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Denis Villeneuve ░ Next Floor

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Ilaria Bernardini & V.S.Gaudio  La Disney non ci fa fare il film...

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Quella volta che Paperinak voleva registrare il marchio dei Seals e l'aveva già fatto la Disney...




Idee per un film/3

31 maggio 2011
Lui la deve salvare, lei è nei guai (torre, nascosta, rapita, in prigione, addormentata da strega cattiva ecc). Ah no. Fatto.





vsgaudio 

Paperinik la deve salvare; Paperinak è nei guai(rapita da Bon Ladan sta segregata in Pakistan e non in una torre saracena lungo le coste calabre, come si pensava in un primo momento). Arriva la Navy Seals e la salva. Lei, appena a casa, va a registrare il marchio dei Seals per fare un po’ di soldi con i sandalini, gli elicotteri, le barchette, gli ombrelloni, targati Marines. Ah no. Fatto. Dalla Disney.



I Test Astrologici di Paperinik di Vuesse Gaudio
"Topolino" n.1374, 28 marzo 1982

Wordle: la disney non ci fa fare il film
Avete visto che nella Wordle manca Ilaria Bernardini?
C'è la torre, ci sono i seals, c'è la cattiva, c'è Paperinik,
c'è addirittura vsgaudio, c'è anche "Fatto"...e lei no!
Intanto, però, se cominciate da Ah, che vedete?
"Ah salva vsgaudio Paperinak"!...Hai capito la Pupa,
salva il poetino che fu colonna della Disney, che,
se guardate a destra in alto, che fa? Primo: "soldi".

V.S.Gaudio ░ L'aquilone è il marsianu di Furgiulia?

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from iainclaridge



Non c’è niente all’orizzonte, un cambiamento che possa prodursi
nella profondità del mare, o tra l’orizzonte e la spiaggia,
contro il mio corpo, questo freddo del vetro, che a momenti per come vibra
si potrebbe pensare che la luce venga dal fondo del mare,
questo colore troppo pieno, o quando si fa trasparente come il marsiānu,
dà una levigatezza, di un bagliore che non è quello del fosforo,
ma, non essendo quello della profondità del mare,
è dal fuoco della carne che viene, dopo l’ottenebramento al crepuscolo,
quando non tutte le cose si fanno più belle,
non tutte le vie, non tutte le piazze,
non tutte le persone a sera,
quando sono in giro, mi piace vedermi camminare
nei vetri delle vetrine, come mi piace veder camminare
la zingara, che ora è Furgiulia Cutacchjuna,
vedere da tutto il suo corpo disegnato da una linea gialla
l’irraggiamento di un’aureola, questo suo modo di girare la testa
e guardarmi nei vetri delle vetrine e con un dito mi disegna
il naso e la bocca e in generale non mi bacia e neanch’io la bacio,
la tocco, sì, ci diciamo tutto con le mani,
e guardiamo i bagliori e i riflessi del suo fulgore ainico,
il quale emana dal proprio interno una luce azzurra
che è quella del Marsiānu, ed è il legno che sta bruciando
così fino all’eternità e all’infinito,
come se tutto dovesse durare fino all’autunno
che è la stagione degli aquiloni dove non c’è il mare,
perché davanti a me nasce così questo colore,
che è molto intenso, come la sua veste verde turchese,
come i suoi jeans in cui c’è tutto il suo bagliore ainico
tenuto in questo colore così intenso, come se fosse il mare,
ma più piccolo, un mare nel tutto del mare,
e lei va a prendere la birra e poi facciamo
insieme un aquilone, stringiamo i pesi dei fili
affinché l’aquilone possa salire con precisione su ai cieli,
e poi facciamo rapidamente una lunga coda, a corda,
e lei lega colombelle di carta e così ci rechiamo a Okrouhlik
o al Parco Pětrín, e quando lancio l’aquilone ai cieli
e allento i fili e per un attimo li tengo nelle dita e tiro,
affinché l’aquilone si tenda e resti immobile nel cielo,
e solo con la coda formi a onda la lettera S,
lei ha il volto coperto dalle mani e i suoi occhi stupefatti
per quella luce del desiderio che è l’S barrato
e l’aquilone è la losanga, il punzone,
che ha agli angoli il godimento, l’angoscia, l’oggetto a e A,
e la luce che non viene dal fondo del mare,
poiché aè irriducibile e Furgiulia[i]Cuticchjuna regge adesso
questo aquilone che è così trasparente e che ha il suo stesso fulgore,
la levigatezza delle sue gambe e delle gambe degli angeli Stuart,
il bagliore didonico del suo podice e del podice degli angeli Stuart,
Un angelo Stuart
ma  a, lo sappiamo, non è assimilabile a un significante,
e S non è il godimento, lei  si sente volare, in su nel cielo,
la reggo per le spalle, e la tocco, e io sento quel tocco
e comincio a tremare tutto, e a un tratto quell’aquilone era il suo corpo
e il filo era davvero lo Spirito di S che sta tra godimento, oggetto a,
angoscia e desiderio e la zingara trema tutta proprio come me,
trema come trema[ii]anche l’aquilone sotto i colpi del vento
che lei chiama “Shqiponjë-shqiponjë”[pr.: sc’kipogn’] come gli albanesi,
non avendo nella sua lingua ammašcânte alcun termine
per indicare l’oggetto a che vola se non “muffulo”
per come l’aquilone le sembra un fazzoletto[iii].



[i] Si è supposto che Aurélia Stuart Steiner o Furgiulia(che si può scrivere anche:Furgiuwia)Cuticchjuna possa essere la cugina di Aurélia Ašmantama di Goa[vedi: V.S. Gaudio, Aurélia Ašmantama di Goa, © 2008]: c’è una leggenda metropolitana in cui è chiamata “Suvarnasvara Ašmantama”: “Suvarna”, in sanscrito, è “oro” e “svar” è il “sole”; “Ašmantama” è la “pietra grande”. Nella zona della Vlašská, la leggenda metropolitana narra che qualcuno la chiama “Vrišowa”, per l’”oro” che è “vrišolu” in ammašcante; o anche “Vrišuwuna”, in cui c’è anche l’accrescitivo di “Cuticchjuna”, Aurélia Petrone in ammašcante. In altri quartieri di Praha è conosciuta anche come Sǖrya Furguwa, cioè “sole”, in sanscrito, e che attizza sempre, maneggia, radice proairetica della “folgore” e del ”razzo” in ammašcante. In Furgiulia, o Furguwa, c’è anche commutato il “fergiuwu”, che è l’”oro”, che  si connette alla “forgia”, la fucina, il Forgulu.
[ii] Che cosa aggiungerebbe al paradigma dire che tutti questi “trema” che “bucano” il testo fanno in realtà sottentrare i “trema” frattali che rappresentamo-come scrive  Benoît B. Mandelbrot- “porzioni di spazio modellate, a seconda dei casi, su diverse forme geometriche(intervalli, dischi,cubi,ma anche figure più irregolari) e che vengono ritagliate ed asportate da un oggetto in base a una procedura che può essere tanto di carattere deterministico quanto di tipo aleatorio. Il neologismo “trema” riprende letteralmente il vocabolo greco τρημα “buco”(B.B.Mandelbrot, Gli oggetti frattali, trad.it. Einaudi, Torino  1987: pag.157)? L’”aquilone” è il “foro”, il τρημα , che, rappresentando una porzione di spazio modellato, ha la stessa dimensione topologica della polvere di Cantor, allora è questo 0 che buca il Meridiano di Praha, ed è per questo che il poeta «trema”, per la losanga quadarara Shqiponjë-shqiponië ? A seconda della procedura, la porzione di spazio modellato che “trema” al Meridiano può avere un carattere tanto deterministico quanto aleatorio? Tra godimento, oggetto  a, angoscia e desiderio , l’aquilone che fora il Meridiano ha in sé il  “fuggo per la paura” di τρέω ?
[iii]L’aquilone, che Aurélia Steiner chiama “Shqiponjë-shqiponjë”, cioè usa la forma superlativa dell’albanese, raddoppiando, ripetendo, specchiando il sostantivo di base,è anche il “settentrione” e il vento di tramontana , che soffia da nord: al Parco Petřín è come se fosse il meridiano di Praga; che, se si temporalizza l’abbordaggio della giovane zingara al poeta con l’asse Asc. 120-Disc. 300(di cui alla nota 59) alla latitudine di Praha, 50°05’ Nord, l’asse Mc-Fc è 7-187(che corrisponde come tempo siderale a 25 m35s): è questa la losanga del passaggio al meridiano di Praha dell’analemma esponenziale dell’oggetto a del poeta, la sua apparizione demonica, la losanga accende il suo bagliore ainico? E in questo bagliore cosa è che si riflette nello specchio o nell’occhio del poeta o del visionatore? La posizione 25 du Foutre du Clergé, Fergiulia che si mette in ginocchio sulla sponda del letto, prosternata, il culo sui talloni, e il poeta dietro di lei che fušca e fa l’enzuvë lasciando la scursénta sempre aperta per timore che arrivi lo zingaro a fotografare,
Lo Spirito di S , l'aquilone di Furgiulia e le zingare
 lei che non è sul letto inginocchiata ma su una sedia vicino allo stipite e con la gonna verde turchese o rossa satinata alzata si sta facendo infarcunare a più non posso, cosicché facendo la 25 e la 35 insieme, come l’”anatra” e la “sentinella”, sta facendo “u pullu ca’ tawija”, l’”uccello che guarda attentamente”, e ‘u puēta fa l’enzuvë fantasmato, nell’attesa che lo zingaro arrivi a sorprenderli per fotografarli con la macchina senza pellicola. Va da sé che in shqip, da cui Furgiuwia prende le parole che non ha in ammašcânte, l’”anatra” è “rosë” e la “sentinella” è “rojë”(leggi:ros; roj), cosicché è questo che sta facendo rosë-rojë, “ros-roj”, una sorta di “rossurojë”, che è qualcosa che sta vicino all’atto con cui si tiene costantemente acceso il fuoco, facendo sì che non debordi e non si propaghi,abbiamo visto come Furgiuwia è maestra quadarara, brava nell’attizzare ‘u rossu, lei furguwunijasempre, perché lei senza fuoco non vive, fa sempre, anche quando furguwunija, rosë-rojë, l’anatra e la guardia, l’enzuvamento costantemente attizzato e costantemente sospeso per guardare se arriva lo zingaro a sorprenderla nella losanga di Lacan.
 H
&  
v.s.gaudio 
 La Caggiurra di Praha
Aurélia Stuart Steiner
 alias Furgiulia Cuticchjùna
 La Stimmung-ammašcânte con Bohumil Hrabal
sul la morte della letteratura







