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Quelle che la Bianca Deissi ⁞ La Verde Deissi

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La Verde DeissiR
Verde la deissi indica che la frugalità è finita, stando così seduta e indicando il (-φ) sta indicando che l’amore romantico è sì una cosa meravigliosa ma anche che non si può volere qualcosa nel più profondo dell’esserci senza  starci seduta sopra indicandolo.
L’anamorfosi, voi sapete cos’è, e saprete anche come la interconnette Lacan con il (-φ) ; e qui vediamo che quella che la Bianca Deissi, nonostante sia fantasmata nell’anamorfosi dal visionatore, è quello che sta indicando, la Verde Deissi, che ha sempre la parte alta pesante e oltremodo mesomorfa e la parte bassa, è questo che indica il (-φ), vuole star seduta sul deittario.
Quando quella della Verde Deissi si mette la camicia verde, e con i jeans a fior di pelo, e sotto non sappiamo che  color di seta abbia indossato, la prateria sta nell’occhio di chi guarda e se chi guarda ha la vista difettosa sicuramente sarà destinato ad essere il visionatore che, nei piaceri singolari del poeta che non sono come quelli d’amore che durano solo un attimo, destinerà infinitamente il (-φ) alla pulsione  deittica di quella della Verde Deissi.
Quando quella  che sarà quella delle cibberne verdi vuole  andare lassù in altitudine per il palo, che è l’orizzonte, su cui vuole saggiare la consistenza del (-φ) che alimenta la sua pulsione deittica, allora quello è il tempo della Verde Deissi, in cui tra la componente “situazione”, che è territoriale, e “attende”, che è temporale, la verde soma finirà con il diventare l’oggetto “a” irredento del visionatore e l’oggetto “a” patagonico del deittario, quello che, lì, in montagna, le aveva innalzato al meridiano il suo (-φ) affinché lei lo indicasse. La deissi, in effetti, indicandolo, copre, nasconde l'indicato, il deittario che lei vede in tutta la sua deittica presenza fantasmata.


Il Diavolo e la Carriola, Marchingegno e i Testi di poesia |

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via Di Palma con la Coin quando c’era a Taranto
Quella faccenda dei 15000 dollari che il marinaio semplice dovrebbe trovare per poter sposare Selma è davvero Heimlich, già dal titolo capisci che uno che parte dal 15 per sposarsi con una “collega” del Wave si è alzato non solo col piede sbagliato. Basta un’occhiata a quella biondona per capire che non erano fatti l’uno per l’altra:lei è uno schianto, che riempie l’uniforme in ogni piega, con in più questo gran bel magnetismo animale che attira il narratore-pollo, che pensa di essere dello stesso genere : “Siamo in effetti due campioni splendidi. Io sono bello e sveglio e lei è”[i], appunto, quello schianto che riempie l’uniforme, un po’ come avrebbe visto fare, il visionatore, guardando il giro d’Italia di ciclismo alla Tv, a una poliziotta stradale seduta lì davanti alla telecamera , e al visionatore, nel dopo-tappa delle chiacchiere e degli spazi pubblicitari.
“Harold – così si chiama l’ex macchinista di prima classe in aviazione e ora marinaio semplice- tu sei ancora un marinaio semplice. Come posso sposare un marinaio semplice?”: e poi: “Lascia stare quello che eri. Ho saputo che gestivi una distilleria a Johnstone Island, e che facesti fallimento e riparasti in marina. L’intera base conosce la tua carriera. Se sposo un uomo, dev’essere sistemato e solido come un macigno. Voglio una casa e dei figli, e i soldi per avviare il matrimonio.”
E il pollo: “Quanto ti serve? Ti bastano diecimila? Posso metter mano a un’operazione proprio qua alla base…” E Selma Litts:”Ci risiamo con gli espedienti. In primo luogo, voglio più di diecimila. Una volta diecimila bastavano, ma i prezzi aumentano e gli immobili son saliti alle stelle. No, occorrono quindicimila dollari. La mia ferma finisce tra poco e se abbiamo quindicimila dollari ci sposiamo.”
Con 15 non ti sposi con Selma! v
Mini-Lebenswelt con Michael Brett |
 
