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Convegno Internazionale di Letteratura│Landolfi ♦ Manganelli ♦Tabucchi ░ Gli Atti editi da Salvatore Sciascia Editore

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Gli Atti editi  da Salvatore Sciascia Editore
in contemporanea al Convegno tenutosi a Tuscania
e organizzato da
Lorenzo de' Medici The Italian International Institute
 
4^ di copertina del libro degli Atti edito
nella collana "Sentieri Saggistici" diretta da Franco Zangrilli


Indice


 


 

Alessandro Gaudio ▌Forma e suono dell'inferno nella poesia di Landolfi

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│…│

3. Forma e suono dell'inferno

  è, dunque, densa la realtà di cui parla Landolfi e ha una forma e un suono che la pervadono tutta, facendone un complesso firmamento:
          L'intera terra par fatta un immane
          Clavicembalo e vibra in una nota.
          [...]

(Viola di morte , Adelphi 2011, p. 84)

 

Che il poeta ritrovi tale nota nel canto delle cicale, nell'ululo del lupo, nella sinfonia del tempo scialacquato o altrove, dove si piange e si deplora la stirpe umana e peritura, è proprio in quell'unica nota che egli riconosce la struttura del quotidiano, tanto il suo senso quanto la sua ultimità: è in quella nota che vibrail suono, ripetuto sino alla morte, della mia esistenza. Quel suono sempre uguale è il limite di ciò che, giorno per giorno, posso scorgere. Nel rintocco delle campane risuona il mio nome e il mio tormento, così come intravvedo il mio segno nella «pecorile litania» dei miei versi, nella loro «vaga agitazione» (p. 59). Su tale aspetto stilistico tornerò più avanti; per adesso basti osservare che la mia voce è la forma immutabile della mia invincibile sofferenza:

           Dovunque ci meni la vita
           O la morte, qualunque sentiero
           Corra il nostro pensiero,
           In qualunque reame la più ardita
           Fantasia ci introduca, in qual sia mare
           Gettiamo lo scandaglio, in qual sia cielo
           Profondiamo lo sguardo, in qual sia terra
           Cerchiamo l'ardua pace, qual sia nube
           Poniamo a specchio delle nostre pene −
           Noi non scorgiamo altro che questo.
            [...]
            (p. 113)

 

La figura delle mie passioni è, dunque, in questa nota che corre anche il rischio di non poter essere decifrata, né da me, né dagli altri: quanto è strappato, divelto e difficile da comunicare persino il più semplice dei pensieri! Come si è già accertato, sembrerebbe in fondo vana la mia «diuturna fatica» (p. 152) di ricondurre il disperso e il discorde all'uno, alla norma che tutta la mia vita informa; proprio perché questa tende inesorabilmente a un limite, alla morte o, che è poi la medesima cosa, all'inconcluso, al nulla che, pur essendo ovunque, mi resta precluso. Perché, giorno per giorno, io sperimento quell'inferno e finisco per accorgermi che esso non ha suono: può forse definirsi suono l'emissione costante della stessa nota?

«Il vero inferno − dice così Landolfi nella biere du pecheur− è una cosa senza rumore. Esso non delira o infuria, non è una bestia feroce, ma un che, un qualcuno di sordido e molle che s'insinua in noi, quando con noi non nasca, e a poco a poco riempie tutte le nostre cavità, fino a soffocarci. Esso è fatto di giorni inerti (chimicamente parlando), d'infedeltà a noi stessi, di continui cedimenti».[1]Ben si evince quanto quell'unica nota sia subdola e, al contempo, pervasiva e compatta. Si capisce il modo in cui quel ghigno senza forma mi riempia la bocca, «Come la terra al morto» (p. 186).

Eccola qui l'irriducibile forma del suono. è così che il mio niente si fa tutto («infinite cose è la stessa che una cosa sola», assicura Landolfi negli anni Sessanta, in uno dei suoi racconti impossibili) e mantenendosi ostinatamente cosa priva di forma e di suono non mi consente di possedere davvero neanche ciò che ritengo possa appartenermi. Sul piano testuale − e nelle poesie di Viola di morte ciò si vede perfettamente − posso ritrovare un equivalente retorico di questo inferno: come Landolfi riesca a riprodurre nei suoi versi la forma e il peso di quella nota. Si è già accennato al fatto che l'allestimento ostinato, ripetitivo e ipertrofico della scrittura landolfiana possa essere considerato criterio e, allo stesso tempo, sintomo del mondo tetro, gelido e luttuoso attraversato dal poeta: non è forse egli stesso a rivelarmi che è la rima che ci mena a morte? Per quanto una poesia vera sia per Landolfi una contraddizione in termini, egli ritiene che il mondo sia da affrontare senza ambiguità, servendosi di un linguaggio che, pur non essendo di alcun conforto, mi consenta un'espressione sincera (precisa, pertinente e mai affettatamente retorica o magniloquente) anche degli aspetti più complessi e ambigui della realtà che, in questo modo, non restino privi sulla pagina del loro mistero.

 

da èAlessandro Gaudio ▌Peso e patologia della realtà nella poesia di Tommaso Landolfi, in E. Di Iorio e F. Zangrilli (a cura di), Tre corone postmoderne. Landolfi, Manganelli, Tabucchi, Atti del Convegno Internazionale patrocinato dall’Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia, 2015, pp. 85-108.

 


[1] T. Landolfi, la biere du pecheur[1953], in Id., Opere, vol. I , Rizzoli 1991,p. 636.

Ezra Pound│La materia poetica

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La poesia Li e Chung Fu, gli indicatori globali nei Cantos, la teoria delle preposizioni di Viggo Brøndal, il testo multiplo della narratio poundiana, l’immaginario dell’ebrezza mistica, la struttura eroico-mistica nei Cantos, Gilbert Durand, esagrammi e polarità delle immagini, le figure retoriche, le figure di elocuzione, le figure di stile, lo step-style di Pound, tassonomia di Suvin, l’I Ching, il canto di Chung Fu, Abraham A. Moles, Jean Baudrillard, Roland Barthes, psicanalisi, Jacques Lacan, C.J. Parat, Bela Grunberger, l’esplosione, Jurij M. Lotman, Osip Mandel’štam, , il cronotipo di Guillaume, l’aspetto verbale di Harald Weinrich, l’antropologia dell’immaginario la critica polimaterica di V.S. Gaudio


 
 
 
 



Idiomatica proibita ▌Il durex

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▌da un reportage di rue69 e le monde
 sul durex on twitter
ribloggatodapingapa 

BCIl durex si stende: cliccaci sopra e aumenta un po’; pinga ancora e potrai , senza sforzare la vista, leggere  ‘ché è grande grande!

 


Xénie seduta sotto il cedro

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trovare la propria anima attraverso l’anima dell’amato
dentro l’antologia di spoon river e quando l’anima si ritrae
allora la tua anima è perduta, così ho scritto al mio amico
ma il dolore, sta scritto, non ha amici
i lunghi anni di solitudine a casa di mio nonno
a Paris in Boulevard Saint-Germain per trasformare
il dolore in coscienza di sé, ma c’era mia zia
e ci furono altri fantasmi in rue de Turenne
forse la Lazare dentro le bleu du ciel di Bataille
o fors’anche Dirty che l’anno dopo venne con
me a Brussell e Xénie seduta sotto il cedro
un’immagine che è penetrata fin nel mio cuore
come mia nonna sotto il nespolo
portandovi un’infinita quiete
fin tanto che percorrendo  l’orangerie Steiner
verso nord si arrivava per  il mese di agosto
ai fichi d’India, che non saranno mai rossi
come quelli  che passeggero vidi a Malta
con la mia anima che non stava amando più
fu così che non la trovai nemmeno a Brussell
by Blue Amorosi

Idiomatica proibita │Il caro Pipino di Marte

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Leggi il riferimento al pene di Marte
in cronaca, nell'autunno del 2010,  qui e qui

Ana Teresa Fernández ▬ La pulsione del Planchado

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La pulsione del farsi la stiratura
La questione della figura e dell’asse da stiro di Ana Teresa Fernandez è una questione linguistica: dentro il paradigma del ferro da stiro che è “plancha” nella lingua della pittrice, “planchado” è la “stiratura”. La stiratura della figura è quasi un tuffo, che non è la zambullida che si fa in piscina ( e la Fernandez ha anche di queste performances nei suoi dipinti) ma è la plancha, il tuffo che si fa nel fútbol, fino a che la figura fa lo schema verbale del planchazo, la “figuraccia” o, per ritornare al tuffo, il tuffo di pancia, la spanciata. La figura di Ana Teresa Fernandez  deve “planchar  la roba”, stirare la biancheria,  invece “se tira un planchazo”, fa una figuraccia. O meglio: da figura si fa figuraccia, figura vs planchazo, ma anche vs papelón, come se fosse sulla carta, o un cartone, sobre el papel, sulla carta, in teoria; sobre el papelón, sulla carta sarebbe sul cartone, in teoria una figuraccia che stira la figura sobre la tabla de plancia, che da asse da stiro si fa meridiano, se non asse terrestre,  per l’oggetto “a” del visionatore, che pone l’occhio sulla figuraccia, che è sobre l’eje de la esfera terrestre, come se fosse sulla barra dell’oggetto “a”. Deve essere così: difatti la figura, sobre el eje, l’asse, sta facendo una ejecución, una esecuzione, l’attuazione del suo farsi figuraccia, una stirata come se fosse la ejecución del suo farsi imbragallare, che, va da sé, nella lingua della pittrice si fa pulsione del   hacerse planchado, la pulsione del farsi la stiratura. Quel suo farsi figuraccia. Hacerse planchazo.
 
