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Quelle che la Bianca Deissi ™ ⁞ L’oggetto d’amore che fece decollare il Barbour

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Quelle che la Bianca Deissi ™ ⁞ Diana vs Barbour

Il Barbour biondo e  il Barbetti bianco del poeta

Quando uscì dal Baglioni a Bologna e non aveva il Barbour
era già dentro la struttura eroica di Durand  per l’epiteto dello scettro[i]
il sorriso che ha sotto il cappuccio è sempre un tutt’uno con lo sguardo
che fu allora che guardò il poeta e lo prese al laccio come aveva scritto
anni prima, e lui che aveva il suo Barbetti[ii] bianco fu scappellato
dalla chiarezza e dalla dominante di posizione di chi lo guardò
per quel cappello e lei non è  sotto il cappuccio del Barbour
anche perché non pioveva quel tardo pomeriggio a Bologna
e anche perché eravamo ancora sotto i portici e si chiese
il poeta è lei dunque l’ocello del mimetismo  che mi sorride
tra l’ombra del cappuccio e il fallo del re, intreccia lo scettro
e l’enigma dell’altezza, nel cerchio della monarchia sorride
e guarda il poeta, in una verticalità reale che non ha nessuna
ermeneutica, solo la proairetica di Barthes in S/Z e lo schema
verbale del distinguere dentro la tassonomia di Durand,
con quel naso che ha sotto il Barbour guarda il poeta e
impugna lo scettro, il (-φ) , questo pensò il poeta, è vero,
ha già trovato, l’animus forse no, d’altronde qui siamo
nella città in cui al massimo un discepolo di Freud
può scoprire più o meno cosa connette la pulsione
uretrale alla mortadella, poi se la principessa è ad
ovest che sta andando senza Barbour e con quel
naso che, a rivederlo adesso sotto il cappuccio,
il (-φ) di Lacan è per questo che s’innalza al meridiano
per  quello che sul naso disse Fliess, e anche allora
non c’era questo sguardo biondo con il cappuccio
Barbour in testa che se lo avesse avuto
se c’era una pioggia a scrosci o anche a goccia a goccia
giusto per avere un paracqua insomma quella cerata
versus Giove pluvio il rovescio del suo sguardo
avrebbe ancora  avuto l’acqua che prese
per bagnare l’anima del poeta con quel
Barbetti bianco in testa[iii]?



[i]Cfr. V.S.Gaudio, Lady Diana e il blasone del fallo© 1980’s, in: Idem, Oggetti d’amore. Somatologia dell’immagine, della bellezza e del sex-appeal, Bootleg Scipioni, Viterbo 1998. ll testo era già apparso in "Fermenti", rivista di critica del costume e della cultura, n.180-182, Roma ottobre-dicembre 1986.

[ii]Si intende il venditore di cappelli in piazza dell’Orologio, se così si chiama, insomma a lato di un albergo che, all’epoca, si chiamava “Hotel Orologio”. E’ piazza IV Novembre il nome effettivo, e la storica cappelleria Barbetti, nata nel 1821, ha chiuso i battenti e tirato giù i cappelli, per vendere scarpe, alla fine di luglio del 2010.
[iii] E' veramente ineffabile o Heimlich quanto aveva scritto il poeta nel testo su Lady Diana, a metà degli anni Ottanta(cfr.nota 1): "Checché ne pensino gli esperti di moda, che cercano di spiegare nell'uniforme l'effetto del fallo regale, Lady Diana, con un taglio dei capelli che si addice molto ai suoi dati somatici e che regge in modo naturale anche il cappello, attrae perché ha colto il valore simbolico e significante della regalità. Attrae perché è nesso, riflessione della regalità; attrae perché è dal suo corpo che si dirama la verticalità reale, il cerchio della monarchia. Lì, il fallo mette senso". Come dire che lì, è la deissi, il fallo, che è anche il (-φ) del poeta o del visionatore, in testa col cappello e col cappuccio, mette il senso. L'ermeneutica, è ovvio, non rivendica più un bel niente.
 

Oggetti d'amore ♥ Jacqueline Bisset

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V.S. Gaudio
Mon Jacqoulu
Jacqueline Bisset quand’era un mio oggetto d’amore al tempo di Emilio Villa|L’homme qui descend quelque[i]

A un certo punto della mia biografia, come la intende Alfred North Whitehead[ii], insomma in quella forma soggettivache avevo in un determinato tempo, metti che ero tra Torino, e la nebbia che subito dopo il ponte ferroviario sul Po dopo Piacenza  invadeva  la mia finestra visiva o il finestrino del treno, giustappunto allora dentro la mia anima c’era Jacqueline Bisset. Jacqueline Bisset così, questa com’è qui in questa fotografia: canau d’Huission ou Unison perverse, érection pudique, chemise auditive sur les épaules, la bonne , la grande , la palpaloque , la lanlautre, lunlautre, l’exutéral-Jacqueline , sans geste, sans action, le beau fait, tout secret, doux doux, haute âme, cine-âme, le tout ça, le tout donc, la transubération, l’option du (-φ), le concile oecumène érotique, mon moulu, mon tout moulu, la physiologie congelée  de l’enzuvë, la loule-boule, mon oui, mon alors, mon dirige-toi, écroule-toi, la jacquelinencule-toi, mais seul le samedi, le samedi astral, tra la sostanza  del fantasma e la concreta aderenza dell’oggetto « a », là tout à l’heure, et seulement une violence ontologique tra continuità e successività anche se stava nevicando, come nella margherita dello zodiaco, ogni venerdì metti che mi veniva su al meridiano e me lo scuoteva, chaque vendredi, chaque vendredi après le jour de sa jouissance, oh Jacqueline pour regarder une idée dans son dedans, dans son giron, il faut biser la bitte ou se mutiplier en se pliant en dehors, en se repliant, mon lunlautre, mon doux moulu, mon hétéroclisie virtuelle, mon ombélusque, mon signe du (-φ), mon gam gamme agam, mon âmgâmique , mon érige le Moi, mon bonheur extrait de Bissedelphe, culte de l’emphase sans lieu, culte de la lune et du regoulhâchade au lieu de l’elu, au lieu de l’elu-tout-élu, l’est-lu-toutencul, la palpaloque et la vacuité de la dimanche, le jour de l’humour-stop et de l’erection becbouche le long l’axe central, il faut pneumatiser Jacqueline en toutes les occasions formelles de la nature somatique, pour regarder une idée et mon phi dans son dedans, dans son giron, il faut multiplier et biser Jacqueline Bisset en se pliant en dehors en se repliant mon lunlautre, mon doux moulu, mon Jacqoulu.



[i]Emilio Villa, L’HOMME QUI DESCEND QUELQUE:ROMAN METAMYTIQUE, Editrice Magma, Roma 1974.
[ii]Cfr. A.N.Whitehead, Avventure d’Idee, © 1933, trad. it. Bompiani, Milano 1961.

Will it be p ⁞

La bestiaccia ama Lagerfeld e Balestrini no.Ricordo di Remo Pagnanelli ♠

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di Massimo Sannelli

Amo Karl Lagerfeld più di Nanni Balestrini, è un problema? Anche se Piero Cudini scrisse che Mario Luzi è "tanto mediocre quanto sopravvalutato", posso amare anche Mario Luzi? E se B. dice che "Mario Luzi non ha mai fatto un cazzo", posso punire B., che non ha mai fatto un cazzo?

Certo: B. mi chiede di scrivere la metà di un commento a Petrarca, a nome suo, e pagato. Io dico che va bene, come un perfetto ghost (& writer), e l'ultimo giorno gli dico: non ti do niente, perché non ho fatto niente.
Allora B. dice che l'ho messo nei guai con il professor P., e il professor P. è chi mi dice "lei è singolare" (e perché lo dice? Sono all'auditorium di Roma con i poeti, e invece di leggere poesie mi metto a raccontare una storia; mi tolgo il ruolo e mi invento un carisma, per cinque minuti, va bene? Oh – i piccoli scandali dell'Accademia. Ma al pubblico è piaciuto e solo questo è importante). Se il milanese puro mi dice che "i deboli devono soccombere", si deve preparare al fatto: io sarò più animale di lui.

Il Rotary di Macerata ha celebrato Remo Pagnanelli. Come animale, non trovo belli i tavoli del dopocena, fotografati su "Cronache Maceratesi". Come intellettuale, apprezzo l'edizione delle poesie, a cura del Rotary; ma l'animale non ama la poesia nella cena, se il poeta è chi ha detto "sotto la Loggia / dei Mercanti amici si spartivano / la mia carne fresca e saporita".

Certo, "il mondo vivrà dopo di me, poiché la ruota / è ben fissa, malgrado il Costruttore / sia morto durante la fatica". E perché Pagnanelli si è ucciso? È una domanda sbagliata. Contro chi si è ucciso? Già. "La purezza è un vessillo luttuoso", e voi, essi, il mondo, nessuno è puro, tra i morti-viventi di Macerata. E dopo? "Dopo starò a guardarvi da qualche parte", "come da un esterno si guarda un interno", mentre si mangia la carne fresca, che a Macerata si chiama ciccia.

Nelle mie violenze faunesche non c'è stata nessuna leggerezza, veramente. Mai. Nessuna ostentazione gratuita, né prima né dopo: ma solo una giustizia surreale, che libera e isola la bestiaccia. E la bestiaccia ama Lagerfeld, e non ama Balestrini; studia Pasolini e Bousquet, ma ama anche Tondelli e Giacinto Scelsi, Cixous e Twombly. Bisogna mangiare poco, e da soli, il più possibile. La poesia non c'entra niente. Confusione? Certo, confusione; e morsi, balocchi, profumi e sospiri: alla grande e con piacere, ogni volta.
 






Remo Pagnanelli. Quello strano Lirico

Ne L’Assassinio dei Poeti come una delle Belle Arti,© 1999-2003, nel secondo capitolo, quello della Tipologia dei Poeti e Arma diPrescrizione, Remo Pagnanelli è compreso, stranamente, nell’elenco dei Lirici; gli altri due elenchi sono quello dei Contestativie quello degli Epifanici.
E’ una ripartizione, in tre ideali e concreti epicentri linguistici, dovuta al critico milanese Domenico Cara. I poeti Lirici, quelli che Cara infilava nella sezione denominata “La Scrittura del Lirico”, sono più o meno “i poeti sensibili a un’esistenza di motivi idillico-intimistici, le cui immagini però promuovono il senso del sentimento e la nostalgia delle cose insieme al fondo di un’interiorità espressiva che fa tesoro della tradizione felice”[i]. Giacché questi poeti “non cercano a ogni costo le mozioni avversative della realtà” e non sanno perdere di vista “l’esercizio di guardare la natura insieme al distinguere tangibile della bellezza e del racconto esperienziale, quasi masochismo inibitivo e appartato”[ii], non si poteva che prescrivere per loro, a seconda delle tre classi d’età, un’ARMA che, in qualche modo, attuasse “una profonda lacerazione personale” cancellando quell’irritante pacata visionarietà, il canto, l’intimismo, le associazioni fantastiche come proiezioni del sentimento privato con un meccanismo di effrazione, nei casi più disperati, e con un meccanismo di soluzione immediata, nei casi in cui la fenomenologia lirica della percezione può essere dovuta a semantiche situazionali che, magari con l’età, sarebbero, si spera, cambiate. Perciò, l’ARMA di prescrizione per

1)  i LIRICI GIOVANI

è l’arma da fuoco antica: dalla pistola a pietra al trabocco, dal moschetto a braga al terzaruolo, dall’archibugetto a serpentino al passa volante.

L’eccezione, per i casi di visionarietà ossessiva e irremovibile e di confidenzialità soggettiva estremamente vagotonica, fa prescrivere l’ arma da urto: dal mazzafrusto alla catena, dalla clava al manganello.

2)  i LIRICI in MENOPAUSA o nel CLIMATERIO

è l’arma da lancio: l’arco, per i più coglioni; la balestra, per i cialtroni conflittuali,

Per i più ostinati si può fare uso dell’ariete, la torre mobile, lo specchio ustorio, la testuggine, la gru.

3)  i LIRICI ANZIANI,

visto che il tempo a disposizione per preparare la soppressione, è poco o ridotto, è di prescrizione l’arma da fuoco moderna, essenziale ed efficace: la mitragliatrice, per i più prolifici; la lupara, per i più nostalgici.