V.S.Gaudio • Tre Bei Marziani a Rende

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Æ piṅgapā

Allumâti trièparu mârsiâni tôghi! AVVISTATI TRE BEI MARZIANI A RENDE!

NON SIAMO SOLI NELL'UNIVERSO

Dopo l'avvistamento a Roma (jacopofo.Avvistati-da-militari-UFO-a-Roma) altre tre luci alte nel cielo sono state avvistate a Rende, Cosenza, da una giornalista del Quotidiano della Calabria e diversi altri testimoni.
Le luci procedevano in direzione sud-nord e sono uscite al casello di Montalto Uffugo

 

 

AVVISTAMENTI IN GERGO CHE SI “SENTONO” IN GIRO

Tragedia in due battute di V.S.Gaudio


Personaggi

· UNO CHE PASSA
· UN ALTRO CHE PASSA
· UN ALTRO ANCORA CHE PASSA
· UNA MINÈCA: ‘NU MÂRSIÂNU TOGU
· ‘NA GAZETARË

In una strada di Rende ai nostri giorni.

Passa una donna(“minèca”), una bella fica(‘nu mârsiânu togu”).


· UNO CHE PASSA
Allumâ chi mârsiânu togu!


· UN ALTRO CHE PASSA
Allumâ chi mârsiânu togu!


· UN ALTRO ANCORA CHE PASSA
Allumâ chi mârsiânu togu!


· ‘NA GAZETARË CHE TELEFONA AL GIORNALE
Allumâti trièparu mârsiâni tôghi!

Cala il sipario prima che esca il giornale con il titolo:
AVVISTATI TRE BEI MARZIANI A RENDE!


[In ammašcânte, gergo dei calderai, i “quadarari” calabresi, “mârsiânu” è “buco”, “sesso femminile”. John Trumper(“Una lingua nascosta”, saggio sul linguaggio ammašcânte dei quadarari, Rubbettino Editore 1992), segnalando che Padula dava anche la forma “mersiano” e “marsiano”, lo connette con la voce del gergo romano”marziano”,che è “fanale”, “lampeggiatore”, e del gergo torinese “marziàn”, che è “luce azzurra”.Per caricare il senso ottuso di “allumâ”(=”guarda”), si potrebbe usare “tawìjâ”(leggi:”taglìja”)che corrisponde a: “guarda attentamente”.
“Tògu” è “buono”, “bello”, un aggettivo che assolutizza, una sorta di aggiuntivo superlativo, che viene usato anche dai calderai sardi e nel taròn dei ramieri della Val del Sole. Le “Tragedie in due battute”, chi non le ricorda?, segnano l’inizio della carriera di Achille Campanile, che, negli anni venti, faceva il lavoro oscuro di cronista: dovendo passare una mesta e patetica vicenda, le dette un titolo che fece sobbalzare Silvio D’Amico,allora direttore della terza pagina.]
·         Da v.s.gaudio il 16/06/2010 - 00:04

Non è la Rita di Akim 

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E non è nemmeno questa la Rita 
del marito con la pistola



Potrebbe essere la  Rita di Akim con Kar ?
 Invece è 
Ashley Smith 
photographed by Christian Anwander 
for Vogue Netherlands, June 2013





Ettore Bonessio di Terzet ● Amore rosso e l'albero di Giotto

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Ettore Bonessio di Terzet


Amore rosso, Zahir 
e l’albero di Giotto





amore rosso


Il profilo del volto non
era ancora compiuto
dai viaggi.
Salvata la danza filiale
con l'amore scoperto
sorride alla rinuncia.
Tastando occhi polsi
caviglie e l'abito rosso
riprese la sua vita libera.

*



domande


immobili
coi molti rumori diversi
attenti al rumore atteso.
fermi
per non scoprirsi
e presidiare quel posto strano.
ma i capi e gli ordini vanno
discussi domanda la testa
non più coordinata alle mani.
gli occhi bagnati di una
pioggia venuta lontana?
fango e sabbia
saranno compagni
per il resto della vita che
terminerà al turno di guardia.

*


tra Lucca e Possagno

Quando vai a trovare Ilaria,
taci e senti il profumo del bianco
non parli per udire i suoni di lei
che non guarda e amorevolmente
si ritrae.
Quando incontri Paolina,
provocante sul triangolo del gomito
senti rumori e parole e rimani
come dinanzi ad una foto di Vogue.

*




Che vuoi Fondatore dei Giardini, che ti scriva su carta di Ghandara gli errori commessi, che m’inchini ai tuoi fiori? Che vuoi Dominatore dei Giardini, affinché il desiderio di belle rose inglesi dolci come un buon poema fioriscano nel giardino che curo con pigra intelligenza? Che vuoi Signore dei Profumi e dei Colori, da me incapace dell’estremo e afflitto per la poca rispondenza all’opera mia? Vuoi forse convertirmi alla tua legge che domina cosmo e terra? Ebbene posso, ma prima di volerlo ti chiedo un’assicurazione per la pietà chiesta già da Apollinaire, per quello che non potrò mai capire tra i segni dell’aprile ritornante. Ti chiedo di rivelarti Giardino Universale, oltre ogni ragionevole dubbio. Se ci stai sarò il tuo miglior giardiniere.



*


Incerti dei silenzi indulgenti,
ipocriti tacevamo la piena del fiume
e la ruggine mentre truccavano
la bilancia. Abbiamo tralasciato
e offeso, ci hanno ingannato,
c'è stato tradimento. Che
rimarrà dei passi tentati verso
il monte ventoso, gli occhi
appannati mentre saliamo.

*


L’albero di Giotto non è verticale
ficcato alle montagne modulari
per costruire città. Segni diversi
dal morbido Masolino, le figure
stanno una sopra l’altra, una accanto
all'altra, desiderio di simultaneità.

*


Cézanne tutta la vita di fronte
alla Santa Victoire la studia
mette a fuoco le diverse particolarità,
l’ascolta di mattina sotto il sole di sera
all’alba quando è nuvolo sotto la pioggia.
La montagna è sempre la stessa ma
il movimento occhiocervello si propone
diverso ogni volta e la volontà sempre
è capire un pezzo per capire il mondo.

*


Ho letto di porte del cielo
di triplici quadrati
di accumulazioni energetiche.
Sono sconfinato da Orione
mi sono perso tra piramidi
madonne nere e piemontesi
incinta, tra nomi semiti, rune
sorgenti sacre e mammelle
napoletane. Ho sentito di
punti orientali dove il sole
s’infiltra, nella sacra famiglia
ho visto una cripta e nella
cattedrale terribili cose.
Ho letto ho pensato
dell’intrigo e poco
m’importa dei fratelli e
dei figli o della sposa.
Forse non voglio capire,
ma quando leggo le parole
dei fatti che hai detto, non posso
che guardarti per la vita che
ancora qualcosa attende,
per i tuoi doni, da me.

zahir

Hai mai pensato che ti telefonavo
a scadenza, per sentire la tua voce,
il tuo pronto. E facevo di me
specchio feticista che non voleva
offendere la passione improvvisa per te
che ti dicevi nella voce inesprimibile.