 
 
 

 

Barthes scrive bene ░ Massimo Sannelli

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    Closedi Massimo Sannelli

Io sono all'interno dell'insieme, perché sono quello che vuole tutto & subito. C'è questo desiderio e voglio organizzare il dopo, punto per punto; le voci dei personaggi sono in mente, tutte; in cuore si liberano bene, vogliono parlare, vogliono essere recitati: io colgo l'occasione; volete parlare, belli? E allora venite da me, no?  Bisogna lavorare molto per moltiplicarsi bene; e poi piove o nevica bene e doucement sur la ville. Credo nel contatto complicato: è una specie di sesso, ora è chiaro. È una penetrazione innumerevole, una cosa speciale e non dolorosa, mai. Detto così suona bene, sembra un gioco. Invece no: c'è una rabbia di cane, uno sconforto di bestia morale; e per questo il crash, qualche volta. Biglietto all'editore, la mattina dell'undici febbraio (realmente): Ora ti lascio, sai? / Io non sarò più un redattore / Non è una cosa singolare / E io voglio solo quella (quanta bella pace). Napoleone chiama il medico: dopo il bagno è veramente il re nudo, vuole sapere se è come una donna. Ecco, dottore, guardi: ho un bel petto, e che gambe, non ho un pelo, dottore, mi vede, dottore, mi vede? Napoleone vuole sapere che è bello, come una donna. Io devo osservare la sua delicatezza, da lontano, punto per punto. La sua delicatezza è uno strano esempio. Il re voleva essere una dama, non il corpo ideale, come in Canova. Io so perché.
Olivia e Lorenzo sono nella cantina. La regìa di Bertolucci mostra tutti i particolari: se si esce di casa, si cammina per strada; se si va all'ospedale, si deve vedere l'autobus; se si sale in casa, il dovere impone di filmare la scala. C'è troppa spiegazione; la spiegazione crea troppa simmetria di fatti; ma io vorrei una simmetria di cose da vedere (e quindi l'estetica di Greenaway? Sì, ma senza esagerare).
Con tutti i nervi (in tensione) aspetto di fare il primo film.
Ascolto Brad Mehldau. Ascolto Matthew Shipp. E slurp. Il jazz, sì. Non tutto il jazz, ma un certo jazz (voi capite). E: Barthes è un fuoco sottile. Barthes scrive bene, sempre, Barthes è molto delicato, ogni volta. Ma nella periferia uno non capisce, e non deve capire per forza; e dalla periferia – che si chiama banlieue – si arriva all'Isis, non a Barthes; ed è inutile la giustificazione, non si addomestica chi sta male, la cultura parla alla cultura, il resto parla al resto. Ma il resto è tutto, e perché il tutto dovrebbe sottomettersi alla cultura? Barthes è cultura e Godard è cultura. Tutto quello che per me è stato grande – esclusa certa musica, una musica CERTA – ha questo limite: essere cultura, essere una cosa minore, che non sa più di esserlo. Così torno alla piccola rivelazione (no: rivoluzione) privata da cui sono partito: sono all'interno di un insieme, ma per sconvolgerlo. Mica male, dice l'anima selvatica, la bambolina interna: quella che fa argh argh e ah ah, di volta in volta, e a volte fa sigh, di nascosto.




Uh-Book ░ Armando Adolgiso │Film senza Film

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UH-Book2015 from Issuu
© adolgiso.it 2003 │© stampa alternativa 2000



l’autore parla del romanzo, trova gli interpreti della sua storia, improvvisa un frettoloso avvio, le prime battute degli attori, retroscena e significato di un’epica rissa, abbuffata cominciata bene finita male, ingiunzione e nuova scena, l’autore cambia casa e sensuale fantasticheria di una sua eroina, infortunio sentimentale, videoclip e spettacolo in terra di toscana, idillio turbato da una furibonda signorina, viaggio e provvista di vini rovinata, sospetto e validità delle idee, cose accadute nel lontano nord, sogno e decisione, titolo al libro e congedo Film-Novel di Armando Adolgiso

Luciano Troisio │Le Città del Re Lebbroso

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                                               La Terrazza del Re Lebbroso  Siem Reap  ©mnstatic.com

 
Intervista di Marina Monego

 Conosco Luciano Troisio da una decina d’anni e l’ho sempre visto in movimento, pronto a fare le valigie per l’Estremo Oriente, vuoi verso la prediletta Bali, dove vive ancora un’umanità bambina, ricca di gentilezza e bellezza, vuoi verso paesi poverissimi e oppressi come il Laos, o addirittura instabili politicamente come il Myanmar, i cui confini infatti sono risultati talvolta invalicabili. Viaggiare per Luciano è una necessità, un imperativo che non viene meno col trascorrere degli anni, anzi sembra farsi sempre più forte. Da un lato è un modo per tenersi vivo, attivo, attento ad evitare imbroglioni e lestofanti che sovrabbondano ovunque e sono pronti a turlupinare soprattutto il turista occidentale, dall’altro viaggiare gli consente di sfuggire all’atmosfera nebbiosa e deprimente dell’acherontica pianura padana. Seppure in giro per il mondo Luciano non si dimentica mai di essere un occidentale, un italiano, un padovano, non tralascia strali ironici verso pseudointellettuali rimasti a casa e “galline padovane” pettegole e curiose, che immaginano pruriginosi risvolti erotici dei suoi viaggi in località effettivamente note per il turismo sessuale. Oltre tutto non manca di mettere in valigia una ricca scorta di specialità dolciarie nostrane per i momenti di crisi. L’ultimo libro di Troisio, Le città del Re Lebbroso. Appunti dall’Estremo Orientecontiene una serie davvero ampia di reportages, frutto di anni di viaggi, che spaziano dal Laos-Cambogia-Vietnam alla poco ospitale Australia, terra di ragni e di serpenti; dalla Thailandia al desolato Myanmar fino a Timor Est, luogo in cui non tornare, dove l’unica nota positiva è l’ospitalità delle suore canossiane, pulitissime, sobrie e molto amate dal popolo, che vede come spendano tutte le loro energie per la promozione della donna. Ho avuto il piacere di ascoltare alcuni di questi racconti di viaggio dalla viva voce di Luciano e ritrovarli adesso raccolti in un libro mi ha dato un immenso piacere, regalandomi ore di lettura sempre interessante e vivace. In tanti spostamenti Troisio ha modo di partecipare anche a eventi unici come la cremazione reale della principessa sorella maggiore del re Bumihol, a Bangkok nel 2008, e del re Sihanouk in Cambogia nel 2013, cerimonie sontuose, lunghissime, costosissime e di difficile comprensione per un occidentale. Non mancano neppure le fatiche e i disagi, i paesi in cui viaggia spesso non offrono tutti i comfort cui siamo abituati noi occidentali, gli alloggi sono spartani, il disturbo causato da eterni lavori edilizi è quasi costante e gli spostamenti si svolgono su mezzi scomodi e strade disastrate.
Proprio partendo da questo aspetto, volevo cogliere l’occasione per porre alcune domande all’autore.

Luciano Troisio Le città del Re Lebbroso e le suore Canossiane
 
 




Luciano Troisio
Le città del Re Lebbroso
Come nasce questo libro?

R.: Ho esitato prima di decidermi a stamparlo. Molto materiale, e quella pubblicata è solo una parte, circa la metà, di quanto ho scritto su questi paesi (escludo per adesso Bali). Sfrondare? Redigere un'autoantologia? Sono a lungo rimasto nell'indecisione; nugae effimere, inconsistenti trucioli, non valgono la candela. E poi ormai è inutile pubblicare alcunché: basta metterlo in rete. Il cartaceo è costoso, non viene distribuito, sebbene sia destinato, secondo certi accreditati ambienti antiquari, a divenire in futuro oggetto certamente ricercatissimo e ambìto per via dell'esiguità delle attuali tirature, ulteriormente limate dal macero che svuota i magazzini. Inoltre la rete è perfino sovraccarica di informazione derivante dalle cosiddette recensionidirette sui vari siti visitati da turisti. Ce ne sono in quantità pressoché infinita, in tutte le lingue, e traducibili all'istante, per quanto in modo sommario. Si legge di tutto, a sazietà, specie nell'ambito dello scadente, del contraddittorio e dell'istant/mediocre. E infinite sono le interessanti immagini allegate. Quindi hanno ragione gli editori cartacei, più che altro alle prese con bollette incombenti: i libri di note di viaggio non interessano a nessuno. Però una semplice edizione cartacea di queste annotazioni minimaliste, che amo definire farfugli del quotidiano, forse ha diritto di esistere, di essere de/scritta a fuoco invece di annullarsi nell'indistinto perso brusio della neve di fondo, della foschia globalizzata. Penso con nostalgia a quando nel secolo scorso facevo l'accompagnatore turistico e si organizzavano ancora le gentili proiezioni di diapositive, serate festose frequentate da molte belle ragazze, ormai nonne. Ora alle presentazioni non viene nessuno. Bisogna mendicare ruffianandosi gli amici, tutti hanno molto “da fare” (nel senso che non hanno ancora “fatto” nulla) e comunque nello sparuto gruppo di presenti (si cerca di scegliere solo salette piccolissime, per non dare la desolante impressione del deserto) non manca mai l'imbecille che interviene a contraddire, a dichiarare che a lui espertissimo non è mai successo nulla di quanto sostengono gli incauti presentatori. Ha molto contribuito alla mia indecisione anche la difficoltà di reperire il materiale perduto in vari computer, alcuni dei quali irreversibilmente fuori uso (ora di funzionanti ne ho solo tre più due dischi esterni), e in infinite pile di cd. [I tecnici informatici mi terrorizzano oracolando che i supporti dei dischi avranno al massimo 20 anni di vita e poi saranno illeggibili: precipitiamo verso il precario. Non lasceremo nulla ai curiosi extraterrestri.] Ricordo con precisione alcune pagine che non ho più trovato; inoltre ho varie decine di agende che non prendo nemmeno più in considerazione, tanto è vero che a un certo punto ho capito che lo scrittore non paranoico raramente è in grado di “concludere”, deve quasi sempre saper interrompereil lavoro. A questo si aggiunga che il prestigioso prefatore Massimo Pamio (di eccessiva generosità e oceanica cultura), avendo letto per intero le bozze che contenevano anche le oltre cento pagine del mio Diario Shanghaiese, mi ha telefonato per avvertirmi che si trattava di un capolavoro, che dovevo assolutamente stralciarlo e affidarlo a lui che l'avrebbe proposto ad amici editori da un milione di copie, più le traduzioni. Entusiasta per essere stato finalmente scoperto anche se tardi, gli mandai due copie in cartaceo. Lui mantenne la promessa, ma gli editori da un milione di copie a tutt'oggi non hanno risposto. Così il volume è uscito senza il diario shanghaiese che risulta tuttora inedito (sebbene ne esista in rete un'edizione in e-book). Alla fine, con un faticosissimo certosino lavoro - che non ha eliminato almeno una dozzina di refusi - siamo giunti stremati alle bozze definitive e alla stampa, di questo che risulta il secondo cospicuo volume di una probabile trilogia (dopo Nuvole didrago) che sarà completata se vedrà la luce il terzo volume su Bali.
Avendo io dedicato molti moduli universitari alla Letteratura italiana di viaggio del secolo XX, piuttosto seguiti dagli studenti, e scritto nel mio piccolo parecchi saggi accademici su vari autori, non posso esimermi dal ricordare come sia mutato il mondo dagli inizi del secolo scorso: penso ai prestigiosi reportages di Luigi Barzini dai vari fronti asiatici: la guerra russo-giapponese, la rivolta dei Boxer e relativa spedizione punitiva delle potenze europee compresa l'Italia, poi il celebre raid Pechino-Parigi, solo per citare un autore che quando usciva sul giornale raddoppiava le tirature, e poi ancora Guido Gozzano in India (a tutt'oggi oltre 80 tra edizioni e ristampe!), e negli anni Trenta Giovanni Comisso in Cina, Corea e Giappone; e nel dopoguerra, con Mao al potere dal 1949, le decine, le centinaia di celebri volumi sulla “cara” Cina, di tutti gli autori più famosi che sarebbe troppo lungo elencare. Poi il 1989, la fine di un mondo e il nuovo millennio dove risultiamo rarefatti sopravvissuti seppur tecnologicamente aggiornati, noi che prima non avevamo che macchine da scrivere e rozze giurassiche telescriventi Olivetti a schede perforate.
Un breve cenno laterale alle visite degli stranieri nel nostro paese, il prestigioso Grand Voyage: argomento fondamentale e di eccellenza, su cui non occorre spendere parole. Alcuni miei studenti di indirizzo linguistico su mia proposta se ne sono occupati. Io, italianista, mi sono presto reso conto delle mie modeste energie, e quindi pur di malavoglia ho limitato l'interesse agli scrittori di lingua italiana dal 1850 e al Continente asiatico, schedando parecchie centinaia di volumi.

