la sua  bonaccia somatica della Mazzacane tra la quiete degli schemi verbali e l’inquietudine dei sostantivi-archetipi. Per come tira ed è elastico il nageur, su quell’assetto somatico quasi ectomorfo, ma teso e morbido, di Aurelia.Era  quello lo stile della duplicità: che non sa se cedere ai fenomeni di possessione o se farsi ossessionare dai fenomeni di conversione. E’ la bonaccia mazzacana[5], che lanciava sassolini verso (-φ) del poeta. La navigatrice delle pietre grosse e i ciottolino verso il giovane poeta nipote di Mia Nonna dello Zen che, per via delle grosse pietre, era quasi omonima, per nome e cognome, di Ghùrelia Mazzacane[6]!
!by V.S.Gaudio    da: I nuovi oggetti d’amore   


[1] Mazzacanë è, nei dialetti locali afferenti allo shqip, la “pietra grossa”, quella che, appunto, serve per “ammazzare cani”. Macakàn, si legge Mazakàn,  e al plurale prende la “e”: Macakàne, Mazacàne. Non è un caso che, poi, entrai nella storia di Aurélia Gurmadhi, Aurélia Steiner di Durazzo: Gurmadhi, in shqip, può significare “pietra grande; pietra grossa, petrona”.
[2]Sobillato da un post di Gianni Sinni, su “Il Post”, che dava all’arancione, il colore del vento che accomunava la vittoria alle elezioni amministrative di Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli.
[3]E quindi, nel caso del vento elettorale, riferendomi all’elettorato femminile, accennai alla pulsione che combina i due colori fallici, il rosso e il giallo e, quindi, alla scelta vincente dell’arancione, che era l’elemento cromatico del vento della vittoria in quelle elezioni amministrative riguardanti due città metropolitane così diverse, una avanzata urbanizzata, la cosiddetta fascia dell’Italia Metropolitana, e l’altra arretrata altamente urbanizzata, che è nella fascia dell’Italia dispersa e affollata.
[4] La quietudine di Marte, versus la bonaccia mazzacane, se fosse al polo Sud, “scorsi i primi ghiacci galleggianti il 14 marzo, a 55° di latitudine. Il Nautilus navigava in superficie(…).Verso sud, all’estremo orizzonte, si stendeva una fascia di un candore abbagliante. A questo fenomeno i balenieri inglesi danno il nome di ice blink, cioè “bagliore di ghiaccio”: per quanto spesso sia lo strato delle nuvole, questa luce che preannuncia la banchisa, non si offusca mai”(Jules Verne, Capitolo XVIII.Il polo Sud, in:Idem, Vingt Mille Lieues Sous les Mers© 1869), sarebbe l’ice blink, il bagliore di ghiaccio. Che sembra, anche alle latitudini dell’emisfero boreale, inesplicabilmente connesso al 14 marzo. Questostesso step-style mi fa pensare, in musica, al recente fenomeno di Joan Thiele, per la quale abbiamo parlato dell’Hot-line Blink nella puntata 28 de “La posa del caffè e lapsicanalisi”, su pingapal’8 gennaio 2016.
[5] Noi abbiamo prestato l’I King alla poetica permettendone la definizione in merito agli Indicatori Globali usati da Abraham A.Moles per analizzare l’immagine o lo schema. Adottando il metodo di cui abbiamo già riferito in studi sulla somatologia poetica (su Cesare Ruffato, Amelia Rosselli, Ginestra Calzolari, Marisa G. Aino) vediamo come si forma l’esagramma dello stile di Aurelia Mazzacane, che non è poeta ma è semplicemente sulla spiaggia tutta pietre in tenuta da nageur: al 6° posto la densa iconicità fa ottenere una linea intera; al 5° posto, la complessità contenuta ci dà un’altra linea intera; al 4° posto, l’ambiguità alta corrisponde a un’altra linea intera; al 3° posto, la pregnanza elevatissima è quella di un’altra linea intera; al 2° posto, la carica connotativa sommersa, quasi segreta, e talmente intensa, attiva un’altra linea intera; all’inizio, il codice più ristretto che elaborato, quasi pubico e da bagliore ainico per via del patagonico canale di mezzo, disegna una linea spezzata . Il trigramma superiore è Ch’ien, il Cielo, sotto il quale soffia Sun, il Vento, e non poteva essere altrimenti, tanto che l’esagramma dello step-style della bonaccia mazzacane è il 44. KOU, il farsi incontro, o gli incontri improvvisi: dalla mancanza di pelle che attiene alla linea della pregnanza, come se come sintagma il camminare a volte fosse gravoso, al melone coperto della complessità,tra pelo e pelle, anche del culo,  le linee sono celate, e l’immagine è quella che al di sotto del cielo c’è il vento, l’abbiamo visto, tra il giallo lieve e il blu profondo, l’immagine degli incontri improvvisi della bonaccia mazzacane, e sopra, la linea intera dell’iconicità, dice l’I King che si fa incontro con la sua carne e la pelle-nageur, la mazzacane navigatrice, è come se ci tirasse un po’ fuori dal mondo, o dalla linea dell’orizzonte, da cui  la contrizione, lo sguardo dentro le cose, quella spinta sotto,non sempre sotto l’ombrellone,  quell’imbattersi in bilanciate anomalie, abbaglianti quieti, opinioni chinate, lunghe fibre riavvolte, l’istante dell’esplosione iniziale, turbolente seduzioni, due energie, nulla di particolare prima del ritorno nella bonaccia .
[6] La nonna del poeta è, in quell’anagrafe della spiaggia tutta pietre, Aurelia Petrone,  speculare a quella giovane Aurelia Mazzacane di questo elogio e all’Aurélia Gurmadhi, la Petrone di Durrës.