*


tradizioni

Abbiamo guardato più alle statue greche
più ai templi di Agrigento e Paestum che
ai libri sacri lasciati nel tabernacolo del tempio,
da cui sortì il grande avvento perché il mondo
vivesse sacro e la scienza, con la dialettica,
non si sostituisse al divino per quella presunzione
che neppure Nietzsche volle, quella potenza vana
che lascia ai posteri un mondo noioso, senza gioia
e gaiezza, tutto smontabile e fruibile per essere
rovinato dalle nostre logiche interpretative.

*


favola d'antico libro

Passato il terribile diluvio
ritrovai il vecchio marinaio
che amò le signorine cinesi,
il maggiore inglese che amava
le gonne vaporose, il vescovo
che credeva vuoto l'inferno,
Matteo che uccise la moglie
non per odio o vendetta ma
per disperazione d'amore.

*

da: Ettore Bonessio di Terzet, Visioni, il cobold







Wordle:  l'amore rosso by ettore bonessio di terzet La Tagcloud di Wordle per Amore Rosso

Poliça  La Polphallangue allo Zenzero

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L’eroe e la polphallangue
Ora ho sulle mani erba falciata ancora e di più
e non batto il tempo, è già tanto che è tempo di zanzare
sta la luna sopra Dirty come se cantasse Poliça,
dietro gli alberi becchi di cornacchie
il ritorno dell’eroe come funzione di Propp
e appena è dentro è nel paradigma della
funzione successiva
bisognerà dunque scrivere sulla cupola
ardente il delirio delle Nazioni Latine
o sulle patologie delle popolazioni e dei muli
senza ruolo e senza genetica alcuna
sull’immortale faiblesse sui plurali e la esse
sulle parole degli idioti e sulla estrapolazione
infernale e madornale della pecora e la confettura
angelica allo zenzero phallecoupole phalphallangue
la langue phalphallangue phallencullangue
 ou phallenbouchangue ou la polphallangue, la poliçangue?
Dentro la notte e lo shummulo infinito, elle è perciò
che s’érige, saute, se hante, se honte, simmacule,
s’immacule dans l’eau e fa mon tout moulu, son tout
moulu, mon muliné, son muliné, la panthère loule, lalle,
làlà boule la moule et mon elu son occul  ou l’alambicul
oh, avec la phalpoliçalangue loulou dans l’eau ou la marmer
isolami le phalle-pol, circondami quel lu-pol, lapollue, la pol-action
lalaluphalle oh mon moulu oh ohlàlà ton beau mon-elu lalululaça?



© by blue amorosi

POLIÇA  La Polphallangue allo Zenzero  OMV


V.S.Gaudio ░ Epistula amoris per Hannah alla finestra

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Hannah alla finestra sei senza mutande

Ti ricordi, quando ti ho vista la prima volta alla finestra, ti ho chiesto : “Senti, Pupa, per arrivare in stazione?” e tu mi hai guardato perplessa e, poi, dopo un attimo che a me è parso un’eternità, ti sei girata all’interno della stanza e non so a chi hai ripetuto la mia domanda ? E dopo un po’ di tempo, che a me è parso un’eternità, sei riapparsa così com’eri alla finestra e: “Vai diritto per  cinquanta passi, poi ne fai altri cento verso ovest, badando di non guardare dritto davanti a te ‘chè il sole sta tramontando, e, se ancora non senti e non vedi niente che  possa in qualche modo ricordarti una stazione, puoi ritenerti gabbato”. Ti ricordi quanto ho riso? E tu che mi guardavi tra l’irritato e il costernato, e l’indifferente, avevi disegnato in faccia: “Ma che stupido, sono sicuro che è un poeta, e di quelli che la sanno lunga per retorica ed estetica, non è certo un lirico di quelli che negli anni Settanta ancora catalogava nelle sue antologie quel tal critico  calabro di stanza a Milano”. Avessi avuto una macchina fotografica ti avrei reso irredenta e patagonica, tanto che Jean Baudrillard ci sarebbe rimasto di stucco, e mostrando la tua foto  a un mio amico poeta in quel di Torino avrebbe esclamato: “Dio, quando vedo questi tipi di donne alla finestra, sono sicuro che si chiamano tutti Hannah, altrimenti non potrebbero essere capovolte quando vogliono appurare che c’è corrispondenza tra la loro pulsione orale e la pulsione fallica del visionatore!” E, non avendo la macchina fotografica, ti conservai stretta come oggetto a , dentro la finestra dell’innamoramento di cui scrisse Roland Barthes, e in quella cornice il punctum è la linea orizzontale della tua maglietta e la barra orizzontale della finestra o forse la camicia che, così, mi dicevo, farò presto ad abbassarti i pantaloni e a accarezzarti la barra verticale del tuo podice, e forse, non forse, di sicuro non reggerò all’elasticità della tua carne, perché,si vede dalla faccia che hai, è questo che vuoi, volevi essere toccata dalla mia uretralità, da dove, dall’uretralità, nasce la pulsione scopica e la mia profonda sensorialità di visionatore e di poeta. Ti ricordi allora che ti dissi per il commiato? Chissà che versi ti scriverei se sapessi che scarpe hai ai piedi, son certo che hanno due colori e son di quel tipo con cui mi piacerebbe vederti seduta, dopo averti abbassato i leggings e sotto, non è così?, sei senza mutande.




░ Sicilia Dives al Pendino di Napoli ● Notazione di viaggio di un certo Ignazio Apolloni

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        NOTAZIONI DI VIAGGIO: NAPOLI