Il viaggiare: passione, interesse oppure, con l’andar del tempo, autentico “daimon” che ti spinge a essere sempre in movimento nonostante alcuni disagi?
R.: In effetti appartengo a una categoria di illustri irrequieti. Con alcuni di questi sono in perenne contatto e ci scambiamo molte notizie di prima mano. Purtroppo i disagi sono in aumento, anche i prezzi. In questi mesi poi abbiamo assistito al crollo del valore dell'Euro, con un danno di almeno il 15% sul cambio: l'anno scorso per 100 euro si avevano circa 138 dollari. Ora se ne hanno 108. Confesso inoltre che molto spesso mi annoio (ma è già stato detto e scritto da molti, con la nota formula: io era melancholichissimo), che la prossemica con l'inespungibile folla subumana mi infastidisce sempre più, che molto spesso nei piccoli centri si mangia male, il riso è una papparella immonda e non c'è scelta. Ma noi italiani lo mettiamo già in conto: sappiamo di andare verso il probabile schifo. L'inquinamento anche acustico è fastidioso. I miei occasionali compagni di viaggio -non privi di problemi- sembrano confortarsi alla grande bevendo e “fumando”. Io no, sono inconsolabile e comincio a stancarmi.
Diventando vecchi si fa molta fatica a dormire. Sono ormai dipendente da farmaci. In ogni caso mi sveglio alle cinque in preda a incubi non verbalizzabili. Non oso alzarmi. Di prima mattina io e Sgarbi ci sentiamo malissimo. Una volta ero un grande camminatore. Ora mi stanco subito. Se possibile me ne sto seduto in qualche dehors, evito di bere caffè, preferisco vere spremute di frutta, controllo il ghiaccio (che sia cilindrico e con un foro  centrale), e resto a guardare la gente multicolore, il fiume della vita, come si diceva una volta a Nuova Delhi: è un esercizio di estremo interesse, che mi istruisce e diverte. Anche la contemplazione degli spettacoli naturali è risarcente e commovente.
Gli aspetti davvero positivi: si evita l'inverno della nebbiosa pianura padano-veneta, in Indocina il clima è ottimo, non è troppo caldo e non c'è mai un giorno di pioggia fino ad aprile. Inoltre riesco a occupare i tempi morti studiando vari argomenti anche non strettamente poetici; ho portato piccoli libri di enorme peso specifico (la mia valigia pesa soltanto 12 chili e non intendo comperare nulla), perché ho scoperto che i libri più importanti in assoluto raramente hanno più di cento pagine (in questo momento sono attratto dall'affascinante Teoria delle Stringhe, nonostante non abbia le conoscenze di alta matematica necessarie). Inoltre, sebbene con fatica, portandomi dietro il leggero disco esterno da 500G, riesco a lavorare e a pazientemente sistemare vecchi diari. Conto di avere per Pasqua un volume pronto, sarà in 200 copie. Invece faccio sempre più fatica a scrivere ex novo. (Anche a rispondere alle tue domande, seppure stimolanti; lo faccio molto lentamente, un'ora al giorno, e d'altra parte tu sei l'unica che si sia benignamente degnata di accennare a una risposta, tra tutti quelli che hanno ricevuto in dono il volume in oggetto. Inoltre tu l'hai anche letto davvero. Nessun altro mi ha detto una sola parola).

Le mete dei tuoi viaggi: alcuni luoghi sono degli autentici leit-motiv, penso a Bali o ai templi di Angkor: è la loro infinita bellezza ad attirarti così spesso? Hai mai pensato di trasferirti lì?
R.: Ho visitato lo straordinario sito di Angkor varie volte. Ora non ci torno più. Sebbene da Phnon Penh ci si possa arrivare facilmente in cinque ore di autobus. C'è anche un affollatissimo aeroporto. Invece sono sempre attirato molto dalla raffinatissima cultura Indu-Balinese (ma non dall'aspetto turistico e burocratico/poliziesco, davvero schifoso e massimamente corrotto). Non ho mai pensato di abbandonare davvero la penisola, sebbene non mi senta più legato a nulla. Ma non rinuncerei mai alla cultura europea. Sono fermamente convinto che molti miserabili traffichini espatriati non abbiano perso nulla, perché nulla avevano da perdere essendo analfabeti totali. Chi non ha nulla da perdere è molto facilitato: i disperati possono solo guadagnare.


Il titolo del libro “Le città del Re Lebbroso”. Raccontaci qualcosa di questo misterioso Re, cui dedichi alcune pagine nella parte finale del libro, citando tra l’altro il naturalista francese
dell’Ottocento Mouhot.

R.: Questo argomento richiederebbe da solo un lungo capitolo a parte. Proprio oggi ho di nuovo visitato il Museo Nazionale e ho finalmente visto l'originale della statua nella galleria meridionale (al centro del cortile c'è un'edicola che protegge una mediocre copia della stessa scultura. Tutti si fotografano davanti alla copia, la vita è fatta così). La storia del re lebbroso è assai complicata, come anche quella di parecchie altre statue, collegate a superstizioni e oggetto di fanatico culto. Molte delle sculture che ho rivisto oggi risalgono al sesto secolo dopo Cristo, e rappresentano divinità indù (il buddismo è arrivato nell' impero Khmer molti secoli più tardi). Non sarei molto sicuro delle datazioni, però molte di queste opere gareggiano certamente in bellezza con quelle dell'Età di Pericle (di mille anni prima). Su Mouhot ho già scritto a lungo. Ha scoperto Angkor per caso: non era un archeologo ma un naturalista. Non mi resta che rinviare alla lettura del suo libro (e del mio).

Durante i tuoi viaggi acquisti spesso oggetti d’antiquariato, monete, monili, cartoline e francobolli e altro. Qual è l’oggetto più strano che hai mai acquistato? A volte penso che potresti allestire un piccolo museo e mi vengono in mente i collezionisti dei secoli passati, ti senti un po’ vicino a loro?
R: Non mi sento affatto vicino a nessuno. In passato comperavo soprattutto gioielleria anche antica, specie in India, nel Rajasthan, argento di alta qualità, collane di coralli, turchese; ma non per me. Lo facevo (per importanti regali alle morose e) per quella decina di amiche/clienti che poi mi comperavano “le cose belle”. Era un modo per pagarmi da studente il biglietto aereo. Quindi non mi è rimasto quasi nulla, anche perché ho subito vari furti: le mie casse dalla Cina mi sono state consegnate dalla SART di Tombolo, sventrate. La denuncia ai Carabinieri non è servita a nulla. Avevo anche una preziosa collezione di antiche ceramiche e porcellane italiane e francesi. L'anno scorso, tornando dall'estero i miei premurosi vicini mi hanno chiesto se avevo trovato tutto in ordine. Questa strana insolita domanda mi ha molto impensierito. Essendo io per mestiere uno studioso analista del linguaggio, conoscendone abbastanza le segrete leggi e soprattutto le trappole, ho avvertito un infallibile sibilo bergsoniano; ho subito pensato anche alla struttura del “motto di spirito” freudiano (infatti eravamo in tre: lei parlava a me perché il ganzo presente godesse della sfida). E in contemporanea si verificava una involontaria sottigliezza che solitamente diventa infallibile prova perché immette nella giusta direzione di indagine: il suo inconscio non controllabile quindi le ordinava di essere scoperta. (Qualche mese dopo ne parlò anche la criminologa Roberta Bruzzone a proposito delle fascette da elettricista della mamma di Loris). L'appartamento era apparentemente in ordine ma feci quello che non avevo fatto da 3 anni, aprii tutti gli armadi e cassetti. Sorpresa: le mie collezioni più preziose non c'erano più. Sono rimasto profondamente addolorato, non solo per il valore venale, ma anche per aver allevato serpi, che mi hanno anche minacciato: se continui a parlare finisce male. Non ho più il senso del collezionismo e non frequento nemmeno più i mercatini, da cui tornavo sempre onusto di sacchetti di libri molto interessanti, rarissime inestimabili prime edizioni di narrativa e poesia, e che costavano pochissimo; ma ora, colmato anche il bagno e il garage, non ho davvero più spazio se non per gli e-book. Ho acquistato molti oggetti misteriosi e strani (ad es.: un “bastone per fabbricare la pioggia”, avuto da uno sciamano Batak nell'isola di Sumatra, sparito anche quello. Sarà stato lui?). Ma l'oggetto che non dimenticherò mai e che ora sarà nascosto chissà dove (io un'idea ce l'ho), è una coppa ottocentesca di un preziosissimo servizio del Caffè Pedrocchi, di marca Ginori. Io l'ho casualmente scovata a Budapest una quarantina di anni fa (probabilmente qualche ufficialetto austroungarico l'aveva rubata per ricordo) e l'ho riportata a Padova. 