Con Remo Pagnanelli, nell’elenco dei lirici ci sono poeti come Raffaello Baldini, Attilio Bertolucci, Giampiero Bona, Ennio Cavalli, Pietro Civitareale, Giuseppe Conte, Lucia Corteggiani, Eugenio De Signoribus, Rodolfo di Biasio, Luciano Erba, Vico Faggi, Sandro Gastaldi, Daniele Giancane, Massimo Grillandi, Massimo Gualtieri, Federico Hoefer, Ruggero Jacobbi, Matilde Jonas, Vivian Lamarque, Marica Larocchi, Maria Grazia Lenisa, Angelo Lumelli, Dante Maffia, Giuseppe Marchetti, Loris M.Marchetti, Biagia Marniti, Diego Mantelli, Grytzko Mascioni, Ferruccio Mazzariol, Daria Menicanti, Dino Menichini, Loretta Merenda, Alda Merini, Milena Milani, Renzo Modesti, Ester Monachino, Vito Moretti, Roberto Mussapi, Ignazio Navarra, Giampiero Neri, Raffaele Nigro, Gino Nogara, Giovanni Occhipinti, Nico Orengo, Lanfranco Orsini, Massimo Pamio, Giancarlo Pandini, Roberto Pazzi, Elio Pecora, Camillo Pennati, Bortolo Pento, Albino Pierro, Marina Quaglia, Silvio Raffo, Silvio Ramat, Franco Riccio, Giuseppe Rosato, Clelia Rotunno, Giovanni Ruggiero, Giovanni Ramella Bagneri, Benito Sablone, Alberico Sala, Mario Santagostini, Angelo Scandurra, Massimo Scrignoli,Giuseppe Selvaggi, Cosma Siani, Albarosa Sisca, Antonio Spagnuolo, Maria Luisa Spaziani, Sandro Sproccati, Francesco Tentori, Anna Ventura, Ettore Violani, Giusi Verbaro Cipollina, Lucio Zaniboni, Marisa Zoni. Ne abbiamo tralasciati altri che sono, per la maggior parte,  catalogati nelle tre antologie di Domenico Cara.



[i]Domenico Cara( a cura di), Le Proporzioni Poetiche, vol. I, Laboratorio delle Arti, Milano 1971.
[ii]Ibidem: pag.8.

Remo Pagnanelli ♠ Forse l'autunno, un sogno della visibilità

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Remo Pagnanelli


EXILES|










Uccelli di specie lontana salutano
passeggiando come foschie sopra
l’adolescente fanciullo adriatico
nell’estivo rifiorire del mare in
un’erica sepolcrale sorella all’autunno.
Gli orti sono invasi da spume presto secche.

forse è ottobre, forse autunno, non sappiamo,
quando s’inazzurrano, per celarsi, le vene
della città, le piane desiderate già al
primo caldo di pasqua, dolci e struggenti.
Scendiamo a coppie sui laghi bianchi, dalle
punte bionde e fiacche, non traslucidi ma
opachi, come noi sul punto di addormentarsi.
Ora fa buio e le candide pernici (nelle estati,
marroni e scattanti ai nostri brindisi)
s’alzano verso gli chalet delle pensioni
e i mangiatori di fiori graffiano le siepi
delle ringhiere.

CLINICA|










Efficiente disordine. Bottiglie morandiane
metà opache, lembi di liquide rose sui
guanciali, veli veloci a coprire……………
nel mattino di sole ci si guarda splendere
tra i palmizi e i vasi della villa vicina,
una lacca d’oro entra sulla lampadina
accesa all’angelo custode…………………..
……………………………………………………………
………………………………………………(in pozzi bianchissimi e ruotanti
ascolto l’amata traversare vertiginosi
giardini, ignorare gli aliti imputriditi)

nelle brocche, nei cristalli dei lumini
e delle lacrime il tuono delle regate
mosse di fine stagione, lo zoo vuoto
dalle foglie sanguinanti, la schiera
del gruppo che si sgrana e profonda
nel sudore…..………………………………..

ora che il fuoco sottile delle lamine è un sogno
della visibilità, un verde pendant di pellicani neri
si versa secco nel parco opaco e voi, fratelli separati,
che la nebbia sbriciola via corrucciati e spenti,
scendete dando le spalle



|da: Le proporzioni poetiche.La poesia italiana fra gli anni Settanta e Ottanta, vol.3, a cura di Domenico Cara, Laboratorio delle Arti,Milano 1987|

La gallina e il poeta.Storia di una fotografia, di un poeta e di altri artisti a Torino ░

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© noah kalina
La storia della gallina è vecchia v E il monadismo doppio del poeta per via dell’uovo e della biova con la mortadella

La storia della gallina è vecchia, ricordo che c’era una litografia di Anna De Rossi, negli anni Settanta pittrice di Torino tra i surrealisti, con una donna che aveva una gallina o un cesto con le uova in testa, e allora, poi, venne fuori un fotografo che voleva fotografare il poeta con una gallina in mano per via del pollaio di Mia Nonna dello Zen  che già l’aveva  messo al centro di un aneddoto: che, come Arthur Bloch, l’autore di Murphy’s Law, che era stato assistente di autolavaggio e raccoglitore di uova, il poeta era un maestro nell’automaneggio e, giustappunto, era stato raccoglitore di uova sia nel pollaio di Mia Nonna dello Zen che nel pollaio di Sua Suocera del Bagliore Ainico; poi, circolava anche quella che era il più grande batterista senza batteria ed era tuttora un magistrale suonatore del basso, specialmente al mercato della Crocetta il sabato. Insomma, il poeta non finiva mai di stupirsi a Torino e di stupefare, e dunque c’era questo fotografo che gli fece un provino, non ricordo bene, nello studio con un ombrello sullo sfondo o un ombrellone e sotto  stava all’ombra quella giovane torinese che a un certo punto divenne la playmate del mese per “Playmen”: era del tipo ectomorfo e bionda di pelo del Capricorno che, di solito, ha il pelo al massimo castano, come il prototipo del conno saturnino che era e rimane Françou, che, essendo transalpina, aveva  una certa linea savoiarda che dritta dritta raggiungeva il (-φ) del poeta di stanza in quegli anni di piombo nella città che tanto ha dato ai terroni e alla meccanica e alla sociologia, e anche alla  politica, all’economia e all’estetica,  della ruota. Allora: questo fotografo, che non so come venne fuori, anzi  lo tirò fuori l’amico del poeta che stava con Claretta G. e che faceva anche le copertine per i libri della Rusconi, ma l’idea era stata di Claretta, che, a un certo punto, mentre girava per negozi alimentari a ridosso del Po,  col poeta che l’accompagnava e che, si sa, due erano le cose che lo facevano impazzire: l’uovo fritto e il panino, anche una semplice biova, con la mortadella, e forse prendendo una

confezione di uova, disse: “Sai, Vuesse, che ne dici di farti fotografare con una gallina in mano? …Per via delle uova…”; e il poeta:”Ah, sai che l’Anna De Rossi mi ha regalato la lito della donna con la gallina?;”Ah, poi le hai scritto il pezzo?...Deve esserle piaciuto molto…di solito non tira fuori niente…”, e il poeta, riprendendo il riferimento alle fotografie con la gallina in mano: “Mi fa senso la gallina a prenderla  con le mani…Che me ne faccio di una gallina in mano?” E lei, sempre un po’ vaga ma tenera e allusiva: “…Certo. Vista così sembra una cazzata, ma non è detto che, sotto, non ci sia…che so? La questione dell’uovo…”; il poeta:” E’ nato prima il poeta o la gallina? O: il poeta e la gallina, la poetessa e il gallo, e perché non il tacchino e la madre del poeta?...”.  Per chiuderla, non si sa come andò a finire. La litografia di Anna De Rossi, poi, il poeta la regalò, o, forse, la  barattò con una fornitura di uova, di sicuro ci fu un curioso risvolto: Mario Molinari, che era un altro dei surrealisti di Torino che sembra che facessero capo a tal Pontecorvo(di cui il poeta non ha memoria, difatti lo rimuove sempre e non ricorda mai il cognome:per questo glielo abbiamo scritto qui), e compagno non solo di sbronze della suddetta Anna, uno che faceva anche mobili surreali, pur di non dover dare un suo manufatto, il poeta lo ricorda come scultore, anche perché pare che non avesse in produzione prototipi maneggevoli, che so un  tegamino surreale e monopoetico acciocché il poeta affamato potesse cuocersi l’uovo serale, insomma un giorno incontrò il poeta nella sua officina per ridargli il testo di critica d’arte che il poeta aveva scritto sulla sua opera dicendogli che era troppo alto per la sua produzione di fabbro; il poeta, al momento, ci rimase male, poi lo raccontò in giro e, in capo a tre lune, fu invitato a visitare lo studio di Ugo Nespolo, in via Caboto, se ricordo bene, e, in più, Paola De Cavero gli presentò addirittura  Penone. E poi girò, perché Torino è geometrica e con i suoi chilometri di  portici favorisce la diffusione delle massime, degli aforismi e delle cazzate, che, questo è sicuro, non si bagnano e quindi arrivano asciutte e tese all’orecchio del destinatario, girò questa cazzata del poeta: la pittrice presenta Penone al poeta e dice:”Penone!”; il poeta: “E’ da vedere!” Alla presentazione, non rise nessuno. Invece, per i 13 chilometri di portici, l’inverno torinese fu riscaldato da incontri veloci e da saluti a mano del genere: 1.“Penone?” e l’altro, che non si fermava nemmeno: “E chi l’ha visto?”; 2.“Penone: s’è fatto vedere?” e l’altro:”Figurati, se si fa vedere!”; 3.”Penone, l’hai poi visto?”, “Io no, ne son sicuro: e tu l’hai visto il Penone?”; 4.”C’era all’inaugurazione il Penone?”, e l’altro:”Col cazzo”, oppure:”Forse c’era. Ma chi l’ha visto?”; 5.”Letto, su “La Stampa”,  cosa scrive ** sul Penone?”; e l’altro di corsa entrando  al Baratti & Milano: “Non fa più cronaca d’arte, si è dato all’anatomia?”; 6.”L’ha visto mia moglie giovedì il Penone…un po’ giù” e l’altro:”Non farci caso.E’ capitato pure con altre mogli.”; 7. “Vedo Penone oggi”, e l’amico:”Abbracciamelo!”.

Ci sarebbe anche questa, che non girava sotto i portici: 8.Il poeta incontra la Paola sotto casa in via S. Francesco da Paola:”Come sta Penone?” e lei:”Benone!”, il poeta: “Stai sempre al piano americano, eh?!”
La storia della gallina e anche della fotografia con la gallina è vecchia, anche il poeta, che andava a zonzo con Claretta che, era risaputo, girava senza mutande, si è fatto più saggio, non fosse altro per via del sestile Sole-Saturno, che è quello della maturità di una persona  e della frugalità, e anche dello sciopero della fame, e dei piaceri singolari, se vogliamo essere meno rinunciatari, d’altronde non abbiamo ancora tirati i remi in barca né abbiamo dovuto dimetterci da un incarico che mai abbiamo avuto, questo disse una tarda sera d’inverno il poeta dell’ermeneutica filosofica e della filosofia del linguaggio, e dell’epistemologia e della teoria della conoscenza, quello della trascendenza dal Dasein, della res extensa e della monade, quello del metalinguaggio e della Lebenswelt; adesso mangia frittatine di carciofi e anche uova e sardicella, che a Torino mi dici come te le fai, la gallina la puoi pur tenere sul balcone o nella mansarda, ma la sardicella non è certo come il caviale, che lo puoi esportare di qua e di là e te lo mangi quando ti aggrada; certo, c’è ancora in uso quel che fu il pollaio di Sua Suocera del Bagliore Ainico, ma non è più un raccoglitore di uova e la gallina in testa a quella donna nella litografia di Anna De Rossi, anche quella, è andata perduta, insomma la storia non si ripete, anche se in via Giambattista Vico accadde qualcosa una sera che ricuce, nella memoria del poeta,  il nesso tra quell’oggetto “a” che si formò tra la fotografia, le uova e il pelo biondo della matura musardine e un altro oggetto “a” che si formò per quell’angolo in via Vico e la frittata mangiata in compagnia di una giovane immigrata dal podice marchigiano. Ma di quest’altra storia, che non avvenne in taxi, non c’è, al momento, nessuna riproduzione fotografica.