 
Napoli  Ÿ Complesso Monumentale San Severo al Pendino  

        Avevo sentito parlare di Napoli come di una città multietnica, leggiadra, con una forte passione per i ritornelli; dagli abitanti amanti della nostalgia se soprattutto costretti a rinunziare alla visione del Vesuvio e del suo pennacchio bianco; scarsamente preoccupati di eruzioni e terremoti; votati a un santo privo di stimmate ma dal sangue che da rappreso passa puntualmente al liquido purché la popolazione ne implori protezione e grazia (sinteticamente espressa nella formula Per grazia ricevuta).
Poco altro sapevo della passata gestione del potere da parte di monarchi e principi regali venuti da ogni parte ad assaporarne dedizione e perdizione, ad eccezione di proverbi ed opere pittoriche – soprattutto – raccolte qua e là nei vari musei di arte antica, moderna e contemporanea. Di qui il mio interesse a visitare la città sempreché vi si tenesse una qualche mostra, preferibilmente a tema.
Fu durante il mio ultimo viaggio di ritorno da Lisbona, dove ero stato attratto da una notizia a dir poco edificante, che ebbi modo di conoscere colui che mi avrebbe fatto da guida ove avessi voluto approdare con il mio yacht al porto di quella che fu subito decantata come la perla della Campania: la città di Franceschiello, ovverosia Napoli. Mi lasciai convincere, cedetti, benché fossi diretto al porto di Brindisi ove mi attendeva un critico d’arte intenzionata a creare un museo di arte contemporanea. Aveva saputo della mia collezione. Si dichiarava certa del successo di pubblico ed esperti. Me ne sarebbe venuta gloria, apprezzamenti, servizi televisivi, ressa (quasi) alle inaugurazioni delle molte mostre che già aveva in programma. Ecco allora che mi ritrovo a Napoli dove, ad aspettarmi c’è colui di cui ho detto sopra in compagnia di un altro giovane appassionato di storia della musica ed arte sacra.
La visita a Napoli e dintorni, isole e Cuma, Capri e Ischia, Costa Amalfitana e scalata alla vetta del Vesuvio durò un paio di settimane tra pizze e nacchere, (per le quali non si può dire io vada davvero pazzo: e in verità nemmeno per il Pazzariello). Furono però giornate intense durante le quali mi fecero scendere persino nelle viscere della città: non proprio quelle che stanno sotto il cosidetto Spaccanapoli; di origine greca (stando alla leggenda), bensì quelle create per far posto alla metropolitana. E quale non fu la mia sorpresa nel constatare come le stazioni fossero invase e pervase di opere architettoniche, strutturali, pittoriche, scultoree di ogni genere del contemporaneo (autori nomi altisonanti); nonché scale mobili riccamente illuminate ed aria condizionata a profusione.
Fu uno shock quello che subii. Mai avrei potuto immaginare tanto in una città che governata un tempo dagli spagnoli – quelli che depredarono l’America centrale e meridionale di tutti i tesori architettonici creati dagli Inca e dai Maya innanzitutto, con i relativi arredi e oreficerie – potesse offrire invece chiese e musei in grande quantità oltre a spazi ricavati da luoghi sconsacrati da destinare all’arte.
Uno di questi, dal titolo Sicilia Dives, costretto a visitarlo dai miei accompagnatori con il ruolo di guide parlanti (cosa diversa dal grillo parlante di Pinocchio), è stato il Complesso Monumentale di San Severo al Pendino (qui di seguito chiamato più semplicemente Al Pendino), mi vide coinvolto in una storia degna di essere raccontata. Entrati che fummo, perché in atto c’era una mostra di arte contemporanea organizzata e voluta da certo Gianfranco Labrosciano con il patrociniodell’Amministrazione Comunale locale: interessata al progetto che dovrebbe ipotizzare un possibile e auspicabile legame interculturale tra la Campania e la Sicilia; o più esattamente tra la città reale di Napoli e quella vicereale di Palermo e provincia della Sicilia tutta – in quel monumento rappresentata da venticinque tra pittori e scultori del più profondo Sud del Mar Mediterraneo – mi portò subito a osservare qualcosa di anomalo in un contesto siffatto.
Si trattava di un libro-oggetto laccato di blu di un certo (mi pare) Ignazio Apolloni, raffigurante e con titolo “Il pendolo di Foucault”. Era posto al centro di quello che era stato un tempo l’altare (non si sa se maggiore o minore ma comunque quella era la relativa dimensione e traccia). Nessuno seppe dirmi chi diavolo fosse questo Apolloni. Avrei voluto incontrarlo e dirgliene quattro; sapere quale funzione avrebbe dovuto spiegare quel libro in quel particolare sito, ed oltre tutto capire perché ci stessero, sul medesimo ripiano dell’altare, tutti quei libri: pare pubblicati da varie case editrici come ad esempio la Novecento, Manni, Besa, Coppola e Arianna, tutti con tanto di nome e cognome corrispondenti al suo quale autore.
Domandai in giro per saperne di più ma nulla e nessuno che potesse appagare la mia ansia di sapere. Rimasi sconfortato e sconsolato (anche perché i miei due vati non furono capaci di consolarmi) e restai perciò con la mia curiosità insoddisfatta. Passammo però il resto del nostro tempo continuando a parlare di arte e musica – preferita la dodecafonica – mentre ci dirigiamo allo storico Caffè Gambrinus e subito dopo a via Chiaia per una passeggiata. Non prima tuttavia di un sommario esame delle opere esposte a Palazzo Venezia – testo di certa Carmen De Stasio – luogo di meditazione filosofica sulle sorti dell’umanità e dell’arte: a cura di Benedetto Croce uno dei padri fondatori della Repubblica Italiana. Finimmo la serata col mangiare la pizza dalle Sorelle Bandiera in Vico Cinquesanti, 33/a, che non posso non raccomandare a chi sia goloso di questa specialità napoletana.




23-24 settembre 2013                    Ignazio Apolloni
Agostino Tulumello
Calogero Barba
Franco Spena



Pippo Altomare Luciana Anelli Calogero Barba Nicola Busacca Letterio Consiglio Rosario Genovese Michele Lambo Giovanni Leto Leopoldo Mazzoleni Totò Mineo Gina Nicolosi Enzo Patti Calogero Piro Natale Platania Lorenzo Reina Giuseppina Riggi Salvatore Rizzuti Salvatore Salamone Enzo Salanitro Attilio Scimone Alfonso Siracusa Turi Sottile Franco Spena Giusto Sucato Croce Caravella Delfo Tinnirello Valeria Troja Agostino Tulumello Andrea Vizzini Nicola Zappalà

Walter Benjamin  Farbsignet zum "Pariser Passagen"

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Walter Benjamin

Farbsignet zum Projekt Pariser Passagen und 
zu den "Baudelaire-Studien", 1928-1940
3,4 x 22,3 cm
Akademie der Künste, Walter Benjamin Archiv
© Hamburger Stiftung zur Förderung von Wissenschaft und Kultur


░ Alice e la prospettiva del poeta che nel suo film non era nemmeno un po' Ivan le Terrible

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Alice e la prospettiva del poeta



Gli orinali di Eisenstein 
e io che non ero nemmeno un po’ Ivan le Terrible


Ho ascoltato quattromila canzoni,
ho scritto quattrocentomila versi,
ho letto quarantamila libri.
Eppure nessuna delle mie azioni
brilla più luminosa nella memoria del mondo
e nessuna è più preziosa per me:
come ho potuto non impazzire per
gli orinali sotto il letto quando
me lo cantava Alice ed ero allora
in quegli anni in cui già si cominciava
a mandare a memoria anche solo pochi versi
o questi splendidi incanti così vocalizzati
ed io, lo rammentate, no?, non ero il poeta
degli anni sporchi che pisciano nel lavandino
e degli angoli della deiezione? 
Dio mio non ero ancora nella saggezza di Pope, il poeta:
“Fai bene la tua parte, sta lì tutto l’onore”
altro che fantasmi nudi che lasciano messaggi
dappertutto, sotto il letto o sopra per esempio
negli anni di piombo sull’asse della generazione
figurativa quel che è successo all’alba
è in funzione di tutto quel che è successo
ieri sera quando sono andato al gabinetto
o quando anch’io in un film non certo di Eisenstein
è ovvio non foss’altro per quanto di ottuso
vi abbia rinvenuto Barthes
fui eroe ebbro nel cubicolo
che il mio vino sulla cenere
pisciavo sul sectile marmoreo
l‘arcobaleno
la parete non ha fondo pompeiano[i]
davo questi incanti in versi liquidi
e non ero nemmeno un po’ Ivan le Terrible, 
il terzo senso– quello rimane negli orinali –
cantato così delicato e tenero e forte
passa al meridiano con il mio oggetto a
e dentro l’equinozio che è pur sempre
la linea di Alice che un po’mi riporta
alla spiaggia che c’è a Rimini di questi tempi
dentro la foto di Nadia Campana che sparì dal mio
cubicolo di Torino con la Felicitas di Testori,
che un po’ era , o avrebbe potuto essere, il gaudio
non fosse che per l’anno di nascita della cantante
e della traduttrice di Emily Dickinson, come a dire
che vanno insieme nella stessa rivoluzione solare,
con meno di due settimane di differenza,
com’è indifesa e preatomica Alice a Sanremo nell’81
com’è indifesa e patafisica Nadia a Rimini nel 78...
Alice a Sanremo nell' 81



[i]Ci si fa il verso a qualche verso di: V. S. Gaudio, La 22^ Rivoluzione Solare, Milano 1974.


Aurélia Roh Steiner ▒ La Stimmung sulla stupidità del poeta

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                                                byV.S. Gaudio




Da lontano pare una nuvola dai riflessi verdastri impigliatasi sul porto di Bremerhaven, la cittadina anseatica al nord della Germania. Qui l’ 11 giugno[2009] ha aperto i battenti un esperimento unico al mondo: "Klimahaus 8° Est", ossia "La casa del clima all'8° grado di longitudine est".


La Stimmung sulla stupidità del poeta

Mi avresti detto: mach nicht so ein dummes Gesicht![i]
O semplicemente: wie Kann man so dumm Sein, das zu tun?[ii]
Così, senza tenerezza. Dummkopf, non Dummerchen ma: du bist wirklich ein Dummkopf[iii]!
Sarà che hai studiato, avrai letto Musil, spesso la stupidità schietta è una vera artista[iv]
come se alla finestra ti avessi detto:
“Nave: a bordo i servizi segreti d’Israele”,
invece di rispondere a una parola stimolo con un’altra parola
e anche così non puoi disconoscere che nell’idiota c’è un che di poetico…

Non vedo il mare da qui,
sono dietro la finestra aperta. Mi guardi.

Mi chiedi da dove vengo.
Dico di non saperlo.

Mi dici che eri sulla spiaggia
quando io facevo il bagno.

Non ricorda quella che ha incontrato
in città stamattina deve aver incontrato
un’altra persona.
Io le domando di chi ha il desiderio.
Lei mi dice della persona del mattino.

Le dico che ero io.
Le dico: voglio darti un nome.
Lo pronuncerai, non comprenderai perché,
e io ti chiederò di farlo, di ripeterlo senza capire
perché, come se ci fosse un perché da capire.