Così stavano dunque le cose lì nei gabinetti delle WAVE[ii], con il narratore che la teneva stretta e lei che fremeva e diceva:”Piantala, Harold. Non hai nessun diritto”. E, l’avessimo visto al cinema, tutti in platea a dire: forza Harold, non fare il pollo, piantagliela, sta fremendo, no? Il diritto non vale 15.000, e invece lui, Harold: “Già, lei proprio così la metteva. Stavamo per sposarci e io pensavo che certi diritti me li concedesse. Invece.”
I diritti sono un po’ come il diritto d’autore in Italia, ancora oggi, figuriamoci nei decenni dopo il tempo della storia di Harold e di Selma: il poeta ricorda spesso come, a un certo punto, pensasse di aver diritto di pubblicare in una certa collana di poesia, dov’erano usciti poeti di una certa consistenza, anche se molti in linea con partiti o schieramenti ideologico-amministrativi statali o parrocchiali, intanto incontra il coordinatore della collana che, manco a farlo apposta, sembra annunciato da Michael Brett quando parla, all’inizio del racconto, dell’amico istruito di Harold che si chiama Marchingegno (Washburne): l’interlocutore del poeta era uno che proveniva dalle Marche anche se si incontrarono a Bari, nel parco o giardino che sia, tra la stazione ferroviaria e via Sparano[iii], e insomma come Marchingegno arriva a dare una mano ad Harold che ha trovato 30.000 ma è naturalmente in un vicolo cieco, e Marchingegno gli dice: 15.000 a te e 15.000 a me, capisci, minchione? Marchingegno ha un modo tutto suo di parlare, però Harold capisce 15.000, la metà di 30.000; il calcolo è facile, non c’è da sbagliare, è la metà. Ma Marchingegno ha già il piano in testa, non può fallire, quindici minuti, babbeo e sono lì. Naturalmente quei 15 minuti per Harold diventano un secolo. Il poeta prendeva 300 copie della plaquette, eravamo forse nel 1977 o qualche mese prima, al costo scontato del 30% sul prezzo di copertina, che, per il numero di pagine, poteva essere di 3.000. Ci penso un po’ e ti faccio sapere, disse il poeta alle 15, alzandosi dalla panchina e, poi, a fargli credere al Marchingegno della poesia da pubblicare in una collana che , a loro dire, sembrava poi collegata allo Specchio, o,almeno, all’Almanacco dello Specchio della Mondadori, dove c’era a dirigere le entrate un signore che, il poeta lo seppe nel secolo dopo, l’aveva detto Harold che gli pareva un secolo, aveva sposato la cugina di una poetessa di origine ebrea molto famosa, che, naturalmente, il cugino acquisito non pubblicava, insomma il poeta si alzò, tese la mano al Marchingegno in missione statale a Bari:”Non si può fare, anziché il 30% di sconto, il 50%, e anziché 300 copie 150?”, e cosa ebbe in risposta il poeta? Lui non lo ricorda più ma dev’essere stato qualcosa del genere:”Ma chi me lo fa fare di perder tempo con quest’imbecille dubbioso? Sono stanco di dar retta agli scettici. Vuoi o no pubblicare nella collana con Lunetta, Doplicher, Ramat,  il tuo amico Ruffato, Accrocca, Manacorda, Favati, quello de “Il Ponte”, Tentori, Grillandi, che fa le biografie, e c’è in programma Di Raco, che lavora alla Fiat e lo presenta Volponi, e non stanno a fare storie sui numeri. Io, quelli che non hanno fiducia non li metto nella collana.”
La storia del 15 tra Harold e Selma perché è da sfiga, secondo voi? Ma lo sanno tutti: come fai a sposarti , anche negli anni Cinquanta, con 15(mila) se il 15, nelle lame degli arcani maggiori, è il Diavolo, la carta dell’attrazione sessuale e del magnetismo, che è su questo che avvia il racconto Harold: la sovreccitazione, la lubricità sua e di Selma, e poi, nominato il 15, indicato il Diavolo, è fatta: è chiaro l’impiego di mezzi illeciti, è come se Harold fosse caduto vittima di una stregoneria, e allora per tener buono il tentatore fuori il 15(mila) e via portiamo il libertinaggio nell’ordine che gli uomini hanno attribuito a Dio e,quindi, visto che ci sono i soldi, alla Chiesa.
“Harold, figlio mio,” dice Marchingegno “t’ho mai detto che sono stato all’università?” Harold non pensa a lungo ma giacché sono in fuga a grande velocità e gli inseguitori rivogliono i 30(mila) dopo averli mandati al diavolo , capisce che sta tutto nella velocità e nella curva. Difatti Marchingegno  rimette in moto, dopo che gli inseguitori son finiti con un gran fracasso nel burrone,  e scendono questa volta lentamente: “E’ una questione di forza centrifuga” spiega al pollo. “Tutto sta ad applicare al motore la forza delle marce basse nell’istante stesso in cui s’entra in curva, invece di frenare, che non serve a niente, perché non vince la forza centrifuga”.
Il pollo non capisce, gli dà i suoi 15(mila) e chiama Selma alla base della marina. Un po’ come quella mattina che il poeta, da Taranto, da una cabina telefonica vicino all’Arsenale della Marina, chiama il responsabile della collana di poesia di cui si è detto. La WAVE del centralino gli dice che Selma è volata via, è convolata a nozze con un sottocapo delle cucine. Non si capisce come vanno a finire queste cose: ho qui pronti i 15(mila) che lei voleva- pensa il pollo- ma evidentemente dev’essersi stancata d’aspettare. E’ il 15, babbeo: chi arriva prima col 15, col 15 convola la tua zoccola, che, a pensarci bene, se fosse stata in Italia, di sicuro era uno dei lettori assidui del Sole-24 Ore, per via dell’andamento degli immobili, anche perché,e come quel babbeo di Harold, il poeta non riusciva a capire, a un certo punto degli anni Novanta, come mai non solo ci fosse un quotidiano fatto solo di numeri e di leggi fiscali ma che fosse addirittura, in quegli anni, davanti a “La Stampa” nella diffusione e nella vendita, al 3° posto.
La COIN di Taranto in via Di Palma 88 quando c’era
|adesso come quei testi di poesia è chiusa
Il poeta dalla cabina chiama l’ufficio scolastico dove “lavorava” il direttore della collana di poesia: e dal centralino gli dicono che L.M.  è al momento fuori sede. “Boh- pensò il poeta- quasi quasi arrivo alla Coin che ci stanno i saldi fino al 50% e con 30(mila) sai quanta roba porto a casa!” Gli piaceva, a quei tempi, al poeta  l’aria del mare in una città che fu della Magna Grecia, nonostante la presenza  devastante dell’industria siderurgica, tanto che, sul lungomare, il cielo a volte si schiariva un pochino come se quell’auto degli inseguitori di Harold e Marchingegno, che aveva trapassato il parapetto come se fosse di carta prendesse fuoco nel Mar Piccolo di Taranto; tenersi in carreggiata, passeggiare per le vie della città marinara con la forza delle marce basse  in curva anziché frenare, che non serve a niente, perché non vince la forza centrifuga, che è quella del 30, come se fosse il 4 di Bastoni: 4 bastoni sopra un quadrilatero e sorretti da un leone, che è il segno del poeta; il 4 accentua il senso della realizzazione come il quadrato e il leone è la forza indispensabile alla realizzazione, ci sono anche le spighe, insomma è la carta che realizza con successo le concezioni intellettuali, ma, non avendo trovato in ufficio il dirigente scolastico, o maestro che fosse, e dirigente della collana di quei testi di poesia, non si poteva più pensare al libro, tanto che il poeta  finì con il darsi al piacere singolare del 30 come modo del Foutre du Clergé de France, la carriola, che, si sa, non solo in curva, va a marce basse, e quando il cavicchio è robusto, la strada è lunga, si può spingerla, la carriola, per gran tempo, senza che voli giù dal ponte girevole che era stato rifatto nel 1958. Selma non era della marina, in questo caso, c’era una commessa alla Coin che sì che avrebbe messo ben volentieri, e senza sconti, i piedi sulle spalle del poeta, che le avrebbe afferrato le ginocchia.
 |Alain Bonheur