Noah Kalina, anche per tutto questo, ha fatto questa foto con la gallina, che è, sì, fotografica ma non fa l’uovo, o il punctum, patagonico. L’uomo non è il poeta; la gallina non è di Torino né del pollaio di Mia Nonna dello Zen né tantomeno di Sua Suocera del Bagliore Ainico; la donna non è la musardine dal pelo biondo sabaudo, anche se a quella sembra rinviare l’oggetto “a” del poeta, è l’elemento che fa sobbalzare, per questa specularità, il (-φ)del poeta. E Jacques Lacan che, a leggerli tutti i Seminari fatti negli inverni rigidi di Parigi, non sembra che abbia trattato il (-φ ), la poesia, la gallina, il fotografo Kalina e il raccoglitore delle uova, insieme, in un seminario o in una frittata.
| by Gaudio Malaguzziv

No. Non è della Anna De Rossi:
è una xilografia di Walter Williams
E nemmeno  questa Black Hen
è della De Rossi.
E’ di Jim Field

Shqip-Shnek ⁞ KIM

La Patanutella © V.S.Gaudio ●

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Che mondo sarebbe senza Nutella

Il Parlamento Europeo ha dato il proprio primo voto favorevole all'introduzione nel settore alimentare del “miglior profilo nutrizionale”, un regolamento che costringerebbe moltissime aziende di prodotti dolciari, tra cui la Ferrero con la Nutella, a scrivere nelle etichette “Favorisce l'obesita'” e a limitare i messaggi promozionali.
La nuova legge, che non e' stata ancora approvata definitivamente, prevede che per ogni 100 grammi di prodotto non ci possano essere piu' di 10 grammi di zucchero, 4 grammi di grassi saturi e 2 milligrammi di sale.
Pare, si dice, si mormora, che la Nazionale di calcio dovra' cambiare cuoco...
(Fonte: Corriere.it)
Nella foto la famosa Nutel Lisa

·         Da Cacao Quotidiano il 17/06/2010 - 14:14

Ci fosse stato nella “Nutella” quel cioccolato scorza della Majani “che è tale e quale un pezzo di corteccia, una ruvida scaglia tirata via da un albero”[Felice Campanello, La Buona Italia, Rizzoli, Milano 1977:pag.83] che è cacao allo stato puro, senza aggiunta di grassi e con poco zucchero, avremmo avuto una “Nutella” meno energetica ma delicatissima? Tanto che sia la Ferrero, che la fa la “Nutella”, che altri produttori, anche artigianali, come la Pasticceria Peruzzi di Prato, potrebbero scrivere sull’etichetta che questa “nutella” più rudimentale non è molto diversa da quella che avrebbero potuto mangiare gli Aztechi se avessero potuto farla la crema da spalmare sulla fetta di pane che fanno nella Calabria Saracena o nella Puglia delle Murge…
O se ci fossero ancor più nocciole, che, tra i frutti oleosi,è il frutto più digeribile e più nutriente, consigliato addirittura ai diabetici, allora ci si potrebbe scrivere, sull’etichetta, che, contenendo calcio, fosforo, potassio, zolfo, magnesio, cloro, sodio, ferro e rame, e vitamine A e B, influisce quindi positivamente sulla nutrizione e sull’equilibrio generale?
Infine, nell’era della transeconomia, si può pensare di fare una “patanutella” che recuperi lo statuto dell’immagine che potrebbe sfuggirle, e che crei una scena altra rispetto a quella del reale, una “patanutella” fatta, appunto, con la Majani o la Peyrano, cioè con un cioccolataio che, nell’immagine, costituisce l’essere proprio dell’arte di fare il cioccolato, in modo che questa forma di integrazione che è l’unione europea,che, come scrisse Jean Baudrillard, è “anche un po’ una forma di esorcismo:più il discorso dell’Europa si armonizza, cioè più gli accordi comuni si succedono gli uni agli altri, più gli eventi europei vanno esattamente nel senso opposto” [J.B., Al di là della fine, © 2002], fosse in qualche modo ostacolata prima che il sistema delle integrazioni non provochi tutte le forme di espulsione, di decadenza, di sterminio, almeno dei paradigmi più originali e meno propensi al livellamento comunitario?

·         Da v.s.gaudio il 20/06/2010 - 08:55


Divagazione ziffiana. Le sensazioni delle omomacchine pulsionali ⁞

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Le sensazioni degli omosessuali.
Divagazione (satur)ziffianasulle omomacchine pulsionali░  byv.s.gaudio

 

| Questa divagazione saturziffiana, che è essenzialmente una sorta di parodia de “Le sensazioni dei robot” di Paul Ziff[i], è in memoria di P.P.P., sulla cui distruzione, dopo 40 anni, resta indissolubile il mistero e la ragione del Capitale e della Chiesa e quindi della Repubblica che gestisce il sistema investigativo e giudiziario così come è nelle sue componenti territoriali e amministrative in una nazione che vanta, per ogni regione del sud come Herkunft, cinque mafie-con legami clericomassonici- dalla potenza terrificante. |

Un omosessuale può avere delle sensazioni? C’è chi dice che certamente è possibile; altri dicono che certamente non lo è.

1.Voglio parlare degli omosessuali veri e propri: devono essere della serie soggettiva e oggettiva dell’omoerotismo[ii] e, senza dubbio, omosessuali, macchiaioli[iii] o che usano al modo italiano.
Postulerò che siano essenzialmente omosessuali,quelli che a Zara[iv] o quelli che a strologare,  dotati del (-φ) lacaniano e di tutte le pulsioni di Leopold Szondi[v] necessarie al funzionamento di queste meraviglie. Postulerò inoltre che sia fornita loro energia fallico-anale per mezzo di pulsioni alimentate da batterie vitaminiche e degli amminoacidi essenziali.
Una volta messo in chiaro che i nostri omosessuali sono senza dubbio omosessuali, allora, sotto tutti gli altri aspetti, possono essere somiglianti agli uomini quanto volete: possono avere le dimensioni di un uomo; se vestiti e mascherati, possono essere in effetti indistinguibili dagli uomini, praticamente da tutti i punti di vista: nell’aspetto, nei movimenti, nel modo di esprimersi, e così via.
Quindi, se non fosse che per le maschere e per i film che fanno o quello che scrivono sui giornali dell’industria culturale del capitale, ogni uomo qualunque[ ancorché non sia anche un poeta o un romanziere del nuovo genere a pagamento, di quelli, cioè, che continuano a pubblicare ancora almeno sette “libbri” all’anno, anche on demand, e arrivano anche a dir la loro sui social personali, e non sono stati mai assoggettati a una vera e propria ritenuta d’acconto per non avere, poi, a conti fatti, nemmeno un pelo quando tutti gli altri della sua generazione arrivano all’età del (-φ) definitivamente accantonato ma debitamente pensionato] li scambierebbe per uomini qualunque, quantunque loro siano stati in linea e in regola, sempre, al momento giusto, inalienabili dall’assunzione , dal ferragosto e dal 18, financo come tarocco della Luna, non sospettando che siano omosessuali, nulla da parte loro glielo farebbe sospettare.
Senza maschera, però gli omosessuali si fanno vedere in tutta la loro lucentezza umana e pulsionale. Ora, il problema non è di vedere se possiamo sfumare la linea di confine fra l’uomo e l’omosessuale per attribuire poi all’omosessuale delle pulsioni e quindi delle sensazioni; il problema è, invece, di vedere se possiamo attribuire all’omosessuale le pulsioni e le sensazioni e quindi sfumare la linea di confine fra uomo e omosessuale, regista e regista omosessuale, cantante e cantante omosessuale, scrittore, anche se di romanzi a cazzo, e scrittore omosessuale, anche se di romanzi del cazzo, politico e politico omosessuale, ancorché non sia giornalista, ma mica pubblicista[vi] : quello professionista, quello che, anche se è un fottuto ricchione, non ha mai conosciuto l’onta della ritenuta d’acconto, seppure operata dall’esattoria di Milano, dove è di casa il topos editoriale della Repubblica fondata sul lavoro,ancorché venga il lavoro assunto da un lavoratore omosessuale, sia oggettivo che soggettivo, come a dire che o fallico-narcisista o maso-anale è pur sempre un lavoratore con le funzioni dell’assunzione ancorché faccia anche o solo il regista o il trapezista.

2. Gli omosessuali, ancorché non siano architetti o astrologi, quelli, insomma, della libidine greca o della scuola pederastica,  possono avere delle sensazioni? Possono, per esempio, sentirsi stanchi o annoiati? Ovvero, un omosessuale può incazzarsi? Se dico “Si sente stanco” , si può inferire generalmente che si tratta( o si trattava, o si tratterà nel caso che si parli di uno scrittore defunto o di uno spirito omosessuale) di una creatura vivente. Più genericamente, il contesto linguistico “…si sente stanco” è aperto generalmente solo a espressioni che si riferiscano a creature viventi. Supponiamo che diciate “l’omosessuale tal dei tali si sente stanco”. La locuzione “l’omosessuale” si riferisce a una meccanica pulsionale: si può allora inferire che non si tratta di una creatura vivente; ma dall’enunciazione della forma predicativa “si sente stanco” si può inferire che si tratta di una creatura vivente. Perciò, se parlate in senso letterale e dite “L’omosessuale si sente stanco”, implicate una contraddizione? Non si può quindi predicare letteralmente “si sente stanco” di “l’omosessuale”, anche se ci ha dato dentro di brutto.

3.“Un omosessuale(o un culano[vii]) cazzuto” è una metafora, ma “un uomo fallico” è una metafora speculare: se avessimo qui un omosessuale, anche un platonico dell’amore greco riderebbe della sua metafora. Non è necessario che io implichi quello che non voglio implicare: un’implicazione può essere resa impercettibile. Il senso di una parola può essere ampliato, o ristretto, o modificato. Se si vuole essere capiti, allora non ci si deve allontanare troppo dal senso letterale, diceva Ziff. Indicando un omosessuale fra molti altri, dico: “Ecco, quello è un omosessuale, un candelaio[viii], un platonico marchettaro”. Intendo forse dire che gli altri non lo sono? Naturalmente no. Eppure, l’accento posto su “quello” serve a metterlo in contrasto con gli altri. Dico quindi: “L’omosessuale, quel meccanismo pulsionale, certo non una  creatura vivente ma una macchina vettoriale come la intende Leopold Szondi, si sente stanco”; questa volta, non potete inferire che si tratti di una creatura vivente, ancorché sia un politico o un centauro se non un nuotatore. Se dico di una persona “Egli si sente stanco” oppure “Egli si sta incazzando”, pensate che io voglia dire che è una creatura vivente e questo soltanto? Se dico “L’omosessuale P.P. si sente stanco”, non voglio dire che si tratta di una creatura vivente, ma ciò non significa che io non abbia detto nulla. Se dico “L’omosessuale si sta incazzando”, il predicato “si sta incazzando” significa tutto quel che significa abitualmente, tranne che non si può inferire che si tratti di una creatura vivente o di un filosofo del linguaggio. Quanto si è detto riguardo a “L’omosessuale, ancorché non sia ligurino[ix] o monello,se non sodomizzatore,  si sente stanco” si potrebbe ugualmente dire riguardo a “L’omosessuale è cosciente”, “L’omosessuale P.P. ha scritto un libro”, “L’omosessuale A.B. ha portato una capra in Tv”, “L’omosessuale E.J. ha fatto un altro disco ed è stanco”, “Il pescatore platonico[x] ha fatto un ebook di aforismi”, “Il pedicone[xi]è nel consiglio d’amministrazione”, “Quel fottuto patico[xii]è stanco, ha fatto un altro libro di poesie da…”,e così via.


4. Gli omosessuali(o quelli che vanno in Calabria[xiii]) possono sentirsi stanchi? Gli omosessuali(o quelli che danno il culo o saracinano[xiv]) possono giocare a pallone, a rugby? Un musicista potrebbe sentirsi stanco e non suonare lo strumento? Il numero 26 potrebbe essere omosessuale? E il 29? E’ chiaro che non c’è nessuna ragione di credere che il 23 sia frocio. Ma questo non prova niente; un uomo potrebbe essere frocio e sentirsi stanco e suonare l’armonica e potrebbe non esserci niente che lo indichi: non c’è bisogno che ci sia nulla che lo indichi; così potrebbe essere per il 26, o il 29 o il giocatore di volley. Tuttavia il numero 23 non potrebbe sentirsi stanco; e dico questo non perché, o non semplicemente perché, non ci siano ragioni per supporre che il 23 si senta stanco e buone ragioni per non supporre che il 23, anche quando viene considerato come deretano, provi mai alcuna sensazione. Bisognerà vedere se vi sia qualche ragione per supporre che gli omosessuali si sentano stanchi e se vi siano buone ragioni per non supporre che determinati numeri sentano mai qualcosa.