Le dico il nome. Aurélia Steiner.
Glielo scrivo su una pagina bianca e glielo do.
Lei legge lentamente, poi mi guarda
per sapere se lo ha letto correttamente.
Non dico niente. La tocco.

Lei ripete il nome, vede che l’ascolto.
La tocco di nuovo.

Le levo i jeans con cura. Dispongo di molto tempo.
Comincio a scoprire il corpo di Aurélia Steiner.

Lei non guarda, i suoi occhi sono fermi
sul rettangolo bianco.

Dice il nome tutto intero.
Poi dice solo il nome.
Poi solo il cognome.
Non sa dire altro.
Non c’è pensiero che la stupidità non sappia utilizzare,
anche se la stupidità onesta è un po’ dura di comprendonio.
E’ mobile e invece di indossare tutte le vesti della verità
è  nuda; la verità ha solo i jeans
e una volta abbassati:
“Pelle: quando ti accarezzo il culo”
non si può disconoscere che c’è un che di poetico,
anche perché tra l’unilateralità del sentimento
e le sue gambe imbrigliate come un intelletto insufficiente,
cosa sostiene l’erezione, la mia stupidità
questo compiacermi del mio spirito in modo così particolare?

Glielo dico nei baci, le labbra contro la pelle
delle chiappe, glielo dico a voce bassa,
glielo grido, la chiamo all’interno del corpo,
nello gnomone di Arsh, contro Arshloch,
contro il muro, Wand. Le tengo testa.
Talvolta mi immobilizzo in un contenimento
che mi fa gemere, allora non ricordo i nomi, e,
poi, sottovoce, di nuovo, le dico i nomi
con uno sforzo doloroso come se il profferirli
ne fosse la causa.

Le dico: Judäa, Judin, Judin Aurélia, Judäa Judin, Judin Aurélia Steiner.
Mi tengo all’entrata, Eingang, del come, wie, che non è,
o lo è, wie heißt du?[v]
e del conno, Fotze, che se le accarezzo il culo, Arsch
fa Feige, nella mia stupidità sostenuta, come se mi dicesse
“halt die Fotze!”[vi], resto lì, nella cura estrema di menarglielo
il supplizio fino a che finisca.
Poi, entro nel suo corpo.
Che fa Körper ma io lo sento come Leib:
le dico: Korpus, e lei dice: Dummkopf.

Il movimento è lentissimo, inverso a quello
dell’entrata, adesso sto nella lentezza
della stupidità, così non parlo più,
sotto pena di passare da stupido
ho il permesso come poeta di raccontare
a nome dell’umanità che c’è il sole nello gnomone
di Aurélia Steiner, posso renderne conto senza riguardi,
tra insufficienza spirituale e insufficienza intellettuale
sono estremamente rozzo.

Di nuovo, le dico i nomi, glieli ripeto
piano piano, ancora.

Il poeta ha ancora detto i nomi, glieli ha ripetuto,
senza voce, con una brutalità che ignorava,
con un accento sconosciuto, un po’ töricht.

Der Abend, noch einmal.

Am Abend, wenn die Glocken läuten,
Folg ich der Vögel wundervollen Flügen,
Die lang geschart, gleich frommen Pilgerzügen,
Entschwinden in den herbstlich klaren Weiten[vii].

L’ho vista con questo colpo di luce,
addormentata: Ein Rot das traumhaft dich erschüttert
durch deine Hände scheint die Sonne.
Du fühlst dein Herz verrückt vor Wonne
Sich still zu einer Tat bereiten[viii].

Ho fermato la visione.
Lo faccio. Cesso apparentemente di scriverle.
Così, vedo il colore liquido e blu
degli occhi muti già presi dalla morte
del giovane impiccato
vedo anche la giovinezza
Geist Dädals schwebt in blauen Schatten,
Ein duft von Milch in Haselzweigen[ix].

Acthzehn Jahre alt, auch[x].
Non so il suo nome.

Die See ha  assalito la città, l’ha scalata,
l’ha invasa.
Sie ha rotto i vetri, ha fracassato le porte
e le finestre, ha crepato i muri,
ha abbattuto i tetti, e la città è rimasta
così, aperta, beata, sul vento.
Io ho ascoltato le grida del Nordsee.

Allorché si pensava di veder arrivare
l’altro versante della tempesta,
nel bianco livido dell’inizio del giorno
i grandi serbatoi di sale si sono spaccati
sotto i colpi delle lunghe lame bianche del Mare del Nord
der Salz sich zerstreut auf die See[xi].
Die seine Salzgehalt Tödlichkeit geworden[xii].

Da, es ist die Meerenge von Welt
wo Aurélia Roh Steiner lebe[xiii].
Sie finde da e in nessuna altra parte del mondo
protetta da lei, die See.

Sie hört che il mondo intero lotta
contro la stessa paura, sie sieht
che ciò che passa di qua
si espande sul mondo.

Sie sieht che il centro della paura
si sposta, che gira attorno a lei
dalla Klimahaus Bremerhaven 8°Ost[xiv]
lungo il meridiano nel cielo di ghiaccio
die Sonne ist roh und voller,
tutta la città è dentro questo giorno
pieno, sharf und unbefleckt
du ciel d’orage.
Die See ist jénseits, al suo posto,
tappata in sein Loch.
Die Stadt è bianca di sale,
pietrificata nel caos in cui
die Nordsee l’ha lasciata.

Ich laufe.

Poco a poco, senza che io senta niente
venire, lei mi ritorna dall’esilio della notte,
dall’inverso del mondo, questa ombra nera,
il suo gnomone o il meridiano di Bremerhaven,
a cui lei si tiene e attraversa la città.
La vedo raggiungere la Klimahaus:
oggi è un marinaio dai capelli neri.
Grande, sempre questa magrezza della
giovinezza o della fame, alla Kate Moss.
Si è girata, ha esitato e poi si è allontanata.
So che la notte che sta arrivando lei andrà
ancora lungo il fiume Weser attorno alla Klimahaus
e che io la cercherò, lei, quella che ho incrociato
stamane in città e che ho guardato
per quei suoi jeans a fior di meridiano
o, forse, quel suo sguardo blu
dentro due fiumi tutta tesa nella sua
Gangart, anschlagen della normale am Wind;
Una Gangart un po’ stupida
tra la stupidità onesta e la stupidità sostenuta
e piena di pretese, come se avesse tutte le cattive
qualità dell’intelletto debole,
o di un carattere non equilibrato,
una Gangart che ha una stupidità costituzionale[xv]
più che occasionale per come fa vibrare
il meridiano della Rozzezza, il Roh-Meridian,
che è, per questo, che il poeta
Liebe, liebe, alle diese Dummheiten che dice
Für der Roh Steiß, du, die See, die zwei Flussen[xvi].

Sie mi ha raccontato dello stato della città:
Alte Plätze sonnig schweigen
Tief in Blau und Gold versponnen
Traumhaft hasten sanfte Nonnen
Unter schwüller Buchen Schweigen[xvii].
Zitternd flattern Glockenklänge
Marschtakt hallt und Wacherufen
Fremde lauschen auf den Stufen
Hoch im Blau sin Orgelklänge[xviii].
E poi mi ha parlato della storia:
per entrare nella storia, mi ha detto:
in die Geschichte eingehen.
Sotto il suo Rücken, lungo il meridiano
o lo gnomone che ha i 34 minuti
che ha anche lungo la costa sarda
a est di Cagliari, così spessa lungo
la latitudine la sua superficie era
puramente illusoria, carne senza pelle,
una bolla d’aria ghiacciata.
Mi ha parlato a lungo.
Mi ha raccontato la storia,
Mi ha parlato di quegli amanti
del rettangolo bianco della morte
alla confluenza dei due fiumi,
Mi parlava e io capivo, sentivo, la storia.
La sentivo sopra di me, minerale, con tutta
la forza del suo Gesäß-Meridian.

E’ rientrata nella sua camera
Fenster, bunte Blumenbeeten
Eine Orgel spielt herein.
Schatten tanzen an Tapeten,
Wunderlich ein toller Reihn:
Wessen Atem kommt michkosen?[xix]

Aspetta il giovane marinaio
Weihrauch duftet süß und Birne
Und es dämmern Glas und Truh[xx].
E aspettando mi scrive

Bagnata del desiderio di lui
scrive che mi ama:
O die roten Abendstunden[xxi]!
Ama attraverso me e nel loro nome
mi fa.
Dice che sono ciò che non avrà luogo
e che l’azzurro fiume scorre dolcemente
nuvole si mostrano a sera, anche l’anima
in silenzio angelico, tramontano immagini passeggere
di tutti io sono l’unico, l’inesauribile luogo
del mondo, l’amore inalterabile,
Immer wieder kehrst du Melancholie,
O Sanftmut der einsamen Seele[xxii].