[i]Michael Brett, Quindicimila dollari per sposare Selma, in Hard day at the Scaffold, H.S.D Publications.Inc. 1967; trad.it. in Scorciatoia per il patibolo, a cura di Alfred Hitchcock, Arnoldo Mondadori Editore,Milano 1968.
[ii]Che dovrebbe essere un qualcosa come l’attuale WAAF: Women’s Auxiliary Air Force, Corpo Ausiliario Femminile dell’Aeronautica.
 [iii] I giardini di piazza Umberto I, per essere precisi.





 
Questa è la cover della II ristampa 
Oscar Mondadori agosto 1975|

La paura del viandante.E quella storia della cantante col poeta ♪

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Quella volta che c’era una sorta di contrazione pulsionale tra il poeta e una cantante che, come questa di pari età adesso Emma, stava ad urlare  “Io di te non ho paura”, e al poeta venne da pensare alla canzone che ogni vallata ove l’uomo ha la sua dimora possiede, ricordata da Jerome K. Jerome  nel  Capitolo V di  “Tre uomini a zonzo[i]:
C’era una volta una fanciulla,
sopraggiunse un baldo giovane,
l’amò e cavalcò via.
La canzone e la paura dell’eterno viandante
by Blue Amorosi & V.S. Gaudio
Potete volgerla in versi e metterla in musica per conto vostro: è una monotona canzone scritta in molte lingue. Scriveva Jerome K.Jerome: poiché quel giovane sembra essere stato un eterno viandante. Qui, nella sentimentale Germania, lo ricordano molto bene. E altrettanto bene lo ricordano gli abitanti delle Montagne Azzurre d’Alsazia; così come egli visitò le rive dell’Allan Water. Quel giovane è un vero ebreo errante; le sconsigliate fanciulle, a quanto si dice, ascoltano tuttora lo scalpitare degli zoccoli del suo cavallo che si spegne in lontananza.
E, dunque: quella giovane cantante il poeta,a sentire adesso questa Emma che canta “Io di te non ho paura”, ricorda, come se fosse lo scozzese all’inizio del Capitolo V citato di Tre uomini a zonzo, quello che amava una fanciulla e desiderava farne la sua sposa ma, possedendo in sommo grado la prudenza della propria razza per evitare la ineluttabile delusione, finisce con il farsi anch’egli eterno viandante. Disse un giorno il poeta a quella cantante: “Io sono un povero poeta, E.Emme[ii]; non posso offrirti danaro e neppure terra. Né suono uno strumento che non sia la batteria che non ho”.
“Ah!ma tu hai te stesso, Vuesse!”
“Vorrei essere tutt’altro di quello che sono, ragazza mia. Sono soltanto uno zoticone mal cresciuto, E.Emme.”
“No, no; ce ne sono tanti più zoticoni di te, Vuesse.”
“Io non ne ho mai visti, e non ci terrei per niente a vederli.”
“Meglio un uomo qualunque, Vuesse, quantunque tu sia poeta, su cui si possa cantare, che non uno di quei tipi di produttori che in effetti sono un po’ come dei magnaccia, e poi per farglielo alzare sai quanto GHB ci vuole, e, in una vita, pensi che potrebbero bastare i proventi della Siae?”
“Non ti fare troppe illusioni, E.Emme; non sono sempre i produttori o i manager delle cantanti che vogliono star sempre a suonarlo. Io sono sempre stato uno di quelli che, appena una canta, tutti lo sanno, io vorrei accompagnarla con il mio strumento; e non farai certo un affare se mi dirai di sì.”
“Ma tu hai buon cuore, Vuesse! Che è più di uno strumento accordato col Ghb, e poi mi ami, ne sono sicura. E in più: io di te non ho paura!”
“Sì, ti amo abbastanza, E. Emme e per questo l’erizzo  lo rende reale, ma non potrei dire quanto tempo il mio amore durerà; e sono abbastanza buono, sì, quando la mia pulsione uretrale è con la mia testa che attiva il (-φ), ma se non va sai che monto in furia.”
“Via, sei troppo duro con te stesso, Vuesse. Ma io di te non ho paura, anche quando sei duro con me! Mi sarai fedele, Vuesse, e a lungo mi amerai?”
“Non c’è ragione che non ti sia fedele, E.Emme; ma non contare troppo sulla durata, perché solo a pensarti spesso non dura che un attimo il bonheur esteso.”