Il candido poeta e le Cose che non esistono▐

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Il mondo che non esiste e la Ph.D alla fermata dell’autobus x

Con estremo stupore, lei notò, alla fermata dell’autobus, un candido poeta. La cosa la stupì molto, perché il poeta era stato un capitolo intero della dissertazione di dottorato delle Cose che non esistono; lei era stata allora assai competente in fatto di Cose che non esistono, o che, pur avendo un codice fiscale, non hanno il Nome originario, che viene occultato per motivi politici, ad esempio brigantaggio , separatismo e ammašcature di minoranze etnico-linguistiche. Si intende che quando si studiano le Cose che non esistono, si chiariscono anche le ragioni per cui non possono esistere, e i modi in cui non esistono: giacché le Cose possono essere impossibili, contraddittorie, incompatibili, extraspaziotemporali, insignificanti, antistoriche, recessive, implosive, senza ruota, per quanto pare che bastasse a un certo punto del secolo scorso dire la parola in gergo “parròt”, ovvero “senza ruota”, per avere , sulla parola, assegnato l’appalto della strada richiesto. Si può non esistere anche in molti altri modi. Il poeta, quel poeta poi, era assolutamente antistorico, difatti la giovane Ph.D  lo aveva visto alla fermata con un autentico e originale Panama, un modello col nastrino di cuoio, roba che, nel secolo scorso, trovavi solo da Barbetti a Bologna, dove, non a caso, afferivano, oltre che il poeta che non esiste, cantanti e futuri presidenti della Siae, che, invece, non possono che esistere, come certifica questa stessa società finalmente amministrata dai loro stessi associati, come se fosse un vero e proprio Consorzio; il poeta che non esiste eccolo lì, alla fermata dell’autobus, e la gente non sembrava farci caso; ma lo straordinario non era finito: infatti il poeta stava parlottando con qualcosa che egli non vedeva, mentre, salendo sull’autobus, toccava incurante il  podice di una ragazza in jeans, e, giacché era toccata dal poeta che non esiste, lei non avvertiva niente; esibì il biglietto con più corse, che naturalmente non era più in corso ma giacché non esisteva nemmeno lui il controllore non si avvide di niente; ed allora si trasformò in un poeta calabrese di media statura, con occhiali neri molto spessi. Questo poeta era un essere complicato, e la sua inesistenza era dovuta a un eccesso linguistico, scriveva poesie in dialetto, ma il dialetto di un paesino  che, roba davvero inesistente, nessuno mai aveva pensato di poterlo scrivere, e neanche di saperlo scrivere, figuriamoci a leggerlo dopo; inoltre era un essere descritto come pericoloso, non perché i suoi occhi avessero poteri impossibili ma semplicemente perché era un poeta inesistente correlabile alla Maffia; il poeta calabrese, che non solo era inesistente ma non sapeva né leggere né scrivere come quelli del suo paese, aveva una borsa sotto il braccio,un po’ come quell’assistente Unep che affiggeva sulla porta dello stesso poeta inesistente pezzi di fogli (con ordini, ordinanze ed esecuzioni armate e soggetti addetti allo scasso) stampati dalla inesistente tipografia Baudano di Torino,  e quando si avvicinava un autobus, metti che era appunto  a Torino e doveva andare in piazza Carducci passando da via Nizza, l’apriva e ne tirava fuori qualcosa, qualcosa, che forse stava in una delicata Fondazione afferente alla Ruota e quindi