5. Conoscendo Pier e vedendo il suo aspetto, dico che si sente stanco, anche se so che è omosessuale; conoscendo Paolo e vedendo il suo aspetto, non dico che si sente stanco, anche se so che ha fatto una nottataccia. Eppure, se non conosciamo nessuno dei due, può sembrarci che Pier e Paolo abbiano lo stesso aspetto, anche se uno è frocio e l’altro è eterosessuale. In un certo senso, può anche sembrarmi che abbiano lo stesso aspetto, ma in un altro senso no: Pier infatti avrà l’aria stanca, mentre Paolo no. Se mi si chiede di far rilevare la differenza, può non esserci nulla di rilevante da indicare, e non è necessario che vi sia. Se, parlando di una persona, diciamo che si sente stanca, solitamente non lo diciamo soltanto in base a quanto vediamo in quelle determinate circostanze, ma in base a quello che abbiamo visto in altre occasioni e al grado di collegamento che possiamo stabilire fra quanto abbiamo visto nelle altre occasioni e quanto vediamo in quelle determinate circostanze.

6. Supponiamo che tu e io andassimo a fare visita al regista P.P.P. in casa sua.  Egli sta provando la parte di Medea stravolta dal dolore: ignora la nostra presenza, come potrebbe fare un’attrice stravolta dal dolore o anche una cantante lirica; la sua recitazione è impeccabile, anche se c’è qualche inflessione da checca. Io so che è un regista e che sta provando una parte di una protagonista femminile, ma tu non lo sai, sai solo che è un ricchione. Tu mi chiedi “Perché il tuo amico ricchione è così addolorato?” e io rispondo “Non lo è”. “Ma certo – dici tu – è stravolto dal dolore: guardalo, come piange quel ricchione! Mostrami cosa ti spinge a dire altrimenti.”; e, naturalmente, può non esserci nulla da mostrare in quelle circostanze. Può non esserci niente che non va sia nella recitazione di un’attrice sia in quella di un omosessuale: quello che non va, è dire che si tratti di una recitazione.

7. Supponiamo che P.P.P. sia un omosessuale, un campanaio[xv], un cacavincenzo[xvi] bucaiolo. Un uomo qualunque può vedere P.P.P. e, non sapendo che è un omosessuale, può dire: “P.P.P. si sente stanco”. Se gli chiedo che cosa glielo faccia pensare, può rispondermi: “ Ha girato tutto il giorno per una scena sadomaso abbastanza pesante. Comunque, basta guardarlo: se P.P.P. non ha l’aria stanca, chi ce l’ha?”. All’uomo comune, quindi, P.P.P. appare stanco; questo però non prova niente: se io so che P.P.P. è un omosessuale, non può sembrarmi stanco. Non conta quello che vedo, ma quello che so; o meglio, non ciò che vedo in quelle determinate circostanze, ma ciò che ho visto altrove. Dove? In un laboratorio di psicologia degli omosessuali o degli uranisti[xvii]?

8. In verità, non ci sono verità psicologiche relative agli omosessuali e all’arte de’ poeti, ma ci sono soltanto quelle relative ai produttori cinematografici dei film che fanno gli omosessuali o i pederasti spadaccini[xviii]. Perché il modo in cui un regista omosessuale si comporta in un determinato contesto dipende principalmente da come si programma il suo comportamento grazie ai finanziamenti del produttore. Perché così possiamo programmare il comportamento di un regista, o di un attore, di un cantante, di un romanziere, di un barzellettiere, omosessuale in qualunque modo vogliamo che esso si comporti. Perché potremmo far dire, e far fare, a un omosessuale regista o attore o musicista o cantante o romanziere o poeta o giornalista o conduttore televisivo, qualunque cosa volessimo. Perché gli omosessuali sono sostituibili. Perché gli omosessuali, soggettivi o oggettivi che siano, non hanno individualità. Perché si può fare la copia della loro fisiologia pulsionale e ottenere due ricchioni praticamente identici. Perché si possono scambiare tutti i pezzi pulsionali e avere pur sempre lo stesso oggetto “a”[xix]. Perché si possono scambiare i programmi di due macchine pulsionali aventi la stessa struttura. Perché…
Perché nessun omosessuale si comporterebbe da persona stanca, anche perché se il produttore se ne accorge direbbe: “Questo ricchione di un regista si sente stanco e ancora non ha girato niente, perciò perché gli dovrei finanziare un film che non riesce a fare?”. E che diremmo se, poi, tutto ciò si dovesse fare un giorno con i registi non omosessuali? Che succederebbe se un giorno dovessimo distruggere la differenza cinematografica tra l’uomo e l’omosessuale? Allora, un giorno o l’altro ci sveglieremmo e scopriremmo di essere omosessuali. Ma non ci sveglieremmo in un paradiso di meccanismi fisiologici e pulsionali, anche se Fourier ci aveva rassicurato che così sarebbe andata a finire, e neppure in un bordello omoerotico automatico: in quel caso, infatti, non potrebbe avere senso parlare di esseri umani e produttori senzienti, proprio come ora non ha senso parlare di omosessuali che abbiano sensazioni se non quelle che vengono programmate dall’editore o dal produttore di turno. Un ricchione si comporterebbe come un omosessuale. Anche con quella troia della moglie del produttore o del direttore della produzione, che, vai a vedere, non è detto che non sia un cultore, occulto, dell’astrologia[xx] e dell’architettura[xxi], e dell’arte de’ poeti[xxii].


[i] Cfr.Paul Ziff,Le sensazioni dei robot, in: Idem,Itinerari filosofici e linguistici,©1966, trad. it., con introduzione di Tullio De Mauro, Editori Laterza, Bari 1969.
[ii] Cfr.  Omosessualità maschile, in Capitolo XVI. Perversioni e nevrosi d’impulso, in:Otto Fenichel, Trattato diPsicoanalisi, trad.it. Astrolabio, Roma  1951.
[iii]Macchiaiolo, “che vive nella macchia”, quindi sarebbe un “ribaldo”, l’Herkunft è relativa a Machiavelli.
[iv]Zara sta per rapporto anale. Per esempio, Bargagli, nei Trattenimenti, sembra che, quanto alla zara, io per me vi confesso, non so come ella si vada, eravamo nel XVI secolo e forse, senza luce, non riusciva ad andarci.
[v]Cfr.Leopold Szondi, Introduzione all’Analisi del Destino, trad.it. Astrolabio, Roma 1975.
[vi]Mi colpì non poco quando una volta in una di quelle trasmissioni, condotte di solito da giallisti dell’industria editoriale, ma quella in particolare da uno che non ho mai capito, tolta l’enfasi dell’eloquio, che cazzo vada dicendo se non delle semplici didascalie ai vari fotogrammi di repertorio che passano nel filmato, e dicevo che in un filmato su P.P.P. mi colpì, quando lo mostrarono, il famoso tesserino verde, cazzo manco quello rosso gli avevano dato, eppure apparteneva al giro di quelli che, anche se tenevano una colonnina a mo’ di rubrica una volta al mese sul giornale di partito o su altri repertori di qualunque congerie a sinistra e a destra o al centro, mezzo vento da sud, o mezzo vento da nord, o mezzo vento da est, ovest, gli davano il rosso sull’unghia, come si fa con la translitterazione, e quindi capii che, ahi voglia che ‘sto chiacchierone didascalico ce l’amministra qui la sequenza dei referti inerenti il poeta ricchione ammazzato, se ci fanno vedere il coso verde, l’hanno lì nella scatola dei referti e mamma Tv va e ce lo mostra, un po’ come quello di quel povero Cristo che faceva il pubblicitario e poi, col tesserino verde, andò a immolarsi per non si sa che cosa, e anche lì, addirittura i suoi assassini mostrarono in Tv il tesserino verde, girava in un campo di guerra assoluta con quel tesserino verde, che aveva il numero progressivo più alto del mio e risultava che lo avevano iscritto prima, e se glielo fai notare ti diranno ma che vuoi che sia avrà perso quello di prima e gli abbiamo dato un altro, e non ci scrivete sopra che è un duplicato?
[vii]Pederasta, da Tondelli.
[viii]Da Giordano Bruno per via della sua commedia Candelaio.
[ix]Cinedo, dal nome del giovinetto cui è dedicato un carme di Orazio.
[x]Da solo il pescatore sarebbe sodomita ma più dentro i rapporti anali eterosessuali; con platonico, come apposizione, si va diritti alla pederastia ellenica, che, anche in Magna Grecia, era abbastanza diffusa, non solo a Sibari, anche se “sibarita platonico”(il copyright è mio, eh?) è davvero lussurioso, non credete?
[xi]Corrisponderebbe a Giove, per via dell’attributo amministrativo: Chi è mai Giove se non un pedicone furfante? Nella Piazza universale di Garzoni.
[xii]Dal latino pathicus, “invertito”, in Catullo: l’omosessuale passivo, che soffre, subisce.
[xiii]Dissemi un sordo che gli disse un muto/che tu atterri un porco così bene,/che ‘n Culavria non fora mai creduto:/e sempre il fiedi dietro nelle rene,/e collo spiedo tuo fiero e pasciuto/gli rompi e sfasci il fondo delle schiene: Burchiello, Sonetti.
[xiv]Dallo schema verbale “saracinare” che sta per “sodomizzare”.
[xv]Cfr.il campanaio delle Rime Burlesche di Gozzi che mena da ogni lato.
[xvi]Omosessuale passivo, dal gergo dei camorristi.
[xvii]Starebbe per omosessuale passivo, per via di H.Ulrichs che allude al dio greco Urano privato della virilità dal figlio Crono. Cfr. gli uranisti, i masturbatori, i frodatori contro natura di Papini. Lo usa, il termine, anche Busi. Da quel che ricordo, pare che P.P.P. avesse Urano in casa Prima, il che non sarebbe correlabile con la passività di cui alla connotazione del  giurista tedesco.
[xviii] A che tante bravate,/misero spadaccino,/se a tutti è già palese/che il cul ti fa le spese?: Ruspoli, Poesie, XVII secolo.
[xix]Questa è notevole: Jacques Lacan mai a parlare nei suoi rigidi e freddi seminari invernali degli anni Cinquanta dell’oggetto “a” dei ricchioni: pensate, un bel seminario sull’oggetto “a”, l’a piccolo!, du pédéraste, quello che empétarde ou ramasse des épingles, l’enfigneur, l’enfileur, l’enfifreur, l’emigré de Gomorrhe, oh, Jacques: l’objet “a” nello schema verbale “battre le beurre dans un étron”, dai, altro che quella storia del vasetto dalla maionese che ho dovuto tirar fuori io per i Promessi Sposi di Piero Chiara!
[xx]In quanto sodomia: i cardi, disse il Berni, causano infiniti buoni effetti, alzan la mente agli uomini ingegnosi dietro a’ secreti dell’astrologia!
[xxi]Galileo: a strologar per via d’architettura. Per la forma planetaria delle natiche, non è male.
[xxii] Che è speculare agli schemi verbali “buggerare”(che è lo schema verbale dell’arte buggeronica) e “solazzar de’ preti”.

L'indizio della Marrabecca ⁞ Alain Bonheur & James Holding Jr.

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Questa storia di Sarah Benson che va all’alba da sola a far fare colazione ai camionisti ed è una normotipa mesomorfa che ha il bagliore didonicotra capelli, occhi e forse muso, letta a piè di solstizio e col plenilunio che sta venendo, è come il volo dell’alcione, che, se fosse stato per Harry Mathews, avrebbe tirato su il piacere singolare[i]della giovane donna che, in Pennsylvania, ancora nella densità con cui sta ancora invischiando il suo oggetto “a”, miscela liquidi caldi agli avventori che in quel  caffè  convergono come se fosse il meridiano giusto per  far zampillare il loro piacer oro-uretrale.
L’indizio del vapore  
e la Marrabecca
della Pennsylvania
t Che è un demone liquido 
che succhia i sogni
e i fantasmi del mattino?