Con oscuri sguardi si osservano gli amanti,
i biondi, radiosi; in fissante oscurità
Aurélia Leise rauscht, Hart ist das Leben
Und stählern schwingt die Sense,
O, wie mild ist der Herbst[xxiii].

Quando si risveglia Aurélia Roh
il marinaio dai capelli neri è allungato
sul pavimento della camera.
La guarda.

Il poeta si riaddormenta. Intende che egli
diceva che i suoi occhi bruciavano per
aver guardato la bellezza di Aurélia Steiner,
che il suo Steiß aveva la stessa insufficienza
intellettuale della stupidità. Disse: Töricht Steiß
che è un culo che in un momento decisivo sembra
che ti faccia cedere o commettere un errore,
tanto che, per la sua stupidità ineffabile,
è più Dummkopf che Dumm; egli desiderava
restare con lei, non gli importava che a mezzogiorno
il suo battello salpasse: Steiner Töricht Steiß, om bist
wirclich ein Dummkopf!
Lei disse che non apparteneva a nessuno di definito,
che non era libera di se stessa: è uno stato spirituale,
è questo il mio Körper, il Korpus questa prassi della
stupidità, continui a guardarmi quando cammino
e non trovi che ci sia un disturbo dell’equilibrio emotivo,
questa rozzezza, la Grobheit del mio passo, e tu parli
di am Wind, stretta bolina,se non hart am Wind, molto stretta: di 8°35’ ?,
e non so dove finisce la mia Törichtkeit se questo esserci
come stupidità è dalla testa che diventa ineffabile
o dal meridiano del culo, Arsch-Meridian, che tu
che stai stupidamente a darmi dei nomi
puoi chiamarmi anche Gesäß-Meridian o Grob Steiß-Meridian.

Ich bin, anche se per il Präteritun sarebbe meglio dire:Ich war,
Aurélia Steiner, Roh Steiß, Töricht Gesäß.

Ich bin achtzehn Jahre alt[xxiv].

Ich lebe in die Stadt Bremerhaven, vor den Toren der Stadt,
wo der Vater est alt, die Mutter ist alt aber sie ist Schön[xxv].

Ich Schreibe.
Scrivo perché nella mia vita amorosa c’è qualcosa
che non va e in genere tutta la mia vita non mi riesce
come dovrebbe; in jeans so rendere mobile la mia stupidità,
per quanto sia incostante e sterile,
vanitosa e immodesta come sono
vi faccio spesso la lezione anche se
scrivendone per mezzo del poeta
aggiro il divieto di parlare molto di me
senza riguardi nemmeno quando
la stupidità applicata per via del suo esserci- Töricht
ha lo stesso stato spirituale, una qualunque insufficienza,
un segno inconfondibile del mio indice costituzionale
ectomorfo che confluisce con l’indice del pondus debole.








[i]“Non fare quella faccia da stupido!”
[ii]“Come si può essere così stupidi da fare una cosa del genere?”
[iii]“Dummkopf” sta proprio per “sciocco”, “testa di rapa”; “dummerchen” vale “stupidello”, “sciocchino”; “du bist…”: “sei proprio uno stupido, uno scemo”.
[iv]Il poeta sottende il testo di Musil soggetto alla Stimmung: Robert Musil, ÜberDie Dummheit, Bermann Fischer, Vienna 1937, trad. it. : “Sulla stupidità”, Archinto, Milano 2001.
[v]“Come ti chiami?”
[vi]“chiudi il becco!”
[vii]Sembra una strofa di Georg Trakl: “A sera quando le campane suonano, seguo i meravigliosi voli degli uccelli, che in lunghe schiere, come pii cortei di pellegrini, dileguano nelle autunnali chiare lontananze”: cfr. Georg Trakl, Le poesie, trad. di Vera  degli Alberti e  e Eduard Innerkofler, Garzanti, Milano 1983.
[viii]“un rosso che come in sogno ti scuote, attraverso le tue mani risplende il sole. Tu senti il cuore folle di gaudio,silenzioso all’azione prepararsi”: cfr. G.Trakl, Kleines Konzert, Piccolo Concerto, in: Idem, trad.it.cit.
[ix]“Lo spirito di Dedalo oscilla in azzurre ombre, un profumo di latte nei rami del nocciolo”.
[x]“Diciotto anni, anche”.
[xi]“il sale si è sparso nel mare”.
[xii]“La sua salinità è diventata letale”.
[xiii]“Qui c’è lo stretto del mondo, dove vive Aurélia Roh Steiner”.
[xiv]Da lontano pare una nuvola dai riflessi verdastri impigliatasi sul porto di Bremerhaven, la cittadina anseatica al nord della Germania. Qui l’ 11 giugno[2009] ha aperto i battenti un esperimento unico al mondo: "Klimahaus 8° Est", ossia "La casa del clima all'8° grado di longitudine est".Più che del classico museo si tratta d'un gioiello tecnologico contenuto in una macchina architettonica capace di ricostruire, nei suoi 12 mila metri quadrati di superficie espositiva, ben otto diverse zone climatiche del pianeta. A realizzare l'edificio ha pensato l'architetto Thomas Klumpp, che ha impiegato oltre quattro anni per ultimare la nuova attrazione di Bremerhaven.
[xv]Pur avendo quasi la stessa struttura morfologica di Bianca Kappler, Aurélia Roh Steiner non ha il Gang-Kappler: cfr. V.S.Gaudio, GANG-KAPPLER. Lo spunterbo allascato nell’andatura di Bianca Kappler:


Wordle: Gang-Kappler
La Tagcloud-Wordle della Gang-Kappler prodotta nel 2010:
pinga sull'immagine e ottieni lo Java originale in open window!

[xvi] “Amore, amore, tutte queste idiozie che dice per quel culo grossolano, tu, il mare, i due fiumi”.
[xvii]“Antiche piazze assolate in silenzio. Immerse in filamenti di azzurro e oro come in sogno si affrettano miti monache di afosi faggi entro il silenzio”.
[xviii]“Tremanti vibrano di campane i suoni, tempo di marcia e richiami di guardia. Stranieri ascoltano sugli scalini. Alti nell’azzurro d’organo sono i suoni”.
[xix]“Finestre, variopinte aiuole, un organo vi alterna il suono. Ombre danzano sui parati, una bizzarra folle ridda: di chi è il respiro che m’accarezza?”: cfr. Georg Trakl, In einem verlassenen Zimmeri, In una stanza abbandonata,in: Idem, trad.it. cit.
[xx]“Incenso dolce profuma ed il pero e imbruniscono cassapanca e bicchiere”.
[xxi]“Oh, le rosse ore serali”.
[xxii]“sempre ritorni tu, melanconia, o soave senso dell’anima solitaria”.
[xxiii]“Aurélia lieve sussurra, dura è la vita e d’acciaio vibra la falce. Oh, com’è mite l’autunno”.
[xxiv]“Ho diciotto anni”.
[xxv]Vivo nella città di Bremerhaven, fuoriporta, dove mio padre è vecchio, mia madre è vecchia ma lei è bella”.
by "lookbook for prada"

Wordle: la stimmung sulla stupidità
La Tagcloud-Wordle
dellaStimmung sulla stupidtà del poeta

▒ Colette Stone vs Aurélia Steiner di Praha?

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Colette Stone playing the lead lady in Let ‘em Riot’s official music video for ‘Don’t Stop Running.’

Colette Stone: "hello Summer"

Aurélia Steiner che sta a Praga e la macchina fotografica dellaZangheri

Aurélia Steiner che sta a Praga
non è boema, la luna lei la chiama “Justrusa”
anche quando la indica nell’orologio astronomico,
che per lei è “’U cuncutrillu”,
Aurélia Steiner sta qui, aspetta la sera,
sta’mbruna, dice, fa stáfice
e quando attraversa la città lei passa di strìttuwa in strìttuwa,
un po’ di schipìciu,
in autunno quando compra caldarroste,
chiede “’i pruppituse du ruffu”[i].