anche all’Ordine degli Autobus, dei Treni e dei Tram, e delle Metropolitane anche leggere: questa qualcosa guardava il numero dell’autobus e lo diceva al poeta calabrese inesistente, perché si capiva che con quegli occhiali lui non poteva vedere niente, e difatti quando arrivava in piazza Carducci lo buttavano fuori a pedate nel culo. La specialista in Cose che non esistono era assai turbata, come ogni semiologo che si rispetti, che, anche quando non era titolare del Corso ma doveva essere il relatore della tesi, darà sempre 4 voti di meno al candidato elevato perché così gli ha suggerito l’Ordine della Ruota  e delle 4 Ruote motrici. La Ph.D si mise a vagabondare senza una meta precisa, e incontrò, manco fosse al Grinzane Cavour, un poeta agricolo pugliese inesistente, un poeta lucano o antelucano per l'elogio della riforma agricola e della civiltà delle Macchine, una poetessa veneziana già suicidata, e un’altra romagnola in bicicletta con i pantaloni rossi, come quelli che Nadia Campana mise quel pomeriggio del secolo scorso nell’ultima primavera  in cui passeggiò in quella città con il poeta candido inesistente che la giovane Ph.D  con estremo stupore  ha notato, qui, alla fermata d’autobus; incontrò anche un poeta satiro, che non era  Carlo Villa, che aveva scritto a Marisa Aino, la moglie del poeta candido da cui lo stupore alla fermata d’autobus della giovane Ph.D,  dicendole che avrebbe voluto dipingerla in punta di pennello; un poeta siculo con la testa in mezzo al petto le chiese dov’era la Condorelli per via dei torroncini che si stava avvicinando Natale e doveva acquistarne almeno 12, e la ringraziò cortesemente, avendone ricevuto un sorriso di  lieve scherno; un poeta sonoro, e forse anche visivo, e anche performer, inesistente e doppio anche nel cognome, attempato ed elegante come solo un torinese può esserlo anche senza il punctum dei polsini[1].  Quando cominciò a vedere poetesse come la Valduga, la Frabotta, Carla Bertola ma anche Giulia Niccolai, Mara Cini, Rosita Copioli, Jolanda Insana, Marisa G. Aino, Milena Nicolini e Anna Malfaiera , le parve di essere sempre vissuta in una città deserta di essere umani, o tutt'al più popolata di comparse e di poeti inesistenti; ora la giovane Ph. D comincia a chiedersi se anche il Mondo, o la casa editrice del padre, sia una cosa che non esiste.
xGaudio Malaguzzi
Arrigo Lora Totino
Io e deicollage su cartoncino cm 30x118
from: Sarenco(a cura di),POESIA TOTALE 1960-2010,
Fondazione Sarenco, PAL Verona 2014


[1]Pare che Gaudio Malaguzzi stia alludendo ad Arrigo Lora-Totino, di cui ci è giunta in tarda serata ieri la notizia della scomparsa. Il poeta candido, di cui alla dottoressa di ricerca in Cose che non esistono, pare che, nella lunga permanenza in quel di Torino, mai si sia imbattuto in Arrigo Lora-Totino, nemmeno pare che l’abbia mai intravisto alla fermata dell’autobus a Porta Nuova, lato via Nizza, di cui alla fotografia del logo. D’altra parte, da quello che risulta dagli studi della Ph.D in questione, entrambi non esistendo come avrebbero mai potuto localizzarsi, forse in un poema sonoro dello scomparso ? O in una poesia ginnicacon la contorsionista del Circo Orfei,quella Sandra Alexis anch’essa inesistente, di cui all’estetica dell’andatura di V.S.Gaudio? O forse era una poesia liquida e per via dei tuffi traslati tutto, tuffatori e attanti della musica liquida, s’erano liquefatti?