Leggendo le pagine su Timor Est sono rimasta favorevolmente colpita della figure delle suore canossiane, che sembrano costituire l’unica nota positiva in un paese altrimenti desolato e poverissimo. Raccontaci di loro.
R.: Timor è uno dei luoghi più strani che abbia visitato. L'ONU è una presenza massiccia, la popolazione di circa un milione di individui è mantenuta dall'Alto Commissariato per i Rifugiati. Il reddito pro capite è di mezzo dollaro al giorno.  I prezzi sono altissimi, non c'è nulla da acquistare. È il paese più costoso del mondo dopo gli USA. Dovevo starci 30 giorni, però me ne sono tornato quasi subito a Bali. Sono stato ospite al Liceo femminile delle adorabili Suore Canossiane. Il vero motivo per cui mi sono trattenuto una decina di giorni è stato diciamo di tipo editoriale. Infatti ho accettato (con un po' di turbamento) volentieri di leggere e risistemare in un'edizione in lingua italiana (la loro Sede centrale è in provincia di Verona), la vita esemplare di Suor Erminia Cazzaniga, originaria di Vimercate, barbaramente assassinata con altri sei religiosi durante la folle invasione indonesiana della ex colonia portoghese Timor Este, abbandonata al suo destino dagli ex padroni. La Madre Superiora Prof.ssa Guillermina Marcal (che è anche ordinario di Inglese e Portoghese all'Università Statale di Dili) aveva scritto un'ampia biografia: Martires da Caridade con vasta appendice di testimonianze di varie persone relative a Suor Erminia, usando la lingua portoghese mista all'italiano. Non è stato un lavoro semplice. La Superiora non aveva molto tempo da dedicarmi. Abbiamo riletto insieme la mia trascrizione di ogni capitolo soffermandoci sui punti dubbi. Ovviamente sono intervenuto soltanto a livello lessicale-sintattico. Ho anche approfittato del fatto che in refettorio la Superiora mi faceva sedere alla sua destra. Era l'unica opportunità che avevo per conversare con lei. Ciò mi ha permesso di farle molte domande in molti campi, e di ricostruire le vicende dell'occupazione indonesiana che ha coinvolto per anni le quattro sedi  canossiane nella capitale Dili, presso le quali molte migliaia di timoresi avevano trovato rifugio e sostentamento. Non posso dimenticare il tratto di gentilezza di cui sono stato oggetto da parte di tutte le sorelle timoresi, molte assai giovani. Ricordo inoltre la particolare dolcezza dei cori e della musica anche religiosa, imparentata, come del resto la loro lingua (che si chiama Tètun), con quella polinesiana.

 Nei tuoi viaggi incontri tantissime persone, che descrivi, alcuni paiono personaggi da romanzo. Il tuo interesse al linguaggio del corpo è sempre molto alto, pensi che alle volte tale linguaggio possa sostituire quello parlato? I due linguaggi si completano per la comprensione dell’essere umano? Degli asiatici dici che tendono, anche nei momenti di lutto, a non esprimere sentimenti se non quello del rispetto, dunque in loro emerge maggiormente il linguaggio della gestualità? Possiamo fare un confronto con la nostra cultura, che ormai fa un uso e un abuso della parola?

 R.: La folla in generale è una bestia informe. Non è possibile dire nulla. Nel  mondo del turismo si vede di tutto e di peggio. I pretesti per litigare ci sono a ogni piè sospinto. Il turista è l'oggetto e il soggetto della rapina. Si incontrano persone corrette e non. I maleducati sono la grande maggioranza. Ma è anche vero che l'asiatico resta indifferente ai più molesti rumori, non lo fa apposta, è proprio stupidità culturale, parla a voce alta, tiene radio e Tv a tutto volume. I camerieri nullafacenti si siedono sulla soglia della tua camera a chiacchierare e ridacchiare per ore. Una volta ripresi educatamente si ripresentano dopo cinque minuti e ricominciano. Direi che proprio non ci arrivano.
In generale l'asiatico dovrebbe essere molto controllato, tenere un comportamento di distacco che molto spesso è finzione. L'asiatico non esterna i sentimenti, né il dolore né l'affetto, ma questa non è una regola fissa, dipende anche dalle diverse etnie. Il maiale cinese sbadiglia rumorosamente enfatizzando e sputa dovunque, la signora giapponese può essere il massimo dell'educazione e del rispetto di una etichetta quasi invisibile, ma io ho avuto vicine di posto giapponesi urlanti e sghignazzanti come sadiche prostitute.
L'asiatico è al primo posto nella gerarchia dei truffatori e imbroglioni: nessuno lo supera. Ma esistono anche élites di signori in tutte le etnie. Incontrarli è poco probabile. Molto più frequenti gli straccioni. Non sono razzista: ci metto anche i turisti.
Approfitto della tua domanda per tradurre in sintesi alcuni consigli fornitimi oggi assieme alla pianta di Phon Penh: l'Ufficio Turistico della città reputa opportuno suggerire in inglese agli stranieri le seguenti esemplari raccomandazioni:
(nelle varie circostanze) vestire in modo appropriato, imparare i gesti corretti (allude a come bisognerebbe tenere le mani giunte nelle varie posizioni di saluto e di ringraziamento. Molto istruttivo a questo proposito è seguire in TV le manifestazioni ufficiali e specie quelle che coinvolgono la famiglia reale, i bonzi e i politici, con moine infinite), imparare qualcosa della lingua (piuttosto ostica), togliersi le scarpe (in certi luoghi), usare correttamente le mani (allude al fatto che non bisogna usare la mano sinistra quando si mangia e che è segno di rispetto consegnare qualunque oggetto con ambedue le mani, mai con la sinistra), non “criticare” le persone, specialmente in pubblico (concetto collegato al principio generale: “come salvare la faccia”). Personalmente cerco sempre di rispettare queste norme (non sempre me ne ricordo), ma c'è anche un'altra decina di divieti validi specie in Thailandia, che non enumero per non tediare la folla dei lettori. 

 


La Leggenda del Re Lebbroso onUh Magazine nell’aprile2014


Dai plexigrammi di John Cage alle scritture bianche ░ Alessandro Gaudio

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Geometria, simmetria e psicanalisi

John Cage era solito contrapporre il proprio orientamento verso la pittura geometrica astratta all’arte automatica: quest’ultima costituirebbe «un modo per ripiegarsi su se stessi, soffermandosi inconsciamente sui propri ricordi e sulle proprie sensazioni»(1) . È per questo che Cage, come notava anche Edoardo Sanguineti(2) , non apprezzava l’estetica surrealista, chiusa sull’io e troppo collegata alla psicanalisi, e le preferiva, invece, il Dada, aperto alla realtà e alla sperimentazione su di essa, non limitandosi a catalogarla in termini di bello o di brutto. Lungo questa china, la sperimentazione di Cage assumeva lo zero come base e prescindeva così, perché tutto le fosse permesso, da qualsiasi intenzione: «io vorrei che l’arte scivolasse via da noi, − chiosava nel 1978 − verso il mondo in cui viviamo»(3) . Se, ora, si osservano le “scritture bianche” realizzate da Mark Tobey, come quelle di Robert Rauschenberg da Cage tenute in grande considerazione, esse, con la loro superficie pressoché completamente dipinta (che un po’ esaspera il suprematismo del Quadro bianco su fondo bianco di Kazimir Malevič e che troverà poi una forma omologa nelle rilievografie dell’italiano Franco Grignani), indurrebbero ad aprire gli occhi, a vedere ciò che c’è da vedere o, se si vuole, a fare emergere ciò che l’inconscio contiene. Appare evidente come la psicanalisi, scacciata dalla porta, in un certo senso, rientri dalla finestra. Lo stesso Espressionismo astratto (etichetta troppo sommaria cui è stata spesso ricondotta l’opera di Cage) fonda la sua ragione su una superficie assolutamente priva di un qualsiasi centro di interesse(senza alcun bisogno di climax, «senza articolazioni compositive che privilegino questa o quella parte»)(4) , che arrivi a espandersi quasi oltre la cornice, che dia luogo a un’opera senza un inizio, né parti intermedie, né fine e che sia priva di punti focali(5) : all over painting è stata definita, per l’appunto, la pittura che copre tutta una cosa, tutto uno spazio, in maniera omogenea: «non ci sono vuoti, e non c’è alcun luogo in cui non sia stato fatto qualcosa, con pochissime eccezioni assolutamente trascurabili»(6). Cage, in un’opera d’arte, non apprezzava l’orientamento o, come egli stesso precisava sempre nel 1965, la simmetria («non sono interessato alla simmetria»(7) . Tuttavia, se della simmetria si considera l’accezione psicanalitica (che, intanto, è rientrata dalla finestra), non si può non constatarne la rilevanza nel processo di comprensione e di analisi di un lavoro artistico. È Cage medesimo che tende a considerare e la simmetria e la superficie continua priva di qualsiasi centro come spesso coincidenti, specialmente se si esaminano dalla parte dell’esperienza di chi osserva: in base a ciò, le opere di artisti ritenuti agli antipodi, come Joseph Albers e Jackson Pollock, possono impegnare l’osservatore in un’esperienza tutto sommato simile. Proprio parlando qualche anno dopo di Marcel Duchamp e della filosofia dell’anarchico Henry David Thoreau, Cage ammetterà come «sì e no non sono altro che bugie [...] mantenendo la distinzione, può voler significare che nessuna delle due è vera. L’unica risposta giusta è quella che ci permetterà di averle entrambe»(8) .  Non ci vuole molto a finire per accostare il precetto che Cage fa suo alla definizione che Ignacio Matte Blanco fornisce del principio di simmetria(9) ; come è noto, secondo lo psicanalista cileno, a tale principio si atterrebbe il sistema inconscio, in base a una interpretazione che è perfetta per circoscrivere le regole bivalenti dell’attività dell’artista di Los Angeles: ad esempio, le norme estetiche cui si uniforma la serie degli otto plexigrammi (collage o assemblaggi su plexiglass) e delle due litografie che Cage intitola Not Wanting to Say Anything About Marcele dedicati nel ’69 a Duchamp. Nei plexigrammi, le parole sono cancellate o poste in uno stato di disintegrazione tale da consentire il passaggio dalla pittura geometrica al regime del casuale. Queste operazioni casuali prevedono, come si è detto, la rinuncia a qualsiasi intenzione: rinuncia che si può perseguire, secondo un uso molto disciplinato, attraverso la moltiplicazione delle immagini e che implica anche la scelta, come fattore preponderante, di una certa uniformità. Risulta molto affascinante il collegamento tra questo spazio uniformemente disseminato di cose, del quale ho parlato anche in altre occasioni(10) , e quello stato di articolata costipazione (e, talvolta, di sovrapposizione) che supera persino, procedendo a ritroso, gli stretti rapporti che la ripetizione e la ricorsività intrecciano con la funzione della memoria. Al di là di essi, l’arte trova, secondo Cage, una superficie (basata sulla teoria del caso e, quindi, anarchica, ma mai caotica) che collega la mente degli uomini alla realtà che si trovano a vivere; insistendo su questa superficie spontanea, le convinzioni, le idee, le percezioni si rivitalizzano e l’Io, così eticamente disciplinato e rinnovato, si apre al mondo come attraverso una finestra; mettendosi in gioco, l’Io accetta − come efficacemente sintetizza Sanguineti nel suo commento alla Lettera a uno sconosciuto − «le incertezze del cambiamento»(11) .