“Però, farai del tuo meglio, non è vero? Come dissero quelli che vinsero a Sanremo, quando un uomo, ancorché sia anche un poeta, fa del suo meglio, può fare di più.”
“Forse quelli intendevano che, visto come vanno le cose per la libido troppo stropicciata, si può, si potrebbe, dare di più, certo farò del mio meglio, ho delle fantasie incredibili su di te,ma non è dir molto, e non so se tu sarai contenta. Noi siamo deboli, siamo poveri poeti, E.Emme, e non sarebbe facile trovare un uomo più sibarita di me e un poeta più peccatore di me.”
“Be’, parli da uomo sincero, Vuesse. Tanti disc-jokey e produttori di cantanti fanno grandi promesse a una povera cantante, per poi spezzarle il cuore. Tu mi hai parlato lealmente, Vuesse, e so che la radio e quelli che fanno chiacchiere infinite alla radio ti stanno sul cazzo. Ebbene, nonostante io debba riferirmi anche alla radio e a quegli uomini stupidi che mandano in onda canzoni e percussioni del cazzo, ti prendo come sei e per il resto vedremo come va a finire, innanzitutto non stare sempre con la radio accesa.”

La storia dello scozzese, ricordata da Jerome K.Jerome, non si sa come andò a finire, ma quella del poeta con la cantante, che del poeta non aveva paura, finì come finisce nella canzone che ogni vallata possiede, quella dell’ebreo errante. Non c’era alcun senso a essere qui, in questo posto, in questo momento , scrisse il poeta alla cantante: di fatto, quando sono andato via, non c’era nessuno; d’accordo: l’altro esiste, fin quando ti ho seguito, poi l’incontro, il canto, il controcanto, è sempre troppo vero, troppo diretto, troppo indiscreto. Tu, alla fine, mi urlavi: Io di te non ho paura! Ma era vero il contrario: io avevo paura di te; perché a quel punto l’altro che eri non aveva più segreto, ti ricordi quando ti ho seguito al mercato della Crocetta, esercitavo su di te il diritto fatale di inseguimento, senza averti avvicinato, anche se ti toccai il culo più volte, ti conoscevo meglio di chiunque; e poi, dentro il tempo curvo della città, eravamo ormai nella stessa orbita, e non avendoti incontrata alla Crocetta l’apparizione  ineluttabile, quella che poteva segnare il nostro destino, avvenne in via Cernaia. Fu così che in quel tempo vissi della trappola che mi tendesti e tu vivesti della trappola che io ti tendevo: un’affinità senza fine, che durò fino all’esaurimento delle forze. Certo: il poeta qual’ero voleva il suo altro: mi eccitava il tuo non aver paura di me che mi urlavi, e in quella vertigine cercai di farlo durare più duro del (-φ) che, fin quando non raggiunge il punto più alto del meridiano, resiste e occupa lo spazio, la parola, il silenzio, l’interno stesso dell’altro, del tuo canto, mi spingevi a desiderare, a esaudire la propria morte simbolica e anch’io…per questo, dentro quel nostro altrove e la sua fatale declinazione, convivendo il segreto dell’altro senza saperlo, cosa mi urlasti l’ultima volta quando presi il treno a Porta Nuova? Vuesse, io di te non ho paura! Ma non te ne eri accorta, avevamo perso la nostra ombra, ragazza mia, e io da tempo avevo perduto le  mie tracce, e tu urlandomi che non avevi paura avresti invece dovuto metterti sulle mie tracce, avresti dovuto cancellarle e farmi sparire, era questa la forma di obbligazione simbolica, la forma di connessione e di sconnessione, la sottigliezza come artificio fondamentale, noi viviamo dell’energia, della volontà che sottilizziamo agli altri, al mondo, a chi amiamo, a coloro che odiamo. Viviamo di un’energia surrettizia, di un’energia rubata, di un’energia sedotta: avresti fatto meglio ad aver paura di Vuesse, ragazza mia, ma così avresti dovuto far del poeta il tuo destino, averne paura e trarne la più sottile delle energie[iii].