● L'occhio di Lacan e la libido del topo ♪

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L’occhio di Lacan
 

dai seni grandi lividissimi gli infiniti
quali andanti a singulto
freddo evacuare
da che deglutendo dinanzi l’occhio l’avido
l’opacità irriflessa la terra
latrina sognandoci spezzato
le ginocchia appunto ingigantito tremando
il vaso i glutei tagliando veramente
cavandosi gli occhi

dalle protezioni l’orbita l’avida pozza
sorridente l’immagine
fantastico sogno indicando in disparte
colpendo gli occhi esplodendo i colori
il tempo felice le persecuzioni
l’anoressica tortura
l’innocente
signora innocente la mater mutando
tracciando

da chi divora
dai livelli i morbidi i rotondi gli archetipi
gli amplessi gridando
bisessua capezzoli
entrambi
insieme l’enigma lo scheletro ricuperando
lo stesso lo si mastica
(8 luglio ’74)


di considerazioni  posate negli specchi
ti ripeti nel groviglio
contorsioni conversando
statica appena respirabile
quando capita
giocando ripeti rigidamente a tratti
elegante elusivamente l’angoscia
il caso m’appunti
chiarendo dal diaframma pronunciandosi
nel ventre
il pene divorato piuttosto

di sconnessioni rapidità asteniche
suggerite inedite addizioni
dalle depresse
le concezioni sospese le incertezze
m’aggiungi l’oralità
gli ostili i sensi ancor di più
le evidenze

dall’infinito nessuna figura
la depressione  volgendo proiezioni
ambivalenze in lotta
che rabbia identità abbandonate
tacendo
allagamenti l’onnipotenza  di perdersi
(8 luglio ’74)

stimolando
vantaggi gli spostamenti offensivi
invece
dai conflitti quel che di più si sposta
sulla virgola continua regredendo
dice mi fermo di là c’è vagina dentata

aprendosi al progresso gli intervalli
caricandoli un accento scandito sull’accento
il frammento delle abolizioni soffocando
dietro
la tensione l’apertura togliendosi
in emersione possibili articolandosi in aggiunta
i possibili della fragilità comunicandosi
lieve penetrata
l’implicazione la suggestione in potenza
s’allarga

dal semplice come connessa l’angoscia il desiderio
allungandosi la soddisfazione
sembrandosi importante incontrollata sessualità
definendosi
riposo fallito,
la pace in regola costruita sui vuoti lo spazio
la richiesta
azionandosi
preparando
dilatazioni in trama spalancando fori aderendo
lo squarcio rovesciato
discorrendo in inversione il titolo, la pura ascesi
guardarsi inserito collegato infine
(9 luglio ’74)

violentandolo dice il segno
nell’orecchio tace la scoria, l’occhio dei segreti
la serenità delle distanze
il passo dei messaggi nei tormenti  l’ultima ora
il giorno s’aggrappa la precarietà dei centri
di un’altra contemplazione

la coscienza delle implicazioni dicendo il tragico
la stessa privazione l’ovvietà stringendosi
accanto la riduzione i lacci i gesti i nudi
i pensieri agitati
i contorti arruffati imbiancando capelli
(9 luglio ’74)

! da: LA LIBIDO DEL TOPO, in→ V.S.Gaudio, SINDROMI STILISTICHE, Forum/Quinta Generazione 1978