1 Cfr. J. CAGE, Lettera a uno sconosciuto [1987], a cura di R. Kostelanetz, trad. it. di F. Masotti, Roma, Socrates, 1996, p. 243. Il corsivo è mio.

2 Cfr. E. SANGUINETI, Praticare l’impossibile, in J. CAGE, Lettera a uno sconosciuto [1987], op. cit., p. 18. 3 Ivi, p. 291. Sui rapporti tra Dada e i dadaismi del contemporaneo si veda il bellissimo catalogo della mostra tenutasi a Pavia dal 7 settembre al 17 dicembre 2006 e curata, come il catalogo, da Achille Bonito Oliva: DaDada. Dada e dadaismi del contemporaneo (1916-2006), a cura di A. Bonito Oliva, Milano, Skira, 2006.
4 Cfr. M. CORGNATI, F. POLI, Dizionario d'arte contemporanea. Dal 1945 a oggi, Milano, Feltrinelli, 1994, s.v. All over, p. 9.
5 Cfr. J. CAGE, Lettera a uno sconosciuto [1987], op. cit., p. 245.
6 Ivi, p. 196.
7 Ivi, p. 247. 8 Ivi, p. 249.
8 Ivi, p. 249.
9 Cfr. I. MATTE BLANCO, L'inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica [1975], trad. it. di P. Bria, Torino, Einaudi, 1981.
10 Si rimanda a A. GAUDIO, Mai bruciati dalla Cosa. Parole, figure e oggetti dell’inattualità alle origini della poesia visiva in Italia, in «Critica Letteraria», XXXIX, fasc. III, n. 148, settembre 2010, pp. 592-611; dedicato all’opera di Luc Fierens, Anna Guillot e Agostino Tulumello il mio recentissimo Elementarità e critica. Note sulla rinnovata disposizione della Poesia Visiva, in I linguaggi della sperimentazione, catalogo della mostra a cura di C. De Stasio, Brindisi, s.d. [ma 2014], pp. 28-29
11 E. SANGUINETI, Praticare l’impossibile, op. cit., p. 16.



 
Leggi tutto in  Alessandro GaudioConsistenza e caso. Idea e confini del neodadaismo da Cage a Pleynet e oltre,  on Diacritican.1, febbraio 2015: www.diacritrica.it 


 

Ignazio Apolloni ▐ A proposito di Davis

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( Riceviamo la notizia della scomparsa di Ignazio Apolloni, il nostro caro amico Ignazio, quello dell’Antigruppoe che fece con Pietro Terminelli l’Intergruppoal quale partecipammo nei cosiddetti mitici anni Settanta e Ottanta, l’autore di Niusia, questo è essenziale: lo ricordiamo con questo suo scritto, rinvenuto nell’archivio di Uh Magazine, per le sue Apollonglosse, sull’ultimo film dei fratelli Coen: Inside Llewin Davis Alessandro Gaudio & V.S. Gaudio


 


A PROPOSITO DI DAVIS
 
 
Si direbbe C’era una volta, non fosse che sempre più spesso l’incipit ricorra per quest’ultima generazione di sbandati e scontenti, senza ideali e senza terra (per dirla con il noto Giovanni Senza Terra) sotto i piedi e in fondo all’animo. Eppure il fenomeno folk music non nacque come fuga dalla realtà ma semmai come forma di arricchimento del vissuto affinché l’arte avesse uno span sempre più ampio. Il genere di musica impregnò di sé le nuove correnti di improvvisatori e musicisti americani, più sensibili all’evasione da una civiltà ossessionata dal profitto (il milione di copie di dischi venduti) che non fatta di estimatori e relativi fans europei. Qui non c’era un ovest da esplorare; uno spazio in cui annegare la nostalgia e talvolta l’angoscia; un miraggio cui puntare per sottrarsi all’asfissia, bensì un perenne tentare di recuperare la grandeur filarmonica composta di musica e miti, archeologia e filosofie orientali e mediorientali.
Mondi dunque, i due, così lontani da non avere alcuna possibilità di amalgamarsi: semmai, e piuttosto, di accostarsi per epitelio, per quindi rinserrarsi nelle proprie prigioni esistenziali. Sorprende perciò l’eco suscitata dall’arrivo nelle sale cinematografiche italiane di A proposito di Davis, un film dei fratelli Coen, candidato a due Oscar, dichiarato Miglior film dell’anno dalla National Society of Critics, interprete Oscar Isaac, nonché pubblicizzato come caratterizzato da Un livello diperfezione senza precedenti o più semplicemente Elegante e raffinato.
In verità, quale coprotagonista c’è anche un mansueto gatto mammone: occhi vispi, sguardo ammaliante per chi sia portato all’attualismo animalistico più esasperato. Nell’ombra tuttavia cova il rancore di un passato ormai detronizzato epperò dominato dal revanchismo: la volontà di riprendersi ciò che gli è stato tolto quasi fosse un diritto inalienabile, irrinunciabile, eterno. Riaffiorano perciò gli occhi e l’ombra del passato, sia all’inizio che alla fine della proiezione sotto forma di volontà di distruggere l’altro; ritornare ad essere egemonico: insomma il volto della dittatura sottile e inafferrabile del Pensiero unico ad ogni costo, costi quel che costi.
E quel che costi ormai non è altro che il piattume di una esistenza anonima, non ci fosse una ribellione; una resistenza al tentativo costante del capitalismo all’omologazione, il rappelle à l’ordre: sistematicamente e subdolamente lanciato al mercato degli utenti sotto forma di immagini pubblicitarie, sottilmente accattivanti.
Degno comunque, il film, quantomeno di un Oscar per la fotografia e una qualche forma di riconoscimento a Oscar Isaac per l’interpretazione: né escluderei un premio al gatto color biondo miele e perciò un tantino edulcorato. Da vedere, ad ogni modo, per non dimenticare il come eravamo e per sentire il bisogno di uscire dall’impasse, se non dal baratro esistenziale e psicologico in cui l’Occidente è precipitato.
!Ignazio Apolloni
 
Regia: Ethan Coen, Joel Coen
Sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen
Fotografia: Bruno Delbonnel;  Costumi: Mary Zophres
Cast
Jean Berkey: Carey Mulligan
Jim Berkey: Justin Timberlake
John Goodman
Garrett Hedlund
Al Cody: Adam Driver
Llewyn Davis: Oscar Isaac
Bud Grossman: F. Murray Abraham
Poppy Corsicatto: Max Casella
Marty Green: Alex Karpovsky
Mitch Gorfein: Ethan Phillips
Nunzio: Ricardo Cordero
poliziotto: Mike Houston
Titolo originale: Inside Llewyn Davis ; Usa 2013; 105 minuti.



La poesia in immagine del Gruppo 70 □

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LA POESIA IN IMMAGINE/L’IMMAGINE IN POESIA. GRUPPO 70. FIRENZE 1963-2013

Mercoledì  4 marzo ore 17.30
Presentazione del volume a cura di Teresa Spignoli, Marco Corsi, Federico Fastelli e Maria Carla Papini, Campanotto Editore (2014).

Intervengono Niva Lorenzini  (Università di Bologna) e Francesco Tedeschi  (Università Cattolica del Sacro Cuore).
Saranno presenti i curatori e Maria Letizia Sebastiani (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze), introduce Valentina Gensini.

Pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario della nascita del Gruppo 70, il volume raccoglie gli atti del Convegno di Studi organizzato nel giugno 2013 presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. I saggi critici, accompagnati da opere, documenti e testimonianze originali, costituiscono un nuovo momento di riflessione sul carattere interdisciplinare e interattivo di una stagione creativa tra le più complesse e avvincenti del secondo Novecento.

Nato nel 1963 con il convegno Arte e Comunicazione organizzato a Firenze al Forte Belvedere, il Gruppo 70 riunisce musicisti, poeti, pittori e scultori (Giuseppe Chiari, Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci e Luciano Ori, a cui si aggiungeranno più tardi Ketty La Rocca, Emilio Isgrò, Roberto Malquori e Michele Perfetti) ed è tra le realtà più attive della  Neoavanguardia italiana e della Poesia Visiva. Negli anni del miracolo tecnologico e dello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, gli esponenti della Poesia Visiva si propongono espressamente di reagire al logoramento della parola “usata nel linguaggio massificato del nostro tipo di società, come mezzo d’alienazione dell’uomo” con una carica espressiva spesso ironica e politica. Gli autori attuano sperimentazioni iconico-testuali muovendosi tra  campo visivo, sonoro e performativo.
Luciano Ori Diari raccolti 1978
o Leggi anche La poesia visiva  in Italia1 e 2
eLa Poesia visiva in Italia 4 di Alessandro Gaudio on pingapa
 
 

Giuseppe Favati ▌La scheda del P.M. da "L'Assassinio dei Poeti come una delle Belle Arti"™

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 [Dal: Fascicolo del P.M. e del Procuratore dell’Accademia per l’Assassinio come una delle Belle Arti:Quadro indiziario; Motivi; Griglia di Parsons; Orientamento tecnico-strumentale del Lafcadio Incaricato, in: Anonimo del Gaud, L’Assassinio dei Poeti come una delle Belle Arti, © 1999-2003]

GIUSEPPE FAVATI

(Pisa, 1927; visse a Firenze, dove è stato giornalista de “Il Ponte”)
Titoli: Controbuio, Firenze 1969; Foglio di guardia, Manduria 1970; Per una toponomastica della nostra città, in “Tabula” n.3/4, 1980; Ameleto, in nome dei padri, Firenze 2000.