Il cielo non è umano, ma c’è qualcosa forse più di questo cielo,
che non è il quadrante al neon del campanile della Città Nuova,
è quando le zingare oscurano il mondo con le gonne
e quando il poeta si guarda di nuovo intorno
le zingare stanno sedute accanto a lui una di qua e una di là,
di fronte a lui a gambe larghe sta lo zingaro
con la macchina fotografica nelle dita,
gli occhiali neri contro il sole guardano nel mirino della macchina
e le zingare si stringono a lui e guardano l’obbiettivo,
e poi lo zingaro che è il visionatore di Morin col palmo alzato
richiama anche l’attenzione del poeta e lui guarda la macchina
con quel sorriso spasmodico che hanno solo i poeti
e poi sente lo scatto della macchina
che non aveva mai avuto nelle sue viscere la pellicola,
così che il poeta comprenda che al mondo non dipende
proprio nulla da come le cose finiscono, ma tutto è soltanto
desiderio, volere e anelito, come quando a Bologna la Zangheri,
per essere speculare allo zingaro di Hrabal,
nello stesso tempo in cui lui ne stava scrivendo
l’assolutezza anonima faceva il ritratto inesistente del poeta
con un’altra macchina fotografica in cui c’era la pellicola fantasmata,
 Poetry-reading
alla Galleria d'Arte Duemila di Bologna
dentro una galleria d’arte , fuori il cielo inumano sopra Bologna
e sotto nelle cloache e nelle fogne
scorreva tra acque di scarico e materie fecali
la neve di quel febbraio
così segreto, così rumoroso e così solo

Aurélia Steiner, questa quadarara che sta qui a Praga,
questa minéca che chiama “cuncutrillu” l’orloj,
in una stanza vicino al Convento di Sant’Agnese di Boemia,
guarda l’imbarco battelli che c’è in Náměstí Curieových.

E’ ritornata nella sua camera per scrivere al poeta.
Ha chiuso porte e finestre.

Sono le tre del pomeriggio.

Dietro la Vltava c’è il sole, il tempo è fresco.

Io sono qui in questa grande sala in cui faccio stáfice[ii].
Oltre la scursénta[iii], c’è il fiume.

E tu dove sei ?

Ti sei perduto?

Ti sei perduto tanto che io grido che ho paura?




i“Le castagne del fuoco”, in ammâšcânte; “strittuwa” è “strada”,”vicolo”; “schipìciu” è “sghembo”, “obliquo”, con quel taglio, una certa diagonalità di movimento o del portamento, che richiama l’apposizione di prima ,“’nteccata”, che è “delinquente”, che viene da ‘nteccare, che è “tagliare”, “incidere”, la “‘nteccata strocca” riflette in qualche modo un taglio maledetto, puttanesco, un segno, una piega, anche comportamentale o gestuale che è la parte maledetta di Aurélia Steiner. Per la lingua nascosta dei quadarari  e anche per l’utile dizionario Italiano-Ammâšcânte e Ammâšcânte-Italiano annesso, cfr. John Trumper, Una lingua nascosta, Rubbettino editore, Soveria Mannelli 1992.
ii “sto”.
iii“finestra”.

                                                                               da:  
La Caggiurra di Praha
Aurélia Stuart Steiner
 alias Furgiulia Cuticchjùna
La Stimmung-ammašcânte con Bohumil Hrabal
sul la morte della letteratura

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leggi anche:

Didus Patatest  Non lo pubblichiamo

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Questo test, Didus  Fulgor Test, si trova all’interno di Aurélia Steiner de Tunis, © 2006: per essere proprio dentro il paradigma, bisognerebbe leggere, o aver letto, almeno in parte, il testo di base, la cui protagonista parla la lingua franca:
“Il mariniéro da li capello négro star dietro
la bentana aprir; mi guardar.
Mi domandar de oundé mi venir.
Ellou rispondir qué non sabir.
Ellou mi hablar qué  star al suq del rama quando
mi  godir tokkar ti.
Ellou non ricordar béné di qouella qué
ellou tokkar alla Medina qouesto matino,
ellou avir tokkar ouna altra persona.
Mi domandar ellou di qualé tenir il desidério.
Ellou mi ablar di quello del matino.
Mi ellou ablar qué quello del matino star ti.
Mi ellou ablar: mi voloir donar a voi un nomé”[i].
Ed è attorniata da personaggi di Garcia Marquez, come  Eréndira Bardette Moulastro e Laura Farina che sono un po’ come Anna Perenna che, attivando il Bagliore di Didone (“Didus Fulgor”), fanno l’incanto di Enea e diventano fantasmi duraturi, inalterabili, a cui la libido del marinaio e del poeta distribuisce, didit, “istanti d’aeneus”, istanti di bronzo, in modo duraturo. Dido e Anna Perenna con Enea: lo spargersi, il divulgarsi, duraturo e perenne, del mistero di Enea, il suo aeneus.



[i] “Il marinaio dai capelli neri è dietro la finestra aperta; mi guarda.
Mi chiede di dove sono.
Gli dico di non saperlo.
Egli mi dice che era al Suq del rame quando ho goduto toccandoti.
Egli non si ricorda bene di quella che toccò stamattina alla Medina, deve aver toccato un’altra persona.
Gli chiedo di chi ha il desiderio.
Mi dice di quella del mattino.
Gli dico che quella del mattino eri tu.
Gli dico: voglio darle un nome”.
"
Il Didus Patatest non lo pubblichiamo perché troppo lungo e complesso, online creerebbe non pochi problemi anche a un livello letterario alto, pertanto i lettori colti di "Uh Magazine" ne dovranno fare a meno: ci rincresce e chiediamo scusa per non poter rispettare il programma della 2nd Long Summer( da tempo dentro questo caldo equinozio ) di "Uh Magazine".


Ugo Piscopo ▼ La materialità del libro

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Il libro oggetto , o d'artista, che sigilla nel settembre 1984 la collana de "I libri del triangolo d'oro"
delle edizioni "Il Piombino" di Alessandria:
V.S.Gaudio
La Stimmung del 2 marzo 1979 con Marcelin Pleynet


NOSTALGIA DELL’ARTE O IL LIBRO PER ANTONOMASIA




Libro viene dal latino liber. Che, all’origine, era il nome della corteccia dell’albero.
Di questa materia, dunque, era fatto inizialmente il libro. Cioè, da un avvolgimento, che veniva svolto. Da un rovesciamento del guanto di un individuo del bosco. Dalla liberazione di un tubo, da una destrutturazione si liberava il libro.
A opera, ovviamente, di pazienti esecutori, artigiani, prevalentemente schiavi. Perché puntualmente anche allora si ubbidiva alla cosiddetta “eterogenesi dei fini”. Solo che non lo sapevano. Né lo sappiamo mai adeguatamente. In questo caso, gli schiavi e i loro compagni di fatica hanno aperto la porta alla libertà dell’albero, cioè di una parte arborea, e si è attivato un vento che ha smosso i secoli, che ha fatto lievitare l’immaginario delle generazioni.
(Se tanto è accaduto in relazione a una parte, che bisognerebbe figurarsi della liberazione totale dell’albero? Ma occorrerebbe pensarci su, finché questo nostro antico fratello e amico non verrà soppiantato da suoi simili di plastica).
Intanto, col trascorrere del tempo, le antiche cosmogonie si indeboliscono, altre narrazioni si vulgano, legate alle oscillazioni di mercato, ai cambiamenti dei sistemi di produzione.
Così, nel nostro tempo (di affluenza e di globalizzazione eteroautodirette), il racconto concernente il libro si nutre di dichiarazioni e predizioni sul destino dei simulacri, sulle implosioni del postumo. Sono oracoli di incombente funebrità, di sfaldamenti di tautologie. Quasi di sprechi del superfluo.
All’interno di queste topiche, non si può non riconoscere che il libro è un vizio, naturalmente di chi se lo può consentire o di chi non ne può fare a meno, pena la crisi di astinenza.
Ma c’è vizio e vizio. C’è il vizio dell’avere e il vizio del dare, nettamente distinti. L’avere è per ammassare mattoni, reali o ideali, foderarsi materialmente la solitudine. Costruirsi la gabbia dell’insonnia lucida, ininterrotta, una vigilia di quell’altra veglia che è la morte. (Si ringrazia il filosofo Gargani, per il suggerimento dell’insonnia). Il dare è per riempire il concavo del mondo, la sua cedevole reticolarità.
Il dare, che non è poi, prescritto dal medico ed è di pratica rada, può riuscire igienico nel contesto generalizzato e abusato dell’avere: può generare curiosità, pausa di riflessione. Segnala, comunque, interruzione di consuetudine massificatrice.
Ecco dove stanno piantate le ragioni del libro d’artista: generare suspense, indicare improvvisamente uno spazio altro dove lo scorrimento del traffico si sottrae all’unidirezionalità e si possono aprire opportunità per le invenzioni e le abilità individuali. Come avviene nel traffico a Napoli o Istanbul. Qui, ad esempio, in mezzo a uno sperpetuo di traffico di processioni mortuarie o di dense vischiosità, uno, se ci sa fare, può aprirsi un varco e immettersi su una pista da Indianapolis. La pista era lì e nessuno la vedeva. E tante altre stanno lì, continuano a stare lì, bisogna solo scoprirle e adoperarle.
Il gesto, quindi, che è dentro al libro d’artista, porta in sé una carica di ribellione o di divaricazione dalla scontatezza, ma anche di verifica delle proprie potenzialità e di ricognizione delle risorse di vitalità. È una prova di riflessione sul sé, come laboratorio di linguaggio, di gusto, di dinamismi più generali. Autoriflessione dell’individuo come autoriflessione sulla magmaticità della comunicazione e dell’arte.
È l’anello tra il concetto e la materialità, per saggiare la consistenza dei postulati o delle ipotesi. I quali, per essere – non bisognerebbe mai dimenticarlo – devono calarsi nella concretezza e nella particolarità dell’effettuale, con una rinunzia perentoria all’indeterminatezza e al possibile molteplice.
Il fondamentale è la materialità. Questi giorni (settembre 2002), Tullio Regge sul “Corriere della Sera” ha dato notizia che forse si è giunti alla costruzione dell’antimateria. La quale è impalpabile e invisibile, ma si costituisce sempre sul registro della materialità, se la sua cifra è di segni rovesciati della materia. Così, quando si incontrano, materia e antimateria, vanno a una resa di conti finale. Scatta il dramma dell’annullamento.
Lo scienziato, inoltre, parlava di corpi astrali, aggirantisi nello spazio, ormai spenti, precipitati nella propria rovina come in una voragine di depressione, ridotti ormai allo stato di calcinacci. Ma un cucchiaio di quella materia, abbattutasi in sé stessa, è tale da poter formare una catena di monti su un pianeta.