Malaguzzismo. Le voci di Trebizecce

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Le voci dell’intermaffia (
Sempre, diciamo con un ritmo di venti-ventisette volte alla settimana, questa signora, che è la moglie del poeta, riceve delle telefonate che potrebbero non essere destinate a lei ma alla madre, che non c’è più, e che comunque la lasciano talora sconcertata, talora avvilita, talora eccitata, quasi sempre rattristita se non incazzata. Voci diverse irrompono nella sua vita abbastanza custodita e allo stesso tempo isolata[i], quasi confinata in un pantano, tra una ferrovia, un bosco torinese e  una ex strada statale che, ora che è da lustri provinciale, almeno  d’estate è invasa da tagliatori d’erba, coltivatori dell’erba del ciuccio che vola e spontaneisti  motorizzati dell’allucco al poeta senza ruota, e le parlano, distrattamente, come se la telefonata fosse casuale e fosse sostanzialmente quella che è, una molestia ombrona, di immagini di vita e di miracoli, di ricreazioni e pizzerie che lei non frequenta. Le vengono non di rado  proposti delitti, complicità in gesti sordidi, frodi, evasioni fiscali, versamenti all’esattoria ammašcata di Malta; le vengono offerte dosi di Ghb, uomini “sicuramente sifilitici”, cadaveri di esseri ripugnanti che sono apparsi nel casolare del pantano, ancora tiepidi o debitamente surgelati nei magazzini dei pescivendoli di Trebizecce, dove, secondo la grande anagrafe dei Mormoni di Salt Lake City, ebbe a nascere Juan Catera che andò nel 1890, pur essendo nato  nel 1906, sposo con Rosa Corvino, nata nel 1910.
Lei ascolta con orrore, impaurita, dentro il pantano dell’Heimlich più indefinibile, anche con eccitazione, quando è il caso. La sua vita, finora dentro la tela infinita dell’estetica e dell’erotica tessuta con il poeta, si arricchisce di un fasto sinistro, lei ha la sensazione di essere al centro di una trama poderosa di infamie mirabili, di empietà senza fine, di blasfeme apparizioni, anche di corrotti abusatori di fanciulli indifesi, affiliati dell’intermaffia della Fiscalrassi di cui a Georges Perec  nei 53 jours[ii], che fin dagli anni Sessanta  venivano  con identità e provenienza contraffatte a nascondersi nel casolare del Pantano e del Bosco del Torinese , tra l’altro dandosi come insegnanti, a vario titolo e ruolo, nelle scuolette degli ombroni in quel luogo che  “The Church of Jesus Christ of Latter Day Saints” chiama “Trebizecce”.
Le voci che le telefonano cambiano, ma lei crede di aver riconosciuto almeno tre voci: una voce femminile, adolescente, che le dà frettolosi appuntamenti, non sa se per piccole ma audaci imprese ladresche, ad esempio irrompere nel Giardino di Mia Nonna dello Zen e, nonostante la presenza degli asini degli zingari, e dei cani degli ombroni scalzacani, portare via quante più arance possibili, nonostante non vi siano più alberi d’arancio, o per più maliziose complicità corporali; gli appuntamenti sono impossibili da eseguire, ma dati con tono imperativo, impaziente; talora, come nel caso del Giardino, dicono il luogo, ma non l’ora, e il luogo risulta sprovvisto del frutto da asportare, o addirittura, come ormai è acclarato anche nel caso del Giardino anzidetto, il luogo risulta inesistente; talora indicano il momento in modo provocatorio e allusivo, “Ci vediamo …[e dicono un giorno che è nella mappa libidica della moglie del poeta: ad esempio il giorno di un appuntamento con il futuro poeta e marito, quando ancora erano ragazzini] sul lungomare anche se c’è vento[la voce sa che il poeta ragazzino se c’era il vento non andava mai all’appuntamento]!.
Un’altra voce è maschile, e le parla solo di commerci carnali, di tradimenti, di fughe, di piaceri singolari, di complicità, di corna; questa voce talora supplica di essere accolta, almeno maneggiata, anche se vuole entrare in lei, e quando lei è tentata di credere a questa allucinante proposta, l’uomo le rimprovera di essere una zoccola imperterrita, una ninfomane, e infine le urla che ne darà conto a suo marito, quel cornuto trascendente se non grandioso! Talora questa voce, se non perde il controllo, le dà appuntamenti in caselli abbandonati e sbarrati o in casolari circondati da belve feroci, ai quali la donna non ha mai cercato di recarsi.
La terza voce, androgina o apparentemente maschile, suggerisce l’immagine di un uomo estremamente vecchio. Potrebbe essere la voce di un morto che lei ha conosciuto, uno di un clan camorristico o della ‘ndrangheta, dell’intermaffia, per intenderci, portato in quel casolare, data come finta abitazione, dalla sorella mercante di abiti e di maschere, di traffici immorali e di pillole per abortire. Il vecchio fantasma parla monotonamente di cose che non ha mai avuto e conosciuto, tipo l’i-phone o lo smartphone, è uno che sì non ha partecipato alla guerra boera ma nemmeno alla seconda guerra mondiale, né è stato affiliato della Banda Pignatelli, come il padre della signora che riceve queste telefonate, addirittura di una cantante che è stata a Sanremo quando quella povera donna incapsulata nello spazio toglieva a ogni utente Rai il bonheur musicale per la proiezione claustrofobica che attivava. Questo coglione non pare che attenda mai una risposta, anche perché non solo non esiste ma è esistito come significante  per via di un anelito o di un “chiurito”[iii]anale della sorella di chi viene molestata; e il suo discorso non solo è impreciso, ma è quello di un’identità spammer che non solo ha smarrito l’ordine ma addirittura il codice penale.
)by Gaudio Malaguzzi