Le Coppe di castagne di Marisa G. Aino e la cantante che urla il Nonsenso della Castagna
Terminato l’ascolto e la visionatura della clip di Emma (Marrone), Io di te non ho paura, entra in redazione Simona Pisani e: “Ditemi di che argomento tratta la canzone” disse in tono professorale. “Tratta – balbettò Blue, parlava a testa bassa, con evidente riluttanza, come se si trattasse di un argomento dal quale lui, potendo fare a modo suo, si sarebbe volentieri astenuto – “tratta di una che sta sul letto e c’è quell’altro a cui…gliele canta…”
“Sì” assentì la nostra professoressa; “però voglio che tu lo dica meglio, chi è questa una?”
“E’ la cantante. E’ Emma Marrone, è bionda, e – rivolgendosi al poeta- la tua cantante com’era? Bionda, rossa o castana? E te l’ha mai urlato così vicino al letto che di te non aveva paura?”
“Sai che non ricordo il colore dei capelli?!L’abbiamo scritto: me l’ha urlato fuori, sotto i portici di via Roma, in piazza S. Carlo, anche in riva al Po ai Murazzi…”
“E non c’era pericolo che t’incazzavi e cercavi di buttarla in acqua?” chiese apprensivo Blue.
“Atteniamoci alla clip, per favore- intervenne Simona- cosa vi è rimasto delle cose viste, del testo?”
“Il letto.”
“Il letto, come? – chiese Simona- Che letto sarebbe, è doppio, è a una piazza?”
“A me sembra un modello dell’Ikea – disse il poeta – e c’è questa finestra ampia. Mi pare. E parla, qui è bella l’enumerazione somatica, delle spalle, della schiena, mi pare anche del tatuaggio, della fotografia da bambino, anch’io avevo questa mia fotografia da bambino in riva al mare e …non ricordo di avergliela mostrata alla mia cantante.”
“Le avrai mostrato qualche altra foto di te adolescente e biondo, no?”- fece ammiccante Simona.
“Il sole, certo, non mi sembra che ci sia sole nel video, anche lei pare che stia fuggendo nel bosco, come nella storiella che Jerome K.Jerome narra sempre nel V Capitolo di Tre uomini a zonzo”.
“E nel bosco che c’era – chiese Simona al poeta- ricordi qualcosa in particolare?”
“Cosa vuoi che ci sia in un bosco? Rifiuti, barattoli di vetro, lattine di birra, coca cola, preservativi, fazzolettini di carta, sacchetti di plastica stracolmi di rimanenze alimentari , bucce di arancia, di banana, di pesche, di cocomero, pozze di orina, cumuli di …”
“Okay, okay, abbiamo capito” lo interruppe Simona. E rivolgendosi a Bue: “E tu nel bosco?”
“Io? Nel bosco? Mi piacerebbe andarci con una che raccoglie funghi, e come la Maite di Vázquez Montalbán ha l’arco ogivale delle ginocchia che…altro che raggi del sole che penetrano in una foresta oscura e triste, quello è il bagliore didonico come lo intende il poeta!”
“E se Maite si gira e ti urla che di te ha paura?” fece sorniona Simona.
“Penso che stia scherzando e voglia fare il verso alla canzone di Emma, e che, in effetti, voglia dirmi che lei non scappa e forse…ha più paura di me che di imbattersi in funghi velenosi…e poi: perché deve urlarmi che ha paura di me se la canzone dice che di me non ha paura?”
“Va bene. Torniamo dentro. Sei seduto sul letto: cosa ha di te la cantante? Blue?...”
"i tuoi dolcini" diMarisa G.Aino:
Coppe dicastagne, "Cip &Ciop" n.43
Milano, maggio 1993
“Quando siamo sul letto o comunque nella stanza, e lei , un po’ ricorda la Maite che sta raccogliendo i funghi, sono un po’ giù, mi dico: ma che le è preso, io vorrei guardarle l’arco ogivale delle ginocchia, e devo star qui con lei che mi urla contro guardandomi il trapezio e la nuca”.
“Vuesse?...Di te cosa ha di te?”