 

Quel Boobs-bang di Piazza della Pupporona •

Il poeta, famoso non solo per aver ottenuto nel 1970 il Premio Mugello-Resistenza ma anche per la toponomastica della nostra città, non fu assassinato nei pressi del Ponte, né sotto, né sopra: il corpo(in verità, i resti) del vecchio scriba fu rinvenuto tra Via all’erta mammella e Piazza della Pupporona, non si sa ancora se nel Canto de’ biblici seni stuporosi o proprio in Corso Bellosguardo ancorché strabicoi.
Firenze, lo sapete anche voi, non è Madrid, dove, come testimonia Gomez de la Serna,i seni hanno la bellezza breve dei seni vivacissimiii, anche se in Via all’Erta Mammella c’è un viavai di seni di francesina, che sono oltre che belli alteri e di una soavità indicibile, anzi c’è chi riferisce che l’”erta mammella”, essendo situata tra Piazza del Duomo, Palazzo Medici-Riccardi e Piazza S. Lorenzo, o tra Piazza della Signoria, Chiesa di Orsanmichele e Galleria degli Uffizi, fa accorrere tutti a radunarsi intorno alla scena di meravigliosi seni alla parigina davanti ai quali bisogna saper tremareiii.
La soavità altera dei meravigliosi seni alla parigina, che è spettacolo primaverile in Via all’erta mammella, non si può dire che sia abituale ostensione in Piazza della Pupporona, dove, si narra, apparvero i seni della moglie di Lucifero,”i più rimbombanti che siano esistiti”iv, i più grossi Big Melons mai apparsi in una piazza seppur d’arte, qualcosa che va oltre Anita Ekberg, Jane Mansfield e Jane Russell, una Pupporona tra Candy Samples, l’attrice hardcore che al meglio della sua forma gestiva una latteria per 122 cm di circonferenzav, e tra Chesty Morgan, alias Susy Tettalunga, nota interprete de “Il Casanova” di Federico Fellinivi, e Uschi Digart, una delle Brabusters più usata da Russ Meyervii. I biblici seni stuporosi sono stanchi di piacere o hanno capezzoli che guardano con la più grande rassegnazione, guardano verso il basso con molta filosofia e son seni che hanno “un’ansia recondita di essere lapidati da tutti gli uomini che [alle feste religiose e ai pellegrinaggi] si agglomerano nel luogo della festa”viii, e, giacché questo Canto il Pubblico Ministero non lo rinvenne nella topografia di Firenze, si pensò che doveva per forza di cose trovarsi in un quartiere in cui tutti i seni sono chiusi in casa o in un quartiere abitato da seni tristi oppure in un quartiere in cui i seni escono in processione. Il vecchio scriba fu fatto saltare(su questo non v’eran dubbi o incertezze) in aria con esplosivo ad aria liquida, come si usa fare con i poeti contestativi anziani in ottemperanza alla norma di cui al Capitolo 2° (=Tipologia dei Poeti e Arma di Prescrizione), o piuttosto non da un bazooka ma da un Bazoom il cui potenziale di P.O.ix ha un effetto esplosivo compreso tra 122 (=P.O. Candy Samples) e 185 (=P.O.Chesty Morgan).
Testimonianze di Federico Fellini, il bosomaniac Russ Meyer, Andréa Ferreol de “la Grande Abbuffata” di Ferreri, Sandra Milox, Riccardo Mannelli, l’autore della “Boobsy-Art”, con uno dei suoi capolavori assoluti Manty Mounjoy, Busty Dusty(P.O.114), Angelique(P.O.109), Lulù Devine(un P.O. che ha fatto la storia della Boobsy Art), Jessica(proposta come “Rubenesque-body”), Deborah con l’acca Caprioglio, Chloe (un decollàge di scuola francese)xi, Melanie(P.O. 84…pollici!), le sorelle Fulsom (Zena e Cindy), Susan Brecht e Lisa Miller, Nancy, l’extra-expressionist tedesca Crystal Storm, la ginnica Busty Brittanyxii, Lisa Lipps (una tensostruttura oscillante), Lilli Xene (che esalta tutto lo spirito antigravitazionale della Boobsy, Art o Bang che sia), l’esplosiva armonico-ghiandolare Lorraine the Bombxiii.

§  Bang che significa esplosione è qualcosa di sorprendente in inglese pop e nello slang generico significa eccitazione. Nello slang tabù, un rapporto sessuale frettolosoveloce e to bangequivale a farsi una pera.
I plurali boobs e boobies sono sinonimi volgari di “breasts”(seni), termine molto affettato e formale.
Boobytrap è lo scherzo per cui qualcosa cade in testa a chi entra da una porta. Booby , come termine militare, è un ordigno esplosivo apparentemente innocuo.

 

 

i Cfr. Giuseppe Favati, Toponomastica della corporalità femminile(a cura di un vecchio scriba):
“Tosco accattone di residue elemosine
io ti chiedo soccorso o mai morta Mnemosine

Ponte sospeso sulle nude Grazie
Vicolo Animani (già animate mani)
Poggio la mano Non morta
Via quella storia (già narrata dagli uomini)
Volta ai venti di tutte le viltà
Corso Bellosguardo ancorché strabico
Viuzzo Belvedere di sotto
Via di fuga del collante
Piazza della Pupporona
Via all’erta mammella
Canto de’ biblici seni stuporosi
Porta(…)
Via San Rossore(…)
Passo della censurata rosa aulentissima
Discesa al becco di cucùlo
Sdrucciolo(…)
Canto(…)
Lungofiume(…)
Via del Foro(…)
Slargo(…)
Rotonda(…)
Rampa(…)
(…)”: pubblicata in:Ragioni e canoni del corpo, versi inediti di poeti contemporanei, a cura di Luciano Troiso, Terziaria Asefi, Milano 2001:pagg.84-85.

ii Cfr. Ramón Gomez de la Serna, Seni, trad. it. Dall’Oglio, Milano 1978: “I seni della Chelito hanno la bellezza breve dei seni vivacissimi di Madrid”:pag.198.

iii Cfr. Ramón Gomez de la Serna, op .cit.: “Tutta la città si affolla maestosa e fa da paralume intorno a qualsiasi parigina che li denuda. E’ un atto clandestino e però acquista somma gravità e fa delirare di gioia. –Ma davvero sono parigini?Non m’inganni?...(…)Bisogna saper tremare davanti a certi seni parigini, L’Accademia, il vecchio palazzo dell’Istituto, il Louvre, la piazza dell’Odeon, tutto accorre a radunarsi intorno alla scena della scoperta dei seni della sconosciuta parigina(…)”:pag.233.

iv “I seni della moglie di Lucifero sono i seni più rimbombanti che siano esistiti. Egli, fra le donne con seni voluminosi che sono andate all’inferno senza remissione, ha scelto la più alta, quella dai seni migliori e più grossi(…)”: Ramón Gomez de la Serna, op. cit.:pag.271.

v “Attualmente una delle attrici hardcore più in forma(…)è la voluminosa Candy Samples, adorata da milioni di fans in tutto il mondo: alla ribalta dal 1969, l’ottava e la nona meraviglia del mondo sono assicurate per due milioni di dollari presso i Lloyds di Londra”: Big Tits Forever!, in “Diva Mania”, Glittering Image, Firenze 1990. Per vederla: All the Way In, film Usa 1984, regia di Bob Chinn, durata:90 minuti. Vedi anche i video: Big Bust Babes, Usa 1985, durata 105 minuti; Candy Samples Video Review, Usa 90 minuti; Collection, vol.1, Usa 1980, durata 60 minuti; Inside Candy Samples, Usa 1985, durata 100 minuti.

vi Chesty Morgan ha il record del giro-seno: 185 centimetri da vedere nel film Deadly Weapons(:”La chiamavano Susy Tettalunga”), Usa 1974, regia di Doris Wishman, dura 90 minuti. Il film di Fellini in cui appare è del 1976.

vii Uschi Digart potete ammirarla nel film Beneath the Valley of the Ultravixens, Usa 1979, con la regia di Russ Meyer.

viii Ramón Gomes de la Serna, op.cit.:pag.256.

ix Il P.O. può significare “Pupporone Opulento”, “Pupporone Osanna”, “Potenziale Ostensivo”, “Pupporone Omnibusse”(‘ché così si chiama l’Omnibus a Firenze), “Poppe O…?”.Il P.O. di Serena Grandi è100, come quello di Ela Weber. Altre Big Brabusters sono Fracesca “Kitten” Natividad, Lorna Maitland, Sue Doloria, Barbara Alton, Candy Kane, Nikki Scott, Rita Braun, Klara Weller.

x Vista, da “Canzoni Spericolate”(1993, a 60 anni!), in vestito nero con un corpetto-parapetto da cui espone due seni solidi, due grandi bocce, il P.M. fu colto da un dubbio amletico: “To play bowls or to play blow-job?”(ossia:”Giocare a bocce o giocare a blow-job?”). Un semiologo somatico ebbe a dire: “ Wow, look a the great pears on that whore!”.

xi Guardatele in “Blue” n.69, dicembre 1996: Riccardo Mannelli, Boobsy Art. Ecco alcune considerazioni del semiologo somatico o del P.M. sul Bazoom delle testi interrogate: MANDY MOUNT JOY: ”Look at them bezongas, would ya!”. JESSICA: ”Wow, look a the murphies on that dame!”. BUSTY DUSTY(114 cm di bazoom e 163 di altezza): ”What a pair of bowls!”. CHLOE:”That whore is a real bra-buster”.

xii Sono apparse in “Blue” n.70, gennaio 1997:Riccardo Mannelli, Boobsy Art.Valutazione degli 84 pollici di MELANIE: ”Wow, look at the ballons on that dame!”. CRYSTAL STORM: ”What at pair of melons!”, BUSTY BRITTANY: ”To play bowls or to play blow-job?”.

xiii Ultima ostensione in “Blue” n.71, febbraio 1997: Riccardo Mannelli, Boobsy Art.Per la tensostruttura oscillante di LISA LIPPS: “To play hooters or to play honker-job?”(piùo meno: “Giocare a clacson o giocare a job che suona il clacson?”). LILI XENE: “Cans or jugs?”. LORRAINE THE BOMB:”Melons or cans or knockers or bazoongies o brabusters?”.