[i]Un po’ come nella Ottandue della Centuriadi Giorgio Manganelli, Rizzoli, Milano 1979.
[ii]53 jours” est le roman auquel Georges Perec travaillait au moment de sa mort, survenue le 3 mars 1982. Le livre publié est une édition ètablie par Harry Mathews et Jacques Roubaud, P.O.L. èditeur 1989. Cfr. Aussi l’èdition per la collection Folio di Gallimard, Paris 1993.
[iii] Il chiurito[dialettale, tra ammašcante, presilano e shqip; cfr. shqip   “kùrìm”=”trattamento”, " cura”]è una sorta di erezione al limite del 4° grado come la intende Eric Berne ma nel soggetto desiderante femminile.Naturalmente il “trattamento” è connesso anche al richiamo del chiurlo, che funziona come il Berg di Witold Gombrowicz e il Sonar di Simone Dauffe, nello “Chambonheur” di V.S.Gaudio. Non si dimentichi che in sanscrito “kur” è lo schema verbale di “pronunciare un suono”. E “kurira” è “un tipo di copricapo da donna”, che, in una semiologia gergale o ammašcata, funzionerebbe da segnale o avviso a chi il “chiurito” è destinato. Va da sé che il “chiurito” può essere, pure e sempre, multiplo, plurimo.

AUBERGINE NELSON.I nuovi oggetti d'amore

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AUBERGINE NELSON.

L’iconicità flemmatica, quando è così innamorata, è come se fosse una sorta di eggplant[i]che è sostanzialmente una sorta di impianto  dell’incitare, la pianta dell’uovo, si può anche dire, perché dentro c’è  il peso di una normolinea quasi mesomorfa, che, a seconda di quel che indossa, non si riesce a capire se il suo indice costituzionale sia più teso verso il 53 o più allargato e pesante verso il 56[ii]; l’indice del pondus, mettetela come vorrete quella figura, o come la fa mettere Kenton Nelson, è sempre nell’iconicità e nella pesantezza lieve della melanzana, a questo punto, per l’occhio del visionatore, è una questione linguistica: la figura di Kenton Nelson, nella certezza che sia lì, ad aspettare il visionatore o il poeta se vogliamo, forse ad accoglierlo con letizia, ecco lui volta l’angolo e sussurra: “Aubergine[iii]e lei bruscamente sta per voltarsi, con tutta quella sua lentezza che le allunga la  tenerezza del valore “alto” del suo indice del pondus corrispondente al 20[iv], o quasi “medio-alto” che farebbe 21, per via del naso[v], o di un nodo che, se il visionatore cerca, da qualche parte si esprime come una sorta di punctum del cosiddetto bagliore didonico, o ainico, se proprio vogliamo che abbia la tenera iconicità dell’oggetto “a” del poeta privo di fantasia.Riprende a camminare, ogni tanto si ferma, per farsi ancora più iconica e ancora di più o meno tenera, ora con indifferenza studiata, quasi villana, insolente, addirittura è sul punto di ingiuriare il visionatore, anzi vorrebbe percuoterlo, aggredirlo, morderlo; vorrebbe catturarlo e seviziarlo, quel suo maledetto nemico. 