L’indizio della Marrabecca 
della Pennsylvania t
Mini-Lebenswelt con James Holding Jr.

Quando entra in scena a Washingtonville[ii], e siamo al 16 dicembre, prima dei giorni di Alcione ma ci siamo quasi, alle 5.41, sta andando a piedi dalla sua casa nei sobborghi di Washingtonville verso il nastro di cemento della Superstrada 78, all’altezza del centro di negozi, è tutta infagottata in un pesante cappotto scozzese e porta un foulard verde sui capelli color tiziano: tocca a lei questa settimana aprire il Wright’s Truckers’ Rest e preparare la prima enorme caffettiera per i camionisti insonnoliti e gelati, che sono clienti abituali non solo per il caffè buono e bollente ma principalmente perché Sarah Benson è la più bella cameriera che si trova tra New York e Chicago.
Quindi, sta andando ad aprire e c’è questo tonfo agghiacciante: una macchina che prende in pieno un pedone che, all’inizio della storia, era rimasto bloccato con una Plymouth berlina del 1954 più in là e stava cercando qualcuno che l’aiutasse a far ripartire il catorcio, in cui aveva lasciato la moglie in attesa.
Il poliziotto che si siede al banco del Wright’s dopo l’incidente non può fare a meno di notare, approvando dentro di sé, quanto fosse graziosa Sarah Benson e come ben contrastassero i suoi capelli tizianeschi con la pelle bianca e con gli occhi azzurri tagliati dritti – un po’ come il poeta che quella volta , anche in un mattino, ma non all’alba, d’inverno a Torino, nella pasticceria Querio, notò come la linea del podice della cassiera  fosse diritta come un meridiano con quei calzoni di pelle marrone lucido quando, visto che nessuno serviva il poeta, si alzò dallo scranno della cassa e andò alla macchina del caffè a preparare il caffè atteso dal poeta dopo avergli preso e messo in mano il cornetto più fragrante e più colmo di cioccolato che il poeta avesse mai mangiato alle 7.30 del mattino in qualsiasi caffè tra Torino, Milano, Bologna  e Torre Pellice.
La linea del podice della cassiera un po’ era come quella di Sarah Benson, che, stando in Pennsylvania, per il fatto che stesse di là da Pittsburgh, non poteva che avere anche lei il bagliore ainico e quel meridiano al podice. Quando è apparsa Sarah alle 5.41 è dentro la catalana[iii], come se fosse sdraiata sul dorso, così la vede nel piacere singolare Harry Mathews, solleva e gambe e cosce e come punto d’appoggio si tiene con le mani i piedi, appena sopra le caviglie: e il camionista di turno, essendo risoluto e lungo, la ringrazia per il caffè buono e bollente. Difatti , il piacere singolare di Sarah continua e dalla catalana passa al 41° modo in cui lei si sdraia sulla schiena e accoglie la testa del camionista di turno, che le si è steso sopra bocconi. Insomma, la caffettiera è stracolma e zampilla in fiotti abbondanti da una parte e dall’altra nella tazza non è rimasta nemmeno una goccia.
Il poeta invece passa dalla 7, a gambe incrociate, alla 30, che è la carriola: la strada è lunga e si può spinger la carriola per gran tempo, ammesso che il cavicchio sia ben saldo e robusto.
La strada 78 è quella della scoperta dei tesori, come se fosse la carta 78 dei tarocchi, il dieci di denari: dieci denari messi in circolo:la metà sotto terra, sotto il cappotto o sotto i calzoni; l’altra metà sopra, gli occhi, i capelli, il taglio dritto, il muso tra naso e bocca come una delizia di Marrabecca, che è così che manifestano il bagliore ainico le Sarah Benson della Pennsylvania e di Torino, tanto che, poi  l’indizio del vapore bianco, rimasto impigliato come un piacere singolare nella mente di Sarah, si rivelò veramente utile per scovare la macchina che aveva travolto e ucciso lo sventurato pellegrino. Il vapore bianco emesso dal tubo di scappamento quando fa freddo vuol dire in genere che il motore è stato acceso soltanto da poco e quindi la macchina pirata non veniva da lontano e con quel numero di targa che era il 167 ed era stato al motel Buena Vista, visto che l’aveva visto bene il pedone da travolgere. E, infine, il poliziotto disse a Sarah: Adesso ho un’altra idea che vorrei sottoporle. A cui quella compatta Sarà Benson rispondendo: Se è la stessa idea che ispiro ai miei camionisti, se la scordi. Precisa al lettore attento che con il suddetto non vuole fare né il settimo modo delle gambe incrociate né entra nella 16^ che è il rovescio della cinese, in cui Sarah si metterebbe in ginocchio, il culo sui talloni, la testa appoggiata sulle braccia, e quello che inginocchiato spinge con vigore. Ma l’altra con bagliore ainico a Torino, come se fosse Sarah Benson, sì che l’avrebbe fatta con il poeta, perché il poeta non avrebbe mai detto a Sarah Benson : Penso che lei sia tagliata per lavorare con la polizia. Le avrebbe detto: Posso portarla a cena stasera così parliamo della targa 16-7?
Sarah avrebbe avuto una breve esitazione, giusto per far stare un attimo in ansia il poeta. E poi dirgli dolcemente: Sarebbe fantastico.
Il poeta diede un’occhiata al suo Fossil col sassofono. Faceva le 5 e 45. E sorrise. Non poteva crederci: tra 41 e 45  c’è 4 e vide Sarah nel suo piacer singolare: al motel Buena Vista a Washingtonville, in Pennsylvania, negli anni cinquanta, inginocchiata sulla sponda del letto, con il culo più vicino alla sponda, teneva avvinghiato con le sue gambe il poeta al di sopra dei garretti. Lei imprimeva alle chiappe un movimento continuo o intermittente ma verticale come se la lancetta si spostasse dal 41 al 45.|Alain Bonheur




[i] Cfr. Harry Mathews, Singular Pleasures, P.O.L. éditeur 1983.
[ii] James Holding Jr., L’indizio del vapore, in: Murders on the Half-Skull, © 1970  by H.S.D. Publications, Inc. Trad.italiana in : Il delitto non paga abbastanza, Mondadori, Milano 1973.
[iii]Cfr. Les quarante maniere de foutre[1790], Librairie Arthème Fayard, 1986.

Emily Dickinson ⁞ 1756

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Emily Dickinson .1756

Twas here my summer paused
What ripeness after then
To other scene or other soul
My sentence had begun.

 
To winter to remove
With winter to abide
Go manacle your icicle
Against your Tropic Bride

 

La traduzione di Nadia Campana#

Qui la mia estate si interruppe.
Che maturità dopo
ad un’altra scena, un’altra anima…
la mia condanna è in atto:

 
trasferirsi nell’inverno,
con l’inverno abitare-
vai-incatena il tuo ghiacciolo
alla tua sposa tropicale


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Witold Gombrowicz ♦ Henia's Game

Bomb #14 ▌Mini-Lebenswelt con Jack Ritchie

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Bomb #14Mini-Lebenswelt con Jack Ritchie

 

La quattordicesima[i]è un grosso pacco quadrato che giace in un’isola di spazio vicino al deposito bagagli. Il quattordicesimo pacco negli ultimi sei anni. Le facce delle persone che si pigiano in folla dietro i cordoni a chi tocca studiarle? A Pete  e al personaggio che sta narrando. Fa parte del loro lavoro: sorvegliare se per caso qualcuno abbia un’aria più intenta degli altri. Pete, naturalmente, che è l’altro, che vede? Vede gli stessi tipi a caccia di sensazioni tutte le volte che aspettano che un idiota salti giù dalla finestra al ventesimo piano. Le corde tengono i curiosi a soli quaranta metri di distanza dalla scatola. Ed è il narratore che ha immaginato che i curiosi debbano  essere a più di 40 metri.  Il camion, con fianchi alti, che dovrebbe deviare la forza dell’esplosione verso l’alto per ridurre al minimo gli effetti, si ferma a poco più di quattro metri dalla scatola. E O’Brien e Hastings scendono dalla cabina. Sono gli artificieri e, si capisce ormai, le vittime. Difatti, in quel momento, viene individuato un tipo sospetto tra la folla dei curiosi: Pete vorrebbe bloccarlo subito, il narratore lo ferma, c’è tempo, altrimenti che cazzo narro e, piuttosto, si capisce subito, se non salta in aria O’Brien  come faccio a godermi la sua assicurazione con la giovane vedova?  “Pete già si avviava, ma lo trattenni. “Può aspettare un minuto.” Un minuto e, nel silenzio  improvviso, O’Brien si chinò sul pacco. L’esplosione fu un gigantesco boato che echeggiò e riecheggiò nella grande stazione. Il narratore sente Pete,il collega, bestemmiare, e quando esce di dietro il pilastro, s’era nascosto dietro il pilastro, l’avete capita no? Cosa vede? O’Brien e Hasting due marionette in costume che si contorcono grottescamente sul pavimento di marmo. Un minuto e l’artificiere cornuto salta in aria. Nella tavola analitica delle corna di Fourier[ii] il cornuto n.14 è il rigeneratore o conservatore: è colui che prende in mano gli interessi della comunità, e O'Brien che fa? Prende in mano, per gli interessi della comunità, il pacco, sorveglia le situazioni dei confratelli e li avverte dei pericoli che può correre il loro onore; nel frattempo non si accorge di quello che succede a casa sua…e, insomma, è evidente: noi, poi, lo leggiamo, vediamo che non aveva fatto la guardia per sé e dopo quello che gli è cresciuto in fronte gli hanno messo in mano il pacco da neutralizzare per gli interessi della comunità, mentre il narratore s’era nascosto dietro il pilastro . Il 40 è il cornuto smaliziato che alla fine, dopo aver creduto  alla virtù della moglie, è disincantato: solo che qui cosa aveva immaginato il narratore? Che si fosse a più di quaranta, 41 è già un cornuto recalcitrante, quello che fa scoppiare putiferi e trambusti, ci si mettono in mezzo i parenti, gli amici, i vicini, i colleghi. Però quello che mi ha fatto capire tutto è stata la distanza del camion con il quale arrivano le vittime designate, quel 4 è il numero del cornuto marziale e fanfarone, e O’Brien, quando scende dalla cabina, che fa?  O’Brien sorrise.”Vedo che abbiamo dei fotografi. Dovrò ricordare che il mio profilo visto da destra farà la mia fortuna.” Il cornuto marziale, che guarda te, è nel paradigma dell’artificiere, generalmente viene cornificato da qualcuno di quelli che plaudono alle sue rodomontate, e si nascondono, portano le loro carcasse un filino più in là, e il narratore e Pete tornano al loro posto di guardia, dietro uno dei grandi pilastri di marmo.
Eileen e i 3 candelotti della 14^
Poi, passano altri numeri: i 36 anni del tipo sospetto, che, in effetti, era quello delle precedenti 13 bombe, si chiama Stuart e abita nella 98^ Strada al numero 1368, dove trovano 4 candelotti, 10 detonatori, i meccanismi di 3 orologi da polso e 1 bariletto di polvere. Poi, 2 i morti, gli artificieri; 3 colpiti da schegge; 5 sono stati travolti; 7 sono i testimoni; 5 dicono che era un uomo; 2 dicono che era una donna; il sospettato viene ammanettato nella stanza 618; O’Brien era sposato da 2 anni con Eileen;  il narratore, nell’interrogare Stuart, fa la parte del buono, Pete è il cattivo; il buono dà sempre 1 minuto all’interrogato che poi confessa ma si ferma a 13, anche se con il 14 ha fatto boom e gli mettono la fotografia sul giornale, nei 13 pacchi di prima c’era un candelotto, nel 14° ce n’erano 3 , i primi 13 erano collegati agli orologi, l’ultimo è esploso appena è stato sollevato da chi doveva sollevarlo; così il narratore butta giù dalla finestra il sospettato che ha confessato e firmato tutte le copie del testo battuto  a macchina dallo stenografo.