Favati 3Nel Fascicolo del P.M., dove è contenuta questa foto della mitica pupporona Candy Samples, c’è questa annotazione: “Wow, look at the muelas on that mula!” e, poi, sotto: “Ma può una mula avere due mole così larghe e pesanti?”Favati 3 
 
▐ La scheda di Giuseppe Favati, tratta dal Fascicolo del P.M. di cui aL’Assassinio dei Poeti come una delle Belle Arti, è apparsa online anche suil cobold e su blueblow
 

Nuno Ramos □ Trecho de pele, gesto e logarítmo

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1. Manchas na pele, linguagem

è tri-ciclo

Para terminar, há uma última hipótese que quero examinar. Vim considerando que os primeiros homens teriam se dividido entre seres lingüísticos e heróis mudos, e que os últimos, isolados e pouco gregários, teriam sido extintos. Mas não consegui descrever sua mudez, em tudo diversa da dos bichos. De que era feita? Tinham os olhos cheios, concentrados, pareciam sempre ocupados, distraíam-se? O que lhes preenchia os dias, além das tarefas básicas? Talvez, ao contrário do que viemos postulando, fossem seres radicalmente lingüísticos, a ponto de que tudo para eles pertencesse à linguagem. Cada árvore seria assim o logarítimo de sua posição na floresta, cada pedregulho parte do anagrama espalhado em tudo e por tudo. Mover-se-iam entre alfabetos físicos perceptíveis aos seus cinco sentidos (e ler talvez constituísse um sexto, que reunisse e desse significado aos demais), e cada cor seria música e cada música seria mímica, e cada gesto seria um texto. O desenho das linhas de suas mãos seria parte deste enorme texto; o sangue do cervo que derrubaram; os fios do pêlo que os aquecia. Em tudo liam, nas nuvens e no hálito, no dorso de um mamífero, na luz de um inseto que já morreu, na textura dos troncos e no seu limo, no desenho do vôo de um besouro, no vasto bigode de uma morsa - e no som que grunhiam, no cuspe que cuspiam, nos olhos que piscavam e no número dos seus dias. Tudo parecia escrito para eles e bastava que tocassem um corpo de pedra ou de carne para que o enorme livro se abrisse e mais uma linha fosse escrita. Todo o acontecer parecia parte desta página, reescrita a cada momento, todas as mortes, os pios, cada gota, cada sal.

- Nuno RamosÓ (São Paulo: Iluminuras, 2008)
 


Per brevità mi chiamerò Io ░ Massimo Sannelli

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Massimo Sannelli
di Massimo Sannelli


Per brevità mi chiamerò Io. Siamo a Milano, abbiamo mangiato le ostriche, abbiamo bevuto, il Giornalista ha pagato, il Giornalista è anche poeta e pittore, e mangia le ostriche e mi chiede un favore culturale, che non avrà. Abbiamo parlato anche di me e ho avuto la rivelazione, nell'età in cui si diventa adulti, nel mezzo esatto del cammino. Facendo. Sedendo, quiescendo e parlando (fingendo, come un prete, l'interesse; ostentando cortesia, ma io sono nobile per nascita, anche se mi faccio chiamare Signor Giacomo e non Signor Conte). Quiescendo, sognando, mordendo; e con le buone ostriche e un mare di Delikatessen, più il vino. In Italia si mangia sempre bene, di tutto il resto non ho esperienza o non ho stima. La rivelazione del Giornalista è questa: "Tu sei un genio, ma non ti sei saputo muovere". È vero: Io non mi sono saputo muovere. Quanto al genio, Io sorrido, perché il genio è inutile, nel dolce orizzonte del mondo: è un piacere solitario, che non finisce mai (il bello è proprio questo: la sua inesauribilità). Ma sapersi muovere è fondamentale: "Gli amici sono TUTTO"è un ordine (di Oriani, quando era tardi perché Io lo sapessi), e ora si deve dire che "gli amici sono TUTTI". Dove gli amici sono Tutti e Tutto, sapersi muovere è strategico. Allora Io si muove, come può. Ora mettiamo che Io decida di diventare molto ricco: lo farei per essere libero dal Tutto e da Tutti. Ora io voglio liberare Io dalla necessità e non se so se sia possibile. Naturalmente dico che è possibile. Il denaro guadagnato chiama molti gelati e chiama molti confetti, perché Io sono goloso; quanto al sesso, il film di Martone rappresenta un Io che va al bordello (sembra una discesa nell'Ade, dico la verità), ma Io non confermo e non smentisco (in ogni caso non è difficile capirmi: chi mangia come Io mangio non è un Io molto prostituito, che va a prostitute; e Io mangio rigorosamente DA SOLO, ma anche con il Giornalista ero solo: era una perfetta nullità naturale, che prendeva il sorriso dell'Io. Voi mi capite?). Dopo i gelati e i confetti la vita scorrerà un po' più dolce, come credo: allora si può lasciare il caro Ranieri, lasciare la seconda Paolina, non lasciarmi soffocare, potrei chiamare con me la prima Paolina e farle vedere un po' di mondo, poveretta, e si può andare via da Napoli e fare tutto, ma non con tutti. La ricchezza aiuta la fedeltà all'elezione, che è singolare, e con le budella della Natura impiccheremo l'ultima Cultura; e al signor Padre dirò "io l'amo, signor Padre", e perché non dirlo? È anche vero che Io l'amo: ma non mi farò più vedere e non chiederò più soldi a casa. Non tornerò mai a Recanati, ma non vorrei restare a Napoli. Parlo da vivo, e come se fossi sano. Cioè parlo di circostanze puramente ESTERNE, come la povertà e i rapporti umani. Lo faccio "con parole non meno belle che ridondanti, come sogliono i prosatori italiani".
Tutto questo è deciso sottilmente e paradossalmente. Lettore, ricordati che io non parlo solo per svagarti. Io scherzo sempre e molto, ma retoricamente: scherzo e incrosto le cosiddette idee nelle cosiddette parole. Insomma faccio un atto stilistico, ma ora ho finito: vado a rivedere un vecchio film con Monica Guerritore, Fotografando Patrizia. La spiegazione del mio gusto è nel numero XXVII dei miei Pensieri.

Monica GuerritoreFotografando Patrizia
regia di Salvatore Samperi 1984




Gli italiani amano il didietro di Charlize Theron │V.S.Gaudio

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Charlize Theron from
Prometheus (2012) de Ridley Scott
 

Il mio didietro piace agli italiani.
Così diceva Charlize Theron. E’ vero?
Voglio raccontarvi un’altra storia. Paul Lafargue scrisse a un certo punto un pamphlet contro Victor Hugo e, poi, in Il diritto al’ozio, gli dette l’appellativo di “romantico ciarlatano”[1]. E’ vero?
Così diceva Paul Lafargue. Quel romantico ciarlatano, l’autore dei Miserabili, che, ancora oggi, è un romanzo che, come base di un film[2]., serve a prendere una come Uma Thurman[3]. per una rachitica, tubercolotica, sifilitica[4]. miserabile, ma vi sembra verosimile?
Io, a volte, non riesco a dormire perché sono turbato. Non so però se mi turba Paul Lafargue, la cortigiana di Lafargue, i capitalisti di Lafargue, quel bigotto borghese di Thiers che fu presidente della terza Repubblica nel 1871 e che ebbe a dire che, adesso, vi faccio vedere io, vuoi godere? Ebbene, ci affideremo al Clero per farti soffrire ancora di più e sempre[5]!
Fare un’affermazione è compiere un certo atto del parlare. Questo dice Paul Ziff[6]. Così noi pronunciamo una certa espressione nel modo appropriato e nelle circostanze adatte. Fare la pubblicità del “Martini” e recitare non sono la stessa cosa. Muovere il culo a 18 anni in uno spot pubblicitario per farne il bersaglio dell’oggetto “a” del visionatore e calcare il palco a Sanremo a 40 non sono la stessa cosa.