“Non so se hai letto il Capitolo V di Tre uomini a zonzo, e c’è il professore che chiede agli alunni cosa c’era di vivente nel bosco oltre la ragazza, e uno dice che ci sono gli uccelli, e il professore suvvia come si chiamano quegli animali con la coda, che corrono su per gli alberi, e uno dice gatti, invece sarebbero scoiattoli, e mi vengono in mente “Cip & Ciop”,  e tra le ricette dei tuoi dolcini, la rubrica di Marisa G. Aino, così di punto in bianco penso alle Coppe di castagne[iv] e ai dolci versucci di Apollo Zuccotto, che ero io, e la cantante, all’improvviso, si mette a ridere e non mi urla più che di me non ha paura, si siede sul bordo del letto e canta:

“Marmellata di castagna
ullalà è una cuccagna
con la cannella è più bella
la marmocchia che non balla.
Marmellata e cioccolata
metto l’uovo ed è frittata:
non ho panna da montare
né castagne da sbucciare.
La cannella che non balla
non conosce Lucio Dalla:
la marmocchia che saltella
è più bella di una stella?”[v]



[i] Jerome K. Jerome, Three Men on the Bummel, © 1900, trad. It. Rizzoli Editore, Milano 1950.
[ii]E. perché è la lettera dell’istinto irrefrenabile di dominio, è la lettera della franchezza e della devozione; E., che non ha paura del poeta, glielo dice francamente, glielo canta col suo istinto irrefrenabile di dominio. E’ la lettera dell’ispirazione e dell’Ariete, e dell’arcano XXXI, la carta del 5 di Bastoni, tra gioia, amore e la vittoria dopo le difficoltà, del dominio intellettuale e anche della collera, dell’orgoglio e dell’irritabilità: tipo: “poeta del cazzo, io di te non ho paura, stronzo intellettuale!”. Emme . Cifra senza significato definito ma che serve alla trasformazione della lettera del nome, la E: è la lettera jolly, che trasforma la devozione di E. in dominio, il perduto amore del poeta errante in trionfo delle intraprese. La canzone, trasformando, Emme, la devozione di E., che annulla prudenza e moderazione, fa entrare nell’orecchio collettivo l’Heimlich del (-φ) del poeta.  Per questo, è la lettera dell’arcano XIII, quella appunto della trasformazione, e del numero 40(che specifica la predilezione della cantante per questa posizione del Foutre du Clergé de France, l’Attrazione della Pianura o anche la Tigre Bianca che salta), dell’arcano XLIII, la carta dell’uovo sopra la farfalla, che è l’anima che si eleva e si svincola sopra il piano fisico, è la carta del trionfo amoroso, e del nulla, che, se è di terra, Toro o Capricorno quando fa la Tigre Bianca che salta, è l’arcano LXXI, il 3 di Denari, la trasformazione della materia, la pulsione sado-anale “s” della cantante connessa alla fenomenologia isterica e urlata della pulsione “hy”, che è a carattere uretrale.
[iii]Cfr. Jean Baudrillard, La trasparenza del Male, trad. it. Sugarco Milano 1990.
[iv] Cfr. Marisa G.Aino, Coppe di castagne, in “Cip&Ciop” n.43, The Walt Disney Company Italia Spa, Milano maggio 1993.
[v] Sono i dolci versucci del Nonsenso della Castagna di Apollo Zuccotto, nella rubrica “I tuoi dolcini” a cura di Marisa G.Aino, per le Coppe di castagne, loc.cit.

Il "tertium non datur" di Lily Bell ♠

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Lily Bell e l’abagail
Lebenswelt con Richard Deming