Poiché non accade nulla, fingendosi assalita da qualcosa di viscido e feroce, urla, grida, scantona, attraversa la strada, affinché possa sembrare una preda, la melanzana che è dentro la figura dell’oggetto “a” del poeta, la pelle e il colore della sua pulsione fallico-uretrale, vuole fargli credere di essere una preda agevole, con tutto l’agio e la pesantezza tenera e tesa di Aubergine, oggetto eggplant, che istiga un inseguimento implacabile, la melanzana come daino, o come melanzana ripiena, per lasciare una traccia, per la libido del poeta-visionatore; il silenzio è intatto, si sdraia, si mette a sedere, si alza ancor più lenta e immobile di prima, e prima ancora che ci si rimetta a inseguirla, come se lei stesse andando incontro a quello che nello stesso istante in cui si sta sdraiando la sta inseguendo. E’ sul punto di mandar odore di selvatico, di carne madida e roscida da predare, odore di pelo. Non accade nulla, o se è accaduto, lei stava guardando in alto, lui camminava sulle aiuole, lei adesso sta raccogliendo fiori, nulla è mai accaduto. Si ricompone, si lava, si risiede, getta via i fiori. Proverà domani con altre melanzane ripiene, forse tra qualche giorno, con un’altra luna, che sostiene la pregnanza dell’uovo e l’iconicità dell’impianto della melanzana.
by V.S. Gaudio!I nuovi oggetti d’amore © 2016





[i]Melanzana.
[ii] Cfr.V.S.Gaudio, Kenton Nelson.La figura innamorata, in “blueblow” 2016/09/11 .
[iii]Melanzana.
[iv]Cfr. V.S.Gaudio, Come calcolare l’Indice del Pondus, in: Idem, Oggetti d’amore. Somatologia dell’immagine e del sex-appeal, Bootleg Scipioni, Viterbo 1998: pag.77. L’indice del pondus, nel sistema di V.S.Gaudio, più decresce più ha valore alto, per cui, nella forchetta del valore alto, si va da 12 a 20: il valore alto 20 è meno alto di 19 e questo di 18…; nella forchetta del valore medio-alto, si va da 21 a 26, e naturalmente l’indice 21 è il più “medio-alto”, nel senso che è maggiore di 22, 23,26.
[v]Correlando l’indice del pondus pari a 20 con l’alfabeto mnemonico, avremmo per la cifra 20 l’archetipo-sostantivo “naso”, e per la cifra 21 l’archetipo-sostantivo sarebbe o potrebbe essere “nodo”, difatti “n” equivale a 2 e “d” a 1, come “s” equivale a 0.


Giallo Saraceno▐ Il tesserino venatorio e la tessera elettorale

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Non si va a caccia in canottiera
“Ho appena ucciso mio marito” confessò piangendo la vedova Genoveffa davanti al corpo di un uomo robusto steso sul prato.
“Come è successo?” chiese il maresciallo o il luogotenente, come lo chiamava l’ufficiale giudiziario B1 dell’ex pretura circondariale, venendo subito al sodo.