Alle 9 il narratore arriva a casa di Eileen: “Ha confessato tutte le esplosioni, tutte e quattordici.” Eileen ebbe un lento sorriso: “Devi essere stato persuasivo”. Il narratore: c’è Pete che è un ficcanaso: “Ho preparato un altro pacco e ho fatto una visitina in casa di Peter mentre lui era via. La prima volta che il suo telefono suona, salterà in aria.” Alle 11 il narratore fa il numero di Pete. Tanto per essere sicuro. 

Ma non ne sarei tanto sicuro: l’11 è il cornuto di prescrizione: quello che fa lunghi viaggi, o indagini, interrogatori, durante i quali la natura parla ai sensi della moglie che, dopo una lunga difesa, è alla fine costretta dalla lunga durata delle privazioni ad accettare l’aiuto di un curioso o un collega caritatevole. Che, naturalmente, come l’aiuta Eileen? Ma nell’undicesimo modo del Foutre du Clergé[iii]: la dolce impalata, o l’impalata esplosiva, non si metteva sempre dietro il pilastro, il palo, il narratore anonimo? In ginocchio ma in modo che stia seduta sul sedere. E l’aiutante che ruota senza uscire dal perno. Che, poi, quando la si svolge la seduta, almeno nelle pratiche iniziali, si commuta nel quattordicesimo modo, il nuoto a rana: Eileen ormai si sdraia sul ventre e accoglie tra le cosce ben aperte l’aiutante, collega dell’attuale marito o curioso che sia, naviga e…poi il candelotto gli esplode quando lei lo prende in mano,visto che era troppo bagnato e non remava più dritto e duro. A questo punto, la signora passa al 3° candelotto, ma di volta in volta, tanto adesso non sarà più vedova prematuramente, sono i candelotti che si sciolgono subito e non esplodono con fragore; insomma , tanto per essere sicura, come chiosò il narratore anonimo, fa prima l’11° modo con almeno 2 candelotti; poi, accende il 3° candelotto per fare Bomb #14…ma mai che l’esplosione sia un gigantesco boato che echeggi e riecheggi nella grande stazione che è diventata la sua abitazione e del narratore anonimo e prematuramente imploso. # Alain Bonheur

[i] Jack Ritchie, La quattordicesima, tit.orig.: Bomb #14, copyright 1957, trad.it. in: Galateo del delitto, a cura di Alfred Hitchcock, Feltrinelli, Milano 1965.
[ii] Charles Fourier, 1772-1837: la tavola è contenuta in L’amore in Civiltà.
[iii]Foutre du Clergé de France© 1790 :Les quarante manières de foutre, dédiées au Clargé de France, Librairie Arthème Fayard, 1986.

Doreen e l’isola del Gaz | Stimmung-Twitter con Donald E.Westlake ♦

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La Stimmung-Twitter con Donald E.Westlake|Solo su un’isola deserta 1967
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2 | Doreen e l’isola del Gaz. Stimmung-Twitter con Donald E.Westlake ♦

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Lo Shut patagonico di Joan Thiele ♪

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La copia salvata di Joan Thiele ⁞ Shut Me


La formula del détour che non esiste, scrive V.S.Gaudio nella posa del caffè 28[i], dedicata a Joan Thiele, e che non è nemmeno inconscia, in realtà si trova nell’enunciato, che è stato perduto; per questo , per come lo canta Joan Thiele,  c’è tutto questo tempo perduto a ritrovarlo: infinito nel testo poetico, in cui non si può trovare nessuna cifra, nessuna decifrazione è possibile, ma solo un significato che metta fine al ciclo, scrisse Jean Baudrillard: allora questo enunciato per come ce lo canta Joan Thiele è teso tra infinito e tempo perduto , disse V.S. : l’intensità che c’è nell’ipogramma temporale di questo Blink in linea diritta[ii], teso come una freccia dall’orizzonte, suonato e cantato, è come se fosse un riassorbimento senza residuo, senza traccia, di un atomo di significante e attraverso questo dell’istanza stessa del linguaggio, che, pieno e fallico, entra nell’orecchio del visionatore: la cadenza di Save me, il suono e il tocco, che cos’è? Vien da credere, come fa sottentrare V.S. Gaudio nella posa del caffè citata, che sia quello che Jacques Lacan chiama il (-φ), che è sia il (-φ) di Joan che il (-φ) del visionatore, ma se Joan glielo canta a chi entra il (-φ) dall’orecchio? E’ una obbligazione simbolica, scrive ancora V.S. Gaudio: c’è questa corda tra l’ipogramma sonoro e l’anatema che non può che essere sospinto, suggerito, fatto sorvolare, dalla voce di Joan Thiele: il poeta, nella sua posa del caffè, vede il Blink patagonico, in linea diritta, all’orizzonte piatto, fors’anche addirittura nel delta del Saraceno, ammesso che, con quel reale, si possa, in quella Umwelt dov’è è rintracciabile anche il (-φ) delpoeta, permettere al visionatore di percepire la patagonica dell’immagine, figuriamoci se l’immagine deve, come in questo caso, essere vista come suono e voce: una girata, la ruota, una sfregata, un sussurro, anche i tasti della macchina per scrivere, il tocco, e lo sguardo rapido tra orecchio e il battere le palpebre, l’ammiccare fino a che il gaudio ascende al meridiano, per poco il poeta non è arrivato a indicare le 40 shut-eyes, che ci sono nel testo che lui nella posa del caffè 28 ha citato: La Ragazza di Göteborg; quella siesta notturna in viaggio e la posizione supina, con il piede della ragazza che era nell’esagramma Fongla prima linea, la prima linea della “copia”, o dell’”abbondanza”, che quantifica in un certo senso le prestazioni di quello che sarebbe stato il fantasma irreprimibile, questa parte maledetta, anatema svedese per l’uno e attrattore strano, anatema ionico per l’altra, insomma anche dentro Save Me c’è la ragazza supina  che è in viaggio, e le strizzate d’occhio,  nel paradigma della patagonica della voce e del tocco che si fa fantasma irreprimibile, come la Ragazza di Göteborg, e le shut-eyes, tutto speculare alla Traumnovelle(1931) di Arthur Schnitzler, che ha dato origine a Eyes Wide Shut(Warner Bros,1999), il film incompiuto di Stanley Kubrick: la chiave del détour è definitivamente perduta, come quella del desiderio; il visionatore – sì, il visionatore, lo ripetiamo: le canzoni di Joan Thiele sono per l’orecchio del visionatore- vive della trappola che tende all’altro, ed, essendo il mondo una trappola che funziona perfettamente, l’alterità non è altro che il segreto della forma e della singolarità dell’evento dell’altro: Joan Thiele è come se fosse segreta a se stessa; la volontà del visionatore diventa segreta a se stessa: il dubbio sulla realtà del nostro piacere rimane, quello dell’altro, che, in questo caso, canta, sembra che sia meno aleatorio. L’obbligazione simbolica ha questa forma enigmatica di connessione e di sconnessione: il proprio desiderio è nella voce di Joan Thiele, che chiude un occhio su qualcuno, “wink at st” vsstrizza l’occhio a qualcuno, “wink at sb”, in verità non chiude occhio, “not (get) a wink of sleep” e si fa il gaudio fino all’alba, come la Ragazza di Göteborg, e quando arriva alla fine del viaggio afferma candidamente: “I was a sleep when it happened”(dormivo quando è successo), ammesso che sia successo qualcosa.
byBlue Amorosi


[i]La posa del caffè e la psicanalisi 28, in “pingapa”.Tutti i rimandi alla Ragazza di Göteborg sono rintracciabili in questa puntata della posa del caffè.
[ii]V.S. Gaudio, nella posa del caffè 28, fa la divagazione come visionatore nell’orecchio di Hotline Bling.


L'isola e l'oggetto d'amore affogato ⁞

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Jim Kilbride  vs  Jim Kilwhore
Mini-Lebenswelt con Donald E. Westlake vNon è detto che non ci sia davvero quest’isola[i], anche per via del fatto che, poi, quanto tempo fa?, ne abbiano  fatto il locus di un serial televisivo dal titolo “Lost”. Su “Lost”, a un certo punto, stava per chiudersi definitivamente una serie, e allora il poeta  ci scrisse sopra qualcosa, e, intanto, ne prese un estratto e lo mise a mo’ di “commento”[ii], che non è termine giusto, uno non può fare una pernacchia nello spazio chiamato commenti e la pernacchia o il peto-scritto, anche il vomito, a volte, si chiama “commento”, chi l’ha detto? Insomma vi fanno una rete, con  i quadrati prestabiliti, e, pling, voi vi ci impigliate, come degli uccelli o dei pesci, ecco perché a volte i polli sanno di pesce e i pesci, per quanto il baccalà sia uranico, sanno di cherosene. Dunque: prese questo estratto e lo mise in questo spazio chiamato “commento” in un post dedicato a “Lost”, e, poi, venne nella rete uno di quelli che chiamano “troll” e che Sgarbi chiamerebbe in modo più appropriato “capra” e disse che non aveva capito niente, e allora, gli fu risposto, che cosa c’è di strano? Non guardi “Lost” perché non capisci niente, o lo guardi perché, essendo stupido e ignorante, non capendo niente, senti che, stando sull’isola, chi vuoi che se ne accorga che sei uno stupido, una capra?

Esiste una barzelletta quasi intramontabile che inizia con la frase:”Ci sono due uomini su un’isola deserta.Uno di loro dice…”. E segue una battuta. La cosa può essere divertente perché si svolge tra due, ma nel caso di uomo solo, o, meglio, di un capronesolo, su un’isola deserta?  Jim Kilbride era solo su un’isola deserta. L’isola faceva parte di un gruppo di quattro, al centro del Pacifico, a sud delle rotte percorse dalle navi. Anche quelle delle crociere. Quella sulla quale si trovava Jim Kilbride era la più grande delle quattro isole, metti che nell’arcipelago di Malta, che ha tre isole, Jim stava nella più grande che ha il nome portoghese di Malta, e non è disabitata, anzi ha una densità piuttosto alta e non parlano portoghese. Che cazzo c’era andato a fare Jim su quell’isola deserta? Perché non era andato a Malta e, se proprio voleva stare un po’ da solo perché non era andato a Ghawdesh, che chiamano, sempre per via del portoghese che non parlano, “Gozo”, che, rispetto all’isola principale, come densità sembra che uno possa pensare di essere finito a Ushuaia, passando semplicemente dal canale di Sicilia? C’era finito per tutta una serie di avvenimenti strani e di desideri mal compresi. E anche perché uno così, se non è una capra, è un asino, a meno che non sia un provetto nuotatore che non ne può più del cellulare e di internet e in più qualsiasi tipo di ruota gli fa pensare immediatamente alla circolarità, e quindi alla banalità, del Dasein. Detto così,  per uno come Jim, che poi, come dice il narratore, è basso ed è ragioniere, con tutta l’aria del ragioniere, impiegato in una piccola industria tessile di San Francisco, è non comprensibile anche per un ingegnere, che, si sa, è con la ruota che fa muovere il suo conto in banca, fosse anche un semplice credito cooperativo  o una delle casse di risparmio recentemente salvate dal ragioniere di Bilderberg chiamato a  fare le riforme dell’acronimo della tassa dell’immondizia e perciò capo del governo di una cosiddetta nazione industrialmente avanzata , e anche con le banche è avanzata parecchio.