La materialità, quindi, si fa culla di manipolabilità, di fabbricabilità, di modificabilità.
Le opportunità del porsi in essere attraverso la corporeità e l’oggettualità interroga l’arte del libro d’artista. Che, a monte, rimembra lo scortecciamento dell’albero, per farne materia di squadernamenti, supporti di graffiti, tessuti già pieni di una formicolante interrelazione di segni. Che, intanto, a valle, guarda a frontiere in movimento, a comunicazioni poliseme e simultanee, alla delineazione di geometrie frattali, all’implausibilità dell’assenza e del vuoto.
Tutto ciò in mezzo a un implodere di frammenti e a flussi sempre più consistenti e pervasivi di oggettualità e di visibilità. In omologia, potrebbe sembrare, col più generale diluvio di un mondo che si dà in quanto fenomenizzarsi di oggetti.
Qui, però, la diversione è programmata e prescritta protocollarmente nel disoccultamento del latente, mentre di contro la colluvie dell’affluenza va unidirezionalmente, fatalmente verso la cancellazione delle differenze.
Il libro d’artista in quanto opera si connota aprioristicamente come operazione di intensificazione di espressività, come crocevia di significazioni, come simultaneità di illusioni e allusioni, palinsesto di sovrapposizioni, di cancellazioni che spingono alla luce e all’essere tensioni impreviste.
Non spalmazione, dunque, della marmellata sulla faccia della realtà. Niente preconfezionamenti da mandare in giro pronti all’usa e getta.
Rivendicazione, invece, della particolarità e dell’identità. Attraverso la simbiosi di testo, pretesto ed extratesto e i rovesciamenti dei dinamismi del materiale all’ideale e viceversa. Eccitazione di transfert e di sinestesie.
Ma, soprattutto, un calarsi nel tempo con un’icasticità drammatica, ad accettazione totale e definitiva del Da-sein. Perché si è, in quanto si è dentro.
Così, il libro d’artista viaggia verso l’autoappropriazione, l’autoriflessione, veicolando messaggi a parte obiecti di analisi impietose sul conto dell’Io e della soggettività.
L’accettazione delle circostanze come destino definitivo dà energia e consapevolezza etica all’operazione, piantandola in un qui e ora ineludibili. Ne conseguono due movimenti: l’uno verso il rifiuto degli assi e delle dimensioni della metastoricità, l’altro verso l’abbattimento dell’auralità. Essa, inoltre, induce contemporaneamente a un rigoroso esercizio di umiltà, in quanto la materialità marca la perentoria sua deperibilità, la sua vocazione al basso.
Infine, il rafforzamento del nesso idea-corpo dichiara l’eteronomia sia del testo, sia dell’extratesto: l’uno vive d’impulso dell’altro e, anche se tende a rivendicare un proprio primato, in qualsiasi stadio non può non certificare le relazioni fondanti con l’altro. Nel testo, permane sempre un residuo di materialità; nel corporeo o extratesto pulsa ininterrottamente una tensione ideale.

Ugo Piscopo





Ilaria Bernardini & V.S.Gaudio ▒ Spy-Tv

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Idea per programma tv/2

 - di: Ilaria Bernardini
Segreti sussurrati in appositi pozzi per i segreti o a uccellini. Da casa: non si sente niente ma SI PROVA a sentire. Si vede anche poco e si SPIA.




vsgaudio

SI SENTE CHE È FRANCESE; I VOYEURS SONO ITALIANI ?
C’è questo apposito pozzo, anche quando inizia la seconda puntata, e, non è un segreto, la primavera non s’è ancora vista; un uccellino cinguetta che è una meraviglia, e allora si capisce che ferragosto è passato da un pezzo. Da casa, non si sente niente; gli anziani della tribù si radunano e decidono di propiziarsi la natura sacrificandole una giovane in prima serata. Si prova a sentire:”La volta che ci sono arrivata più vicino era con un francese”. Al telefono: “Pronto…No, non sento…”Si vede pure poco. La giovane in prima serata , non necessariamente con l’amplesso,però sente, ha un orgasmo. E da casa quei vecchi satiri(che vedono poco da quando erano adolescenti) …spiano.



Russ Chimes ▒ Turn Me Out

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Let's take a look at a few examples of videos that focus on movement, be it dance, play, or the shuffle of daily life. First up, check out on of my favorite videos on Vimeo, which is Mathy & Fran's video for Russ Chimes. It focuses on small movements in quick succession, using jump cuts to create collages of choreography:

Aida Maria Zoppetti ▒ Il tempo arrivò mano a mano alla palude

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da:
Di Lama e di Luna
Anterem edizioni
Verona 2002:
pagina 37
Aida Maria Zoppetti  
Il tempo arrivò mano a mano alla palude

o
Peggio che andar di notte
e poi pioveva
Il respiro affannato dei suoi passi
spaccò il secondo, quello della luna
Per Nietzsche!
e il tempo se ne andava via
giunse in ritardo al ramo di betulla

Si guardò intorno. Non vedeva nulla
Si guardò intorno. Non vedeva nulla

o

“C’è nessuno?...”
Si guarda in terra, poi si guarda in torno,
siede nell’erba senza far rumore.
“Zitti! Silenzio!”(nota dell’autore)

Incrocia le ali, sfila la maglietta;
ancora non l’ho scritto, ma era estate:
le parole erano ormai tutte spogliate.

o

             Ma

Seguendo l’indicazione del percorso
ma dubitando della congiunzione
arrivò mano a mano alla palude
Mai esprimeva dubbio o negazione
tra due elementi della stessa frase
“mai arrivava ma mai a destinazione”
Era giunta, ma per rafforzare l’espressione
usò “ma certo, però, bensì, oppure”
Fu l’inizio del periodo, ne fu la conclusione:
lei si affrettò ad inghiottire il rospo
e ma divenne soltanto un’obiezione.

èaida maria zoppettidi lama e di lunaanterem edizioni  verona 2002

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V.S. Gaudio  Bianca deissi o è un cavallo bianco, la figura

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Bianca deissi o è un cavallo bianco, la figura

Torino, 11 maggio 1978


Il poemetto è stato pubblicato per la prima volta in “Fermenti” nn.183-184, Roma gennaio-febbraio 1987.




1.
oppure metti che all’improvviso la figura
entri in scena,
così, bianca deissi, annida una stasi esistenziale
diciamo che la luna in superficie ne boicotta i fantasmi


2.
oppure
mettiamo che l’arrotondi l’ansia blastocistica
di Ronald D. Laing,
come una spugna
o tondo capezzolo
palla o sineddoche o globo che rotea



3.
in là
il mare, l’oscurità, i gorghi della paura coriale


la paura coriale contiene
è suono del ventre
acqua o suolo che non è placenta
né albero


4.
qua
la figura o
è un cavallo bianco, la puledra del brivido
che tocca terra dentro l’utero vortica
è scatola
è arca
cigno o scrigno
è blastula
da cui il tatto sospende immagini
sinestesia che annida radici, tronco e
cordone nel grembo
ove il vento tocca il seno del mare

da: V.S. Gaudio
Bianca deissi o azzurra


Le immagini sono relative 

La cover del numero 183-184 di "fermenti",
rivista di critica del costume e della cultura 
diretta da velio carratoni



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