Lily Bell[i], dice subito il narratore, che è il pollo, è una ragazza abbastanza disinvolta, secondo la gente; secondo lui quell’aria sbarazzina nascondeva un gran senso pratico. E meno male che la conosceva bene, la  ragazza abbastanza disinvolta che, messa a Pig Ridge Centre, che non conta più di 300 anime, il liceo, con Skeeter Hawkins e  il Vincenzo narratore, evidentemente lo aveva fatto in un paese un po’ più grande, anche in America, come qui da noi, in un villaggio di 300 anime non c’è nemmeno l’asilo, anche perché, come qui da noi, vanno a nascere in  un punto di nascita che, poi, è il luogo catastale del loro codice fiscale.
Comunque, è finito il liceo, e Lily Bell, che non vuole stare più con la madre che, in quel posto, gestisce l’unica pensione, che è un cesso di pensione, manco l’affittacamere che c’era qui nel capoluogo dell’Alto Jonio negli anni settanta, e qui niente niente, non c’era più spiaggia ma la vocazione era di farsi stazione balneare, manco se fosse Cervia-Milano  Marittima! Non vuole stare più con la madre e che fa la ragazza sbarazzina ma che ha un gran senso pratico? Si sposa. Con Skeeter o con il pollo,che, lo scopriamo tardi nel racconto, si chiama Pete, e suo padre, che non c’è mai quando arriva la ragazzina, Lily Bell lo designa come signor Harrow. Dice, quando arriva al barcone, dove Pete abita con il padre, il signor Harrow: “Ciao Pete. Il signor Harrow non c’è?” Prima che Pete risponda, il lettore pensa: sarà andata a cercare il signor Harrow, è disinvolta, chissà? Ha un gran senso pratico, chissà?  Insomma, veniamo alle corte: volevo vederti da solo, dice a Pete, ho deciso di sposarmi, Pete. Lui, che si chiama Pete Harrow, che sapete tutti cos’è, l’harrow, l’erpice, e se si fa schema verbale è straziare, solo che Pete, si vede subito, ha preso quello che da noi si chiama la maturità ma, Dio mio, è uno strazio…”Skeeter?” chiede rancoroso e lei scuote il capo. E si capisce che, da come scuote il capo, che vorrebbe scuotere qualcos’altro ma il senso pratico, si sa anche questo oggi, strazia la libido e Lily Bell, invece di jouer de la croupe, come dicono tra argot e voce popolare i francesi che vogliono dérouiller le braquemart,  joue avec Vincent, gioca con Vincenzo, invece di  trastullarsi col posteriore o, quantomeno, se allora in quel momento non le andava di fare questo, gli avrebbe potuto, come dicono i francesi?, frotter la couenne, strofinare, confricare la cotenna, scuotere il minchione, a quel babbeo, niente, ha davvero senso pratico:”Prima di dirti chi, voglio che tu sappia perché. Tu e Skeeter lo meritate. Sono molto legata a voi due, lo sai.” E torna a scuotere il capo. “Sposerei uno di voi due senza pensarci se aveste un futuro. Ma cosa potete offrire a una moglie?”
E finalmente il pollo dice una cosa sensata: ma abbiamo appena finito la scuola e abbiamo diciannove anni. Non vorrai che si sia già diventati milionari. E quella, imperterrita: Non farete mai soldi, Pete, sei come tuo padre, d’estate a pescare e d’inverno a cacciare. E dovrei vivere su questo barcone di merda e  dovrei pure, come dicono i francesi, décrotter le bizouart, e se non te lo dirozzo col rischio che mi fai fare una nidiata di tipi come te  dovresti, quantomeno in periodi prescritti, enconner mon as de pique, mon troufignon?
E l’erpice: mio padre se l’è sempre cavata. Con la pesca e la caccia è riuscito a farmi studiare, no? E Lily Bell gli fa un sorriso di commiserazione, come a dirgli: così poi tu fai come tuo padre che vai a caccia e a pesca e io …m’escrimme du derrière?
Che lavoro vorresti che facessi? Qui, se non hai terra, non è come gli ombroni, che già se la sono fregata sopra, vanno poi alla marina a prendersela sotto, e mettono in giro la voce che è stata la Madonna del Càfaro, solo a pesca puoi andare e a caccia finché gli ombroni lassù ti permettono di farlo. E lei: ma che c’entrano adesso gli indiani, che non ci sono più, e ce lo siamo preso tutto noi il loro territorio, vai in città a lavorare, altrimenti  le petit non lo vedi nemmeno con le borgne, il monocolo!
Non era leale questo, Pete, lo sappiamo che non avresti mai lasciato Pig Ridge Centre: ma, a pensarci un po’. Ma che cazzo di posto è Pig Ridge Centre? Sa di porco e andate a pesca, e quando andate a caccia, non mi sembra che ci siano cinghiali dalle vostre parti? Insomma, Pete, ha ragione la ragazza disinvolta: Pig è un trou, un buco, o un troufignon, se vuoi, ma allora perché Lily Bell bricolle?
Sì, si vede: gioca di rimbalzo. Sappiamo già come va a finire: adesso, finalmente ti dice chi sposa, uno che ha il doppio della sua età, cioè fa il doppio, la ragazzina: mette te, o Skeeper, e lei, son trou, e ottiene l’età del maritabile con cui , in teoria e in pratica, dovrebbe, come dicono i francesi svegli, bricoller e quando cambia lato jouer de la croupe, baloccarsi, trastullarsi, col posteriore, un po’ come in quell’immagine gif che, in futuro, noi poveri mortali in rete, saremo costretti a pescare e guardare una con la coda come Lily Bell che s’escrimme du derrère, s’arrampica col culo, no, non è così: joue de la crope, et le bricolle, si trastulla col culo  e gioca di  rimbalzo con Goupillon che non riesce a centrare le trou de balle, e Goupillon, si vede dalla trippa, è uno che ha l’età del futuro marito di Lily Bell, lui sì che ha cinquecento acri di terra, quaranta vacche, cinquantamila dollari di macchine agricole, una bella casa grande e diecimila dollari al credito cooperativo.