Insomma, questo ragioniere si è rotto il cazzo , si compra una barca e vuole andare su quell’isola, e sbaglia l’entrata o l’uscita non si sa quante volte, non conoscendo le regole della navigazione, e questo non è da ragioniere, si vede che già non c’è più con la testa, il giovanotto; poi,  di notte e con l’aiuto di una tempesta, raggiunge l’isola.  Il narratore dice subito che sopravvisse. Il narratore, pure, se l’è andata a cercare la cazzata, e quindi, come prescrive il teorema di Bachman sull’ineluttabilità[iii]? Più alto è il costo della realizzazione di un progetto, minore è la possibilità di abbandonarlo, anche perché adesso sei senza barca, e anche se nel corso della realizzazione ci si accorge che non serve a niente, come per i serial  tipo “Lost”: a un certo punto, partito con un costo altissimo che deriva, come dice il corollario, dall’altezza di prestigio di chi ha fatto il progetto, non puoi abbandonarlo, in questo caso l’autore del racconto aveva preso un qualche acconto e, dopo che se l’era prosciugato a birre e hamburger, doveva pur consegnarlo il dattiloscritto, anche se  aveva dovuto mandare quel povero fesso di Jim a dare i numeri da solo su un’isola sperduta in mezzo al Pacifico.
Un ragioniere che va su un’isola deserta è perduto, innanzitutto scopre che non può compilare la dichiarazione dei redditi di tutti quei miserabili pensionati suoi clienti e questo, adesso che non ha un cazzo da fare dalla mattina alla sera, ed ha perso nel naufragio anche le scarpe, lo deprime molto, difatti si  accorge che non c’è più con la testa quando va all’ufficio demografico a dire che nel naufragio ha perso i documenti e vuole o la carta d’identità o un certificato di residenza, solo che lì gli rispondono che cosa fa, che cosa ci scriviamo a professione? Ragioniere, fa il povero Jim. E quelli: Ma lei dev’essere scemo, come pensa che possa esserci l’attività di un ragioniere su un’isola deserta? E allora che ci metto? Fa, costernato Jim.  Giacché parlo da solo e faccio anche l’ascoltatore, ci possiamo scrivere che faccio l’ascoltatore? E quelli a ridere: ma lei si vede che se l’è vista brutta nel naufragio, la tempesta dev’essere stata terribile! Sentite, gli fa sovrappensiero: a un certo punto Doreen non mi parlava più perché  avevo smesso di scrivere, nella mia testa, non ci sono penne e carta su quest’isola, il libro che avrebbe fatto di me qualcosa di più del semplice ragioniere che ero sempre stato e che voi, adesso, che non lo sono più essendo l’isola priva anche di codice catastale, non essendoci un solo abitante; ecco, se voi, gentilmente, ci scriveste sulla carta che sono scrittore, magari Doreen mi parla e io non l’affogo, quella troia! E quelli: ma lei ci prende per il culo? Ma se lei si aggira per l’isola recitando ad alta voce le parti già terminate del libro? E per mesi non ho mai visto una nave, né un aereo, né una faccia umana, voi dite che Doreen è semplicemente quello che Jacques Lacan chiama fantasma per tenere a bada il mio oggetto “a”? Doreen Palmer, a vederla, la donna che non ho mai incontrato e che ho sempre desiderato di incontrare. E quindi se non ha un’immagine di riferimento come fa a fantasmarla e poi a menarselo per il suo gaudio singolare?- sbottarono quelli con l’aria annoiata. Facevamo delle passeggiate e le mostravo l’isola, ogni granello di sabbia, ogni ramo d’albero, ogni cespuglio e ogni uccello. E quando a volte sull’isola piombava una tempesta che la sferzava implacabilmente con rabbia insensata, Doreen mi si stringeva contro al riparo di frasche, coi capelli biondo miele che mi sfioravano la guancia, il fiato caldo di lei che mi carezzava la gola e…
E?- fecero in coro quelli. Glielo faceva….
E aspettavamo così che la tempesta passasse, stretti l’uno all’altra, abbracciati, avvinti, con gli occhi fissi sul fuoco scoppiettante, sperando e…
E?-fecero in coro quelli. Spingendolo…
Sperando e pregando che non si spegnesse.
E invece si spense due volte, dissero in coro quelli, e lei dovette sprecare dei fiammiferi preziosi per riaccenderlo. A proposito: e poi finiti i fiammiferi com’è finita la storia con ‘sta Doreen Palmer? L’avete fatto al buio?
Doreen, disse Jim, un giorno mi disse che non avevo più scritto un capitolo da quando era arrivata lei, e io le risposi: vorrei scrivere, ma non posso, come posso farlo se prima non mi faccio un documento in cui si dichiara che sono scrittore?
E lei cosa rispose? Chiesero quelli.
“Ti amo” rispose lei, e io la presi tra le braccia e , giacché prima mi aveva fatto incazzare, la perdonai.
E?- fecero in coro quelli.
E…come ve lo devo dire? Anche su un’isola deserta, c’è un sacco di gente che si comporta secondo le regole, pur non sapendo chi le ha scritte, quando, perché e nemmeno che regole sono.
Ma questa è la Quinta Legge di Loftus[iv]! Esclamarono in coro quelli.
Sì, la legge è quella, ma le cose non erano più come prima, Doreen diventò sempre più petulante, sempre più esigente, assomigliava sempre più a mia madre, specialmente negli occhi, che erano diventati più duri e meno azzurri, e pure la voce, che si fece sempre più acuta e snervante. E poi rompeva il cazzo con quel benedetto libro, manco fossi un comico della tv commerciale di una nazione europea negli anni a venire che, invece di far ridere la platea, si mette a scriverle  le cazzate che dovrebbero servire a  sollazzarlo il popolo, chi cazzo voleva scriverlo più quel libro del cazzo, io ormai sono un avventuriero, un navigator di mari, un abitante del Pacifico centrale, mica sto a Malta o vi porto le ritenute d’acconto che avrei dovuto far versare all’esattoria della città del mio editore, io sono invidiato dai poveri e patetici ragionieri di tutti gli uffici, anche quelli delle imposte dirette e indirette, del mondo, e soprattutto sono perfettamente capace di uccidere.
E quindi che ci mettiamo come professione?- chiesero in  coro quelli. Scrittore o Lafcadio, che fa figo e rinvia a Gide?
Io avrei voluto scriverlo il libro, e fare lo scrittore, solo che voi invece di scriverlo sulla carta che sono scrittore, la tirate di qua e di là, e allora io sto libro del cazzo non lo scrivo più e non me ne fotto nemmeno del Lafcadio e di Gide, non ce la faccio più, disse Jim, e si mise a sedere.
Gli impiegati non sapevano che pesci prendere, e allora uno, pensando all’isola e all’oceano, gli venne da dire: Ma non andavate a nuotare insieme, con tutta quell’acqua mai un bagno?
Ma come no? Nei primi giorni, stavamo sempre in acqua, non lontano dalla spiaggia perché lì è pieno di squali. Poi, con la storia del libro, è finita pure la stagione dei bagni. Un giorno, però, con disinvolta noncuranza, le ho proposto di fare una nuotata e il bello è che la stronza ha accettato immediatamente, ci siamo spogliati e via di corsa in acqua, ridendo e tuffandoci felici, come ai bei tempi, le diedi una calata, e poi un’altra, e poi la tenni sotto, vediamo se ‘sta  zoccola da sotto  ricomincia a rompermi il cazzo col libro, è questo che volevo dirle: e  come cazzo me lo pubblico il libro se non ho più una lira? Ti metti tu a fare marchette o fai una serie di “Lost” pornografico  e con quello che prendi ci facciamo prima sto libro delle mie avventure sull’isola  e poi un altro sulle tue avventure sull’isola?
E come- fecero in coro quelli- se l’isola è deserta?
Jim li guardò uno per uno con calma: Ma siete proprio scemi, ma davvero credete che uno si mette su una barca e va a naufragare su un’isola deserta e poi arriva quel pezzo di gnocca di Doreen e si mette a mangiare, un giorno sì e l’altro pure, sempre  e solo pesce arrosto?
Beh…-fecero quelli in coro.
Beh: in verità sull’isola non c’era un solo pesce, a pagarlo a peso d’oro, ma…
Ma…fecero in coro quelli.
Ma siete proprio scemi, disse Jim: ma davvero credete che uno va su un’isola deserta, arriva ‘sta zoccola, quello non scrive più il libro senza penna e fogli, non passa una nave, nemmeno di quelle da crociera che vanno sempre a rompere il cazzo a Venezia,  e poi un giorno s’incazza e le fa una terza calata e lei lotta, si dibatte, ma contro le braccia dell’ex ragioniere che avevano sviluppato muscoli d’acciaio non può fare niente, e quel cornuto la tiene giù, sotto, finché la resistenza di lei vada affievolendosi sempre più fino a cessare?
E poi? fecero in coro ancora quelli.
Insomma, quello che doveva scriverlo il racconto[v], per via del fatto che poi lo presentava Alfred Hitchcock,  per questo c’è il teorema di Bachman sull’ineluttabilità, fece arrivare sull’isola una piccola barca, messa in acqua da una grossa nave grigia e mi salvarono, mi portarono sulla nave e una parola tira l’altra, non vado a spifferare tutto al capitano che lì sull’isola c’era Doreen Palmer, e quello: Dov’è ora? E io: e che cazzo ne so? Si starà facendo il bagno, quella troia, sempre a rompermi il cazzo col libro, e lei si faceva tutti i pesci dell’isola.
E allora Doreen è morta!- fecero in coro quelli dell’ufficio demografico.
Ma allora siete scemi, fece Jim, certo che è morta, l’ho affogata e il suo corpo è finito ai pesci.
Quelli lo guardarono sbalordito, alla fine uno proruppe: ma allora è fatta, anziché  a Jim Kilbride la intestiamo a Jim Kilwhore, così non ha  più l’obbligo di scrivere il libro e, quindi, noi siamo liberi di darle come professione quella di comico, e così di sicuro , da qui a qualche lustro, la prenderanno anche al “Drive In” fatto da quella tv commerciale di quel  famoso  palazzinaro che sarà poi fatto cavaliere ma che faceva navigare i diritti anche lui verso isole non tanto deserte.#Alain Bonheur


[i] Cfr. Donald E.Westlake, Solo su un’isola deserta, in: Hard day at the scaffold, H.S.D. Publications.Inc. 1967, trad.it. in: Scorciatoia per il patibolo, presentazione di Alfred Hitchcock, Oscar Mondadori 1968.
[ii] Leggilo qui su winnicott:L’ultimo episodio di Lost ; integralmente leggilo su pingapa, dove è uscito due anni dopo: Lost, un contro-spazio senza libido.
[iii] Il teorema è nel Murphy’s Law Book Two, © 1980. E c’è pure il corollario.
[iv] Anche questa Legge è nel secondo libro di Murphy.
[v] Donald E. Westlake.

3| Doreen e l’isola del Gaz. Stimmung-Twitter con Donald E.Westlake ♦

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3| La Stimmung-Twitter con Donald E.Westlake|Solo su un’isola deserta 1967





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4| Doreen e l’isola del Gaz. Stimmung-Twitter con Donald E.Westlake ♦

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4| La Stimmung-Twitter con Donald E.Westlake|Solo su un’isola deserta 1967

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Armando Adolgiso ⁞ Bel colpo Callaghan!

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Scommettiamo un Campari che ho  scritto tanti anni fa un giallo quando non andava di moda?… mica come adesso dove gli italiani si sono scoperti a un tratto tutti scrittori di gialli. Il numero dei giallisti, oggi, rischia di essere superiore a quello degli evasori fiscali… quella mia lontana cosa la scrissi…1984?... 1985?... purtroppo non ricordo con precisione, su invito di Lamberto Pignottiper una piccola antologia che girava tutta intorno alla figura di Don Giovanni… ricordo che il mio nome appariva insieme con quello di Lamberto, Dacia Maraini, Edoardo Sanguineti… roba grossa. La recitò per primo Alfio Petrini. Poi, per due ‘estive’ la Compagnia “La mosca al naso” usandolo come intermezzo. E’, infatti, una sorta di ‘corto’ teatrale.
Il personaggio in scena è
Slim Callaghan (detective privato ideato da Peter Cheyney, padre anche di Lemmy Caution), impegnato in un'indagine che io stesso gli affido: sapere chi è Don Giovanni. Callaghan, più tonto del suo nuovo autore, non s’accorge di fare un'inchiesta letteraria e, trascorrendo fra personaggi di cellulosa, racconta la vicenda con il linguaggio dei "duri", tipico delle pagine hard boiled. 
Riuscirà a sbrogliare la matassa?... 
Come dite?... leggerlo?!... no, è tardi. Sarà per un’altra volt… m’offrite una birra alta?... vabbè… non posso rifiutare.