“Andammo a caccia. Per questo ho il tesserino venatorio. A mio marito buonanima piaceva molto andare a caccia, sebbene fosse sulla sedia a rotelle, come a me. Solo che lui non aveva il tesserino venatorio. A un certo punto ci separammo. E lui aveva con sé il tesserino venatorio. L’erba di questi tempi nel pantano è molto alta. Suppongo di averlo scambiato per una lepre e ho sparato a zero. Stavo scuoiandola quando mi resi conto che avevamo una figlia. E allora ho sparato a zero anche su di lei.”
“Hmmm”meditò il maresciallo o il luogotenente come lo chiamava l’ufficiale giudiziario o l’assistente unep, come risultava dal timbro che appostava sul foglietto della tipografia Baudano di Torino e metteva in una busta, non affrancata, con tanto di nome: “Stamperia Reale di Roma”, dando un’occhiata all’erba appena tagliata. “Si vede che lei è una buona tiratrice, per questo ha il tesserino venatorio. E’ riuscito a prenderlo proprio in testa. E il bello che ha preso in testa anche sua figlia.”
“Oh, no, è stata solo culo. Io veramente sono una dilettante: apro la caccia, vado all’ascolta, faccio la posta, sto a balzello, adesco e provoco l’alzata in volo.”
“Capisco,” il maresciallo, o il luogotenente come l’assistente del foglietto della tipografia Baudano di Torino lo chiamava, esaminò le tasche del marito. Non c’era niente, nemmeno uno stampo.
“Signora Genoveffa, è questo il primo incidente di caccia per suo marito? Ovvero, siamo sicuri che questo cadavere sia proprio suo marito?”
“Nel pantano in precedenza c’era stato un altro incidente. Ma non da sparo. Un falco gli portò via il certificato di residenza.”
“E dove risiedeva dopo?”
“A casa.”
“La tessera elettorale era la stessa?”
“Sì. Cittadino modello. Vede: ha sempre votato, ogni volta che c’è da mettere la croce a matita, buonanima, quel fesso, mai s’è tirato indietro…”
“E come mai a uno che non si tirava mai indietro lei gli ha tirato dietro la testa?”
“Perché quella cazzo di croce che metteva sempre ce l’aveva in testa e mi son detto: vediamo mo’che cazzo esce: croce o testa?”
“Ha tirato all’alzata o a fermo, cioè lo ha preso di infilata suo marito?”
“Ho provocato l’alzata in volo e l’ho abbattuto.Che culo!”
“Con altri, cacciatori, falconieri, cinegeti o venatori, frugolatori, tordai, battitori, uccellatori, spadellatori, si era mai messa alla posta?”
“Sì. Con qualcuno di tutti quanti quelli mi sono messa alla posta…e anche alla banca.”
“Ha provocato l’alzata in volo con quali richiami…con l’inganno, lo specchietto per le allodole, la cantarella, o il volantino?”
“Con il fringuello di richiamo e lo zimbello facevo sempre cappotto”.
“Suo marito ha sempre portato la canottiera?”
“Veramente no. La portava sempre con sé per casi specifici, come quando andammo a funghi o a raccogliere i pomodori lui e io i cetrioli. Perché me lo chiede?”
“Si direbbe che fosse un separatista.”
“Lo era.”
“E sua figlia perché colpirla proprio in testa, cos’era selvaggina nobile?”
“Quella manco un uccello da passo era…L’ho colpita alla testa perché ho culo e forse per quella cazzo di croce che mio marito aveva in testa: sempre testa è, testa il padre, testa la figlia…e ci ho messo la croce. Che dovevo fare?”
 
 
Come ha capito il maresciallo
[o il luogotenente come lo chiamava l’assistente
unep della tipografia Baudano, inesistente, di Torino]
che non è stato un incidente?
Un cacciatore esperto come il marito della signora Genoveffa non avrebbe mai cacciato i cervi nel bosco del pantano in canottiera. Lì, tutti sapevano che, di ciucci che volano, sì, ma di cervi in canottiera non se ne parla nemmeno.
In verità, la signora G. l’aveva colpito a morte con un legno mentre lui stava falciando l’erba e aveva tentato di far apparire la cosa come un incidente di caccia trascinando il corpo nel bosco e lasciando vicino al cadavere una copia di “Locomotive e Treni”nonostante lì ormai la ferrovia fosse in disuso.
Nella fretta si era dimenticata di equipaggiarlo, non dico la giacca alla cacciatora con carniera ma almeno la cartucciera, o almeno dotarlo del cappello di capostazione. Per quale ragione poi lui stesse falciando l’erba in canottiera rimane ancora un mistero. Come il fatto che la figlia, pur non essendo in canottiera, anche se aveva delle tette belle piene, e né stesse falciando l’erba, come mai si trovasse al casello ferroviario con la barra alzata senza il biglietto per il treno nonostante lì non passasse più nemmeno un treno merci da almeno un lustro?

 Lebenswelt di V.S.Gaudio con Woody Allen


 

 
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