Breve divagazione ziffiana sul didietro di Charlize
v.s.gaudio
 
E’ vera l’affermazione “Il mio didietro piace agli italiani”? Charlize ha detto: “Il mio didietro piace agli italiani”, ma non faceva un’affermazione: ha chiesto se davvero piace il mio culo agli italiani? Dai, riditemelo: è vero che il mio culo piace agli italiani tutti? Non ci ha dato un ordine. Non ha detto, vi piace il mio didietro e allora che aspettate, via con la battaglia dei Gesuiti, e mandatemi i numeri di tutte le battaglie dei Gesuiti di tutti gli italiani, settimana per settimana! Sarebbe stato un ordine sciocco, anche se può essere ancora più sciocco chiedersi se il mio didietro piace agli italiani, una volta che hai calcato il palco di Sanremo, innanzitutto quanti erano gli italiani, e cosa guardavano in quel momento, hanno fatto rivedere lo spot del “Martini” del 1993? E tutti a sbavare e a riferire dopo alla stampa tutta delle canzonette che, sapete, poi, quante battaglie dei Gesuiti ci siamo fatte! Ovvero: io sono un italiano e poi giacché mi piace il didietro di Charlize Theron, ebbè, che vuoi?, la natura è la natura, uno manda giù un aperitivo e, poi, ti viene una fame, e, la canzone è bella, ma quel didietro che cammina nello spot,  oh santo Sanremo, che dovevo fare, la carne è carne, e insomma: quel didietro piace agli italiani!
Fare uno spot non è cantare a Sanremo.
Il didietro che si vede nello spot non è il didietro che porti sul palco a Sanremo.
Vai a vedere, Charlize è più romantica di Victor Hugo, ma, carina, non è ciarlatana come il romanziere francese secondo Paul Lafargue. Charlize sta semplicemente chiedendoci se è vero che il suo culo piace agli italiani.
E’ vero  quanto scrivono i giornali?
Rivedo lo spot e dico a un italiano: “C’era una volta il didietro di una diciottenne che si chiamava Theron e allora ci misero un filo e il suo vestito, mentre cammina, le si sfila tutto e lei non è Cenerentola che perde la scarpa…”.
L’italiano mi chiede: “Davvero Cenerentola  ha lo stesso didietro di Charlize?” e io dico: “No. Ovvero: non lo so: Ma quel che ho detto è che Cenerentola ha perso la scarpa e a Charlize nello spot  le si sfila il vestito”.
Se dico a un’altra attrice: "Sai che gli italiani vanno matti per il tuo culo?"
E lei mi chiede: “E’ vero?”, allora chi mi prenderà a schiaffi?
Esistono vari modi di guardare le cose, e anche un didietro lo si guarda in vari modi, e in vari tempi, e dipende anche da chi lo porta e in quale contesto, e quanto le danno per farne una pellicola che farà dire alla carta stampata e del web vent’anni dopo: “Il didietro di tizia a caia piace agli italiani”. E lei, venutolo a sapere, chiederà: “E’ vero?”
Se io la guardo adesso, e peccato che non l’abbia visto sul palco a Sanremo, ma si può sempre ovviare, ma , facciamo finta che l’abbia vista, e allora, vedendola, mi chiedo: “E’ vero che adesso le si sfila il vestito?” , guardo tutti gli italiani, e, oh Gaudio, ma son matti?, tutti, dico tutti, con l’oggetto “a” al meridiano e felici come lo si è quando si fa la battaglia dei Gesuiti raggiungono all’unisono il Gaudio Massimo!

     
Charlize Theron
in Æon Flux - Il futuro ha inizio
(2005)

Dico a qualcuno. Se devi leggere i titoli dei giornali sul web, il solo modo intelligente di leggerli è quello di leggerli con occhio critico. Voglio quindi che, mentre legge, egli si chieda con una certa frequenza “E’ vero?”. E’ uno dei modi di leggere qualche cosa. Anche se quel benedetto didietro continua a pungolarvi l’anima. Domandarsi “E’ vero?” ha un senso nella lettura di giornali, libri di storia, “Novella 2000”, “Chi”, e così via. E anche Charlize, guardando i giornalisti che insieme tutti, iscritti e non iscritti all’Ordine, anche quelli che prendono ancora 2 euro a pezzo e non si sa allora come cazzo fanno a pagarsi l’iscrizione a un ordine professionale che non fa guadagnare, per pezzo, nemmeno la somma per comprarsi le mutande, figuriamoci allora per farne dono a quella ragazza del “Martini”, che, s’è visto, no?, era senza mutande, domanda: “E’ vero?”
E tutti: sì, domandarsi “è vero?” ha un senso nella lettura dei giornali ma non crediamo che abbia molto senso nel guardare il didietro di Charlize nello spot del “Martini”.
Ziff, qui, chiudeva dicendo che nella filosofia il verum, ma in vino veritas: nella poesia, come nel vino, c’è della verità e in modo molto simile[7]. Dico a qualcuno: “C’è della verità nel didietro di Charlize che incanta gli italiani nello spot del “Martini”; costui allora tracanna una bottiglia di Martini aspettando che ne stilli il filo di quella verità.
Se dite: E se fosse stato “Cinzano”?  Cosa sarebbe stato  vero? Agli italiani sarebbe piaciuto il suo didietro vent’anni dopo ? E sarebbe andata a Sanremo? Ovvero: e sarebbe andata senza mutande? E’ vero che è lei che ha vinto Sanremo?

[1]Nel paragrafo “Benedizioni del lavoro”. Victor Hugo fu anche  oggetto di un forte pamphlet politico di Lafargue nel 1885:La légende de Victor Hugo.
[2]Les Miserables, 1998, regia di Bille August, con Liam Neeson, Geoffrey Rush, Uma Thurman, Clare Danes.
[3] E’ Fantine, la madre di Cosette.
[4]Un elemento assolutamente “parrotiano”, visto che il medico francese Jules Parrot(!829-1883) legò il proprio nome a  ricerche sul rachitismo, sulla sifilide e sulla tubercolosi.
[5]“Voglio rendere onnipotente l’influenza del clero; è sul clero che conto per diffondere quella buona filosofia che insegna all’uomo che si trova in questo mondo per soffrire, e non l’altra che al contrario gli dice:’Godi!’”. Con queste parole Thiers formulava la morale della classe borghese, di cui incarnò l’egoismo feroce e l’intelligenza ristretta: Paul Lafargue, Premessa a Il diritto all’ozio, © 1880.
[6]Paul Ziff, “Verità e Poesia”, in: Idem, Itinerari filosofici e linguistici, ©1966, trad.it. Laterza, Bari 1969.
[7]Ibidem: pag.86.
 
 
 

 
 

L’ epica di Alexandra Ogilvie ♥ 1

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Barebacked-Love1
L’epica di Alexandra Ogilvie
La Stimmung con Hermann sull’amore a bardosso

Ana Teresa Fernández ♦ Cielo della sábana

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Garretti e cielo della sábana

La pulsione che c’è o sottentra o soffia nella figura che stende i panni, che, poi, dovranno essere stirati e consegnati alla tabla de plancia per la “figuraccia”, è quella del soffio iperdulico, il vento che incolla il lenzuolo sul corpo della figura, e quello che rende pregnante e iconica la figura sono le gambe, polpacci e garretti, stinchi e caviglie, e le scarpe.
Le gambe, hanno come schemi verbali “tendere”, “piegare”, “flettere”; le scarpe: “legare”, “mettere”, “calzare”, “infilare”, ma anche “togliere”, “lucidare”, “lustrare”, non fosse altro perché si è nel paradigma del “pulito” dentro cui la figura si fa “massaia” e “casalinga” a meno che non sia “lavandaia” o “persona di servizio”. La pulsione dell’igienista è dentro il nitore, la lindezza e la nettezza: la nettezza di quelle gambe e di quei piedi calzati che si staglia sul lenzuolo messo ad asciugare; la pulsione è il vento della libido che struscia corvejónes y pantorillas, garretti e polpacci, ma sono le scarpe, e i piedi, los zapatos, y los pies, che fanno stare in piedi la figura contro il lenzuolo steso. Dicevamo prima che , per le gambe, c’era anche lo schema verbale “tendere”, così che si connetta allo schema verbale che c’è nei panni stesi, stendere i panni nella lingua della pittrice è “tender la ropa”, cosicché la pulsione del “planchar la ropa” sappiamo che è legata, o meglio: calza la pulsione del “tender la ropa”. Il corpo della figura e la ropa, tra il farsi figuraccia e il farsi (s)tendere: el soplo, il soffio, en un vuelo, accarezza il corpo della figura e la tende, la piega, la flette, la lega; gli mette, al corpo,  il soffio, glielo calza, glielo infila, financo arriva a toglierese c’è qualcosa da togliere, fino a lustrarle l’anima, se non il corpo, alla figura che poi si farà figuraccia. Il lenzuolo, in spagnolo, fa sábana, e il terrazzo dove si “tende la ropa” è un po’ come la savana, la sabana, dice la nostra “ama de casa”[i]con quei corvejónes[ii]de ama del viento[iii]che soffiano e accarezzano il cielo della sábana.


[i]“Padrona di casa”, “massaia, “casalinga”.
[ii]“Garretti”. Allittera, “corvejónes”, un po’ “cuervos”, e danno più corpo al soffio e al vento, più nettezza e carne.
[iii]“Padrona, proprietaria, del vento”.

 
 
 
 
$Vedi anche

Massimo Sannelli □ Il fanciullino storico di Pascoli e la pesa

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   di Massimo Sannelli
Fatto. Già fatto? Così disse lo storico, quando fu punto. E gli attori? Ah, gli attori. Gli attori sono molti pezzi, su questa tavola, dove ci sono pesci grossi, pesci piccoli, pesci vivi, produttori e autori: questo è normale, come in ogni ambiente. Io lavoro sempre, e moltiplico l'idea della sopravvivenza nell'idea delle [molte] opere [e varie, e variopinte].  Sono tornato ad Arturo Onofri, Nuovo rinascimento come arte dell'io. Ho letto: "Non soltanto la parola in quanto mezzo di descrizione, di resoconto, di strumento didattico-espositivo, e tanto meno di sfogo psicologico personale, ma la parola in quanto iniziatrice ai misteri, in quanto strumento d'auto-iniziazione ai mondi superiori. Questo è l'interno metodo del poeta. La parola come azione per giungere alle verità soprannaturali: ecco il culto della nuova poesia, e ad esso deve mirare coscientemente colui che vuol assumere il nuovo grande compito della poesia. Egli potrà realizzare il metodo, in proporzione di quanto la parola gli sarà strumento per unire la sua propria coscienza d'uomo al Verbo creatore operante al mondo, cioè al Cristo di S. Giovanni".  È meglio Chopin, ora, con le mani di Blechacz: perché non mi chiede di pensarlo, né di pensare.
Se potesse, Chopin – per mano di Blechacz – mi chiederebbe di pesarmi, che significa MISURARE.
L'ho fatto: ho misurato, ho pesato (e ho preso i miei appunti). Durante la pesa, Onofri mi ha detto così: o sei il fanciullino storico di Pascoli o sei l'esteta vibrante, come d'Annunzio. Sì, ma ci sono due fatti. Il primo è che il mondo è il mondo, oltre l'Italia, e le risposte italiane non sono soluzioni, ma grida [in Italia si fa rumore: rumore di pianto, e onore, e rumore di voci]. L'altro fatto è questo: uno può scrivere anche commedie (o una – decisiva – Commedia? Certo). Il diario è una caccia comica. La scelta è sua, di lui, il diarista e il cronista: è una scelta feroce e complessa, come sempre e da sempre. Dopo che ha scelto, il cronista del diario impone la sua forma all'esterno: "Siete liberi di fare quello che voglio io", come disse un allenatore [e così parlarono ANCHE il master, il regista, la machina senza il deus; e la machina era il deus, cioè l'apparato ha una sua grazia vivace, sempre; e con la grazia un po' di autorità].
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