BEL  COLPO  CALLAGHAN!
intermezzo in 5 strisce
NOTE DI REGIA
Slim in scena indossa un impermeabile bianco da troppo tempo non lavato; in testa, un cappelluccio dalle falde corte.
Mani sprofondate spesso nelle tasche. Voce arrochita dall’alcool e dalle sigarette.
- La scena è un fondale tutto giallo con al centro un largo semicerchio contornato di rosso, è insomma la classica copertina dei famosi “gialli Mondadori”.
Dietro quel cerchio agisce Slim, illuminato da luci che evolvono e dissolvono a inizio e fine episodio...
- Per le  musiche: qualche lento di Elvis Presley.
Forse “Love me tenderly”, forse “Summer Love”.
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VOCE FEMMINILE FUORI CAMPO
(Al buio mentre le luci in resistenza illuminano la scena. In S.F. la voce di Elvis Presley)
- Slim Callaghan è un detective nato dalla penna del giallista inglese Peter Cheyney, ex investigatore privato poi giornalista e romanziere, nacque nel 1896 e morì nel 1951.
E’ autore anche del celebre investigatore Lemmy Caution.
(Le luci illuminano ora pienamente Slim immobile. Sfuma la canzone di Elvis Presley.
Solo allora l’attore si muove ad animare quella che sembrava una fotoriproduzione)

SLIM – (lentamente, come a constatare amaramente  di esistere, purtroppo per lui) 
Sono Callaghan... Slim Callaghan... professione: investigatore privato... privato... privato sì, ma del lavoro! 
Così mi dicevo quella sera nel mio ufficio pensando ai clienti che non bussavano alla porta, né facevano squillare il telefono da tanto tempo... da ben prima che non pagassi l’ultimo affitto e l’ultima bolletta, cioè vale a dire... da molto tempo!
(si vivacizza appena un po')
Per scollarmi di dosso la tristezza uscii e m’infilai nell’unico bar dove mi facevano ancora credito, e ordinai il mio solito gin fizz che a me piace con molto gin e niente fizz.
Là certa gente faceva cagnara intorno a uno che festeggiava una vincita modesta al totonero... lo conoscevo quello lì e non mi stava simpatico.
Si chiamava Adolgiso, uno scrittore che viveva d’espedienti letterari.
E letterali, naturalmente.
Gli lanciai un’occhiata di traverso per fargli capire che lo gradivo quanto un diretto di Mike Tyson al mio plesso solare. 
Lui scese dal trespolo e venne verso di me.
Doveva aver bevuto, come al solito.  E parecchio, come al solito.
Sperai volesse attaccar briga dandomi la possibilità d’offrirlo come cliente al pronto soccorso notturno, ma avvicinatosi mi disse con voce strascicata: “Devi aiutarmi Slim. Mi sono cacciato in un pasticcio”... mi allungò un biglietto, c’era scritto: Giovanni Tenorio detto Don Juan.
Quel nome mi ricordava solo un allibratore spagnolo che di recente era stato un po' freddo con me: perché stava da 36 ore sul marmo dell’obitorio con un cartellino appeso all’alluce destro.
Il secondo biglietto che mi allungò Adolgiso fu più comunicativo: un biglietto da cento, ed era - mi disse -  solo un anticipo.
Commosso, mi predisposi ad un ascolto che già immaginavo penoso; per mandarlo giù meglio, ordinai, a spese di quel tale, un gin fizz che a me piace con molto gin e niente fizz... ma questo ve l’ho già detto.
“Voglio sapere chi è effettivamente questo personaggio, questo Don Giovanni Tenorio detto Don Juan  - disse il mio nuovo, ed unico, cliente -  Devo buttare giù quattro cartelle per un giornale e non so dove andare a parare. Fammi sapere che cosa si cela dietro di lui, quale metafora nasconde...” .
Fummo interrotti dall’arrivo di un’amichetta di Adolgiso, sua degna compagna: doveva averne sniffato un vagone: agitata, occhi lustri, tirava su dal naso ogni tre secondi.
“Raffreddata, eh?”, dissi ironicamente.
La sua risposta non fu proprio da educanda. Infatti mi abbaiò: “Fatti i cazzi tuoi !”
Seguii il consiglio.
Uscii.
Fuori l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e me ne andai a casa.
A Don Giovanni Tenorio, detto Don Juan, avrei pensato l’indomani.

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Le luci dissolvono mentre Presley va in PP. 
...love me tenderly, love me soft...
Poi le luci risalgono in resistenza sul semicerchio dove si trova Slim e la canzone dissolve.
Così anche per gli altri stacchi che seguiranno

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Fu un musicista di terz’ordine, di origine tedesca, che suonava il piano in un  locale a luci rosse, “Il flauto magico”, da lui stesso gestito, a darmi la diritta che mi permise d’imboccare una certa pista. 
Quel musicista  - diciamolo così  più per intenderci  che per qualificarlo -  quel musicista, dicevo, non ho mai capito se si chiamasse Wolfgang oppure Amadeus, ma forse entrambi i nomi erano falsi e chissà che tipo di  storia  si celava  dietro  quel suo doppio nome usato forse per nascondersi meglio... così fan tutte... queste creaturine immigrate dalla coscienza sporca !
Insomma Wolfgang, o Amadeus, o come diavolo si chiami, mi soffiò qualche nome.
Cominciai da un certo Leporello, lo pizzicai in un’osteria e me lo lavorai.
Volevo da lui i nomi delle sgàrzole di quel Don Giovanni. (Sorridendo compiaciuto)
Dovette scambiarmi per uno di madama, perché disse: “Madamina, il catalogo è questo”.
Sbirciai la lista: ne aveva sbattuto di pupe quel tipo: in Italia 640, in Almagna 231, 100 in Francia, in Turchia 91 e in Ispagna  - notai -  1003!
Potevo mai fare il giro di tutta quella manica di donnine?
Certo che no Slim, mi dissi, manco la buoncostume al completo ci riuscirebbe!
Confidando nella mia buona sorte, ne scelsi due a caso.
Per prima toccò alla pescatrice Tisbea.
Mollai Leporello.
Fuori dell’osteria l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e m’incamminai.

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La pescatrice Tisbea era una di quelle svèntole che non si scordano.
Non si fece pregare troppo per parlare e m’offrì pure un’ostrica.
Di Don Giovanni Tenorio, detto Don  Juan, aveva un pessimo ricordo.
Seppi da lei che all’epoca della tresca  gli aveva anche rivolto un verso che faceva così:  molte cose dite quando non parlate, ma, presto scoprii che quelle parole poetiche non erano proprio un complimento... volevano dire ch’era meglio lo spagnolo tacesse perché era una frana a sentirlo.
“Don Giovanni” - si accalorò la mia sirena, mentre eviscerava una spigola – “deve la sua fama solo alla scrittura di Tirso di Molina che ne fece col suo stile il simbolo della corruzione licenziosa di tutta un’epoca”.  
Poi la pescatrice, forse per deformazione professionale,  mi sussurrò all’orecchio: “Nella vita era un baccalà”.
Dopo questa ittica battuta tacque ed io mi sentii rimescolare il sangue a vederla trafficare con le mani su di un pesce, e per evitarmi un processo per violenza carnale, decisi d’andarmene e così feci.
Volevo incontrare adesso una tizia chiamata Zerlina.
Fuori della pescheria l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e mi mossi.

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Zerlina era sposata con un certo Masetto, abitavano in periferia.
Ci arrivai di notte e dalla loro casa a pianterreno sentii provenire gemiti e colpi.
Impugnai la 38, sbirciai attraverso una persiana e vidi cose da film vietato ai minori: lei, nuda, i polsi legati al letto, mentre lo sposino le lavorava la schiena a cinghiate muovendo il braccio come un driver di trotto al rush finale.
Ansimando di piacere lei diceva  Batti batti o bel Masetto la tua povera Zerlina / starò qui come agnellina le tue botte ad aspettar. 
Con un calcio spalancai la porta e piombai sui piccioncini.
Vi risparmio i particolari.
Vi dirò soltanto che la pervertita signora, in risposta alle mie domande, piangendo confessò che Don Giovanni doveva tutto alla penna di un italiano, un certo Lorenzo Da Ponte che ne aveva fatto col suo stile il simbolo d’una umanità inquieta ed estrosa, perché lui, Don Giovanni, in realtà era più deprimente d’una emicrania e più noioso d’una lezione televisiva sui sulfamidici. E lei, fuori delle pagine della storia che aveva avuto con lui, manco d’uno sguardo l’avrebbe mai degnato, fosse stato pure il solo paio di calzoni in giro su questo dannato pianeta chiamato Terra.
Andai via e sentii che avevano ripreso il loro lavoro.
Lei godendo strillava  Lascerò straziarmi il crine, lascerò cavarmi gli occhi / e le care tue manine lieta poi saprò baciar. 
Tutti i gusti son gusti, pensai, ma quella scena m’aveva lasciato le labbra secche e la lingua come carta assorbente e insomma necessitavo di un gin fizz che a me piace con... vabbè, lo sapete già.
Fuori di quella casa l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e misi in moto le fette.

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Per un giorno intero, fra un bicchiere e l’altro, trafficai duro col mio cervellino sulle parole delle due pupe concordi nel definire Don Giovanni un buono a nulla, ciascuna rimandando allo stile d’uno scrittore il merito dell’interesse suscitato nel mondo da quella canaglia.
Ora sapevo dove andare, anche se il luogo non era dei più rassicuranti, uno dei posti più abietti della città: la Biblioteca Nazionale.
Siete mai stati laggiù?... no?... avete fatto bene!
E’ un incrocio fra il carcere ed il manicomio, infatti ci stanno rinchiusi autori d’ogni risma e paese, ciascuno con le proprie storie più nere dell’inchiostro.
Gli uscieri sono ceffi reclutati fra i peggiori fuorusciti dalle frontiere dei concorsi comunali e hanno per Direttrice una tipa che se quel talentscout di zio Adolfo coi baffetti a spazzolino l’avesse conosciuta in tempo, l’avrebbe messa a dirigere un lager!
Lì è possibile incontrare solo quattro reclusi per volta, ma con una buona mancia ottenete ciò che volete...
Sul registro bisunto scelsi dei nomi di autori lì detenuti che sapevo avevano incontrato Don Giovanni in più d’un angolo di carta della loro opera criminale e passai il fogliettino a uno sciancato custode che mi guatò con il solo occhio che aveva ma che ben trasmetteva da solo anche l’odio dell’altro faro mancante.
Ve la faccio corta.
Parlai infine con quei tipi che, lì dentro da secoli, avevano in passato trafficato con il mio angioletto, detto Don Juan.
Ciascuno, secondo il proprio sporco stile, mi fornì, un diverso ritratto di quel bastardo d’uno spagnolo. 
Per un  inglese dall’aria affranta di nome Byron, Don Giovanni era un seduttore sedotto.
Per un russo tabaccoso, tal Puskin, era un romantico spadaccino.
Per un certo Giovanni di  Zamora, era un allegro spaccone.
Per quell’ubriacone del tedesco Hofmann, era un tipo anticlassico e faustiano.
Per il bigotto Unamuno, era una giovane forza esistenzialista.
Per il famigerato Josè Ramirez Ruiz, detto Azorin, era solo un tipo paterno e vecchio.
Per il misogino Bernard Shaw, era un perseguitato dalle donne.
Per i pittoreschi e tonti fratelli Quinteros, era proprio un galantuomo e basta.
Per l’allucinato Lenormand, era soltanto uno spiritista.
Per  Apollinaire che farneticava agghindato come un ex combattente al raduno, era un simultaneista.
E mi fermo qui perché ho la gola secca e voglio proprio un goccetto.
A dire la verità avrei parlato volentieri anche con un certo Moliére, ma era morto - mi dissero - mentre recitava la quarta replica del suo “Malato immaginario”. Altro che immaginario, pensai, quello lì un po' maluccio doveva starci per davvero se ci aveva così lestamente rimesso le cuoia!..
Però, anche senza Moliére, ora sapevo la verità. (lentamente, ragionando)
Don Giovanni, nascosto a lungo, nei bassifondi della creazione orale dove era nato, una volta diventato Scrittura, era clandestinamente emigrato nel paese dello Stile e proprio dello stile era diventato metafora facendone uno sporco traffico... lo stile!... quello stile che intossica e danna tanti sciagurati scrittori che ne diventano dipendenti lungo nere piste d’inchiostro sprofondando in un destino infernale! (sospirando) Lavoro concluso Slim, mi dissi, e tristemente pensai che ora avevo tanti impegni da poterli scrivere su di un coriandolo!
Bel colpo, Callaghan!
Non mi restava che spiattellare quanto avevo scoperto ad Adolgiso, sperando di trovare lui e la sua ganza meno fatti del solito, nel solito bar...
Fuori della Biblioteca Nazionale l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e mi avviai.

(PP di Presley, le luci dissolvono mentre Slim volta le spalle al pubblico
e si allontana andando incontro alla sua prossima avventura)

F I N E

fromalienbar
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