Come didascalia dell’immagine gif, qualcuno ha postato:  “A la tercera ya cague…”.  Va glielo a dire a Pete: noi che leggiamo, e lo stai narrando tu, Pete, vediamo tutto questo, e  poi anche Skeeter che non va al matrimonio, poi diventa vice-sceriffo e tu sempre sul barcone  e a caccia con la neve, e mai in paese, solo quando vai alla taverna a ubriacarti, lo sai che quando si passa dalla taverna si è dentro la tavola analitica delle corna? E poi Pig Ridge Centre, dai, ma ha ragione la puttanella: vattene in città: Pig Ridge? Porco e Ridge è  il termine agricolo di porca, e allora: cos’è il centro, il buco, della porca e del porco? E la porcata chi la sta facendo, Pete? Il signor Harrow c’è?...Ma dai, Pete. Sei straziante, quella ti sta fottendo, Vincenzo! Ti ha messo in connessione con l’altro, Skeeter Hawkins, e tu non te ne accorgi? Che pattina e ha qualcosa del falco, insomma pattinando cosa sta mettendo in vendita il tuo compagno di sventura?
La tercera, di qua, che vediamo oggi in quella immagine gif, e Lily Bell che gioca di culo col  Canasson, il ronzino, a cui apparentemente l’ha venduto son trou, son petit tréfle, e lo  fa sempre rimbalzare contro il podice, in mezzo al canale, insomma glielo dirozza, lo fa sgranchire, lo sruggina, ci picchia contro,  fa del carambolage, ma…che dice la didascalia? A la tercera…ya cague! Che tira in ballo il tertium non datur, come a un certo punto ha fatto Paul Watzlawick[ii] tra gli anni ottanta e novanta, e, certo, tu che cosa ne potevi sapere?
Arriva con l’abito di maglia rosa, calze di nailon e scarpe a tacco alto e tu con le brache di tela addosso, e lei s’è fatto un occhio nero dipinto, e si trova a passare, è la prima volta che t’ha fatto l’occhio nero? No, la decima forse, cosa devo fare, Pete? Come faccio a piantarlo per tornare a vivere in quell’orribile pensione di mia madre, che nemmeno l’affittacamere che c’era nell’alto Jonio in mezzo agli anni Settanta, che, se la guardavi da fuori ti dicevi ma cosa affittano qui se c’è la porta per entrare e se devi uscire ti devi mettere in fila fuori in strada? Per piacere, dimentica che sono venuta a trovarti . E poi arriva novembre e il Vincenzo era al capanno sotto la cresta del Porco Porca, Pig Ridge, in mezzo alle colline, come qui, mettiamo tra Alessandria del Carretto e Plataci, c’è neve e per arrivare su in cima al Porco Porca ci arrivi solo con gli sci o con le racchette. A meno che non voli, come…come chi, Pete? Allora: Lily Bell fa così: il marito e tu, e siete due, e il terzo? Poi, tu fai: tu e Skeeter che vola, e siete due, ma lei non è terza, vedi che sei sempre tu il terzo? O è Skeeter? Che vola? Mica ha bisogno delle racchette o degli sci.  Insomma, torni al capanno verso le quattro del pomeriggio, che deve essere già buio a novembre da quelle parti, e la trovi seduta sulla inferiore delle cuccette con i capelli biondi, i pantaloni da sci e giaccone, che, a vederla adesso, uno dice questa la Vonn sai dove se la mette?! E non ha lividi né ammaccature, ma sta impazzendo, deve andarsene, dal marito, sì, stasera torno a casa ma per l’ultima volta, domani pomeriggio c’è l’autobus per la città e vado da mia sorella Abagail, e lui: non ti strapazzerà se torni a casa stasera, dove gli dici che sei stata, non gli passa per la testa che questa, nel frattempo, s’era fatta tutti quelli del paese e gli altri di passaggio, compreso Skeeter, che è quello che, stando al cognome, è quello che mette in vendita, e allora, Vincenzo? L’hai capita o no? Lily Bell è dall’inizio che si è messa in vendita, e chi mette in vendita? Ma tu, ci fosse un’intera squadra di baseball, sempre due ne vedi, tu e la ragazza disinvolta? Che si è messa in vendita per 500 acri e 40 vacche, la grande troia di Pig Ridge? Cos’hai studiato al liceo, come qui da noi, che, tra la topografia che dice che il catasto non è probatorio e tutti a fare le visure giurate? O l’astronomia fatta in diretta con il telescopio, Konus o Seben che sia,  che qui in pianura non vedi un cazzo nemmeno a 50 metri?Perché sei venuta fin quassù per dirmi questo? Non dice: perché sei venuta fin quassù e adesso ti metti sulla sedia inginocchiata o sull’inferiore delle cuccette, ti tiri giù i pantaloni da sci e fai un po’ l’Attrazione di Pig Ridge Centre? Senti, Lily Bel,  c’è quella gif che gira in rete, adesso ti metti alla pecorina, con le mani sulle ginocchia e me lo trastulli col posteriore, e sai che, non sono come quel fottuto che non va in buca, io non ho bisogno del telescopio, le borgne, il monocolo, le petit, Cyclope, l’As de pique, chiamalo come cazzo vuoi, insomma, bella troiona di Pig Ridge, tua sorella sta ad Abagail e io ho bisogno che, come lo chiamano i francesi che fanno shnek, il mio gail, che è detto anche gaillard, gaille, gaye, gayard, se non bonheur, ma fa tanto Camus, te lo enconne nel troufignon!
Ma Bill mi ammazzerà quando saprà che voglio lasciarlo. E allora prendi l’autobus oggi e vai da tua sorella, ma lo sai che oggi non c’è autobus e che, come nell’alto Jonio adesso per andare su a Venezia, c’è solo tre volte la settimana; e perché non ci vai con la macchina stasera? Sono solo 85 miglia, come da qui a Sant’Arcangelo nella val d’Agri; e lei: la macchina se l’è presa lui, e col camioncino col cazzo che ci arrivo cade a pezzi; e Pete: col cazzo…allora con che cazzo ci vai?
Niente, quello sorvola, e lui non lo vede, non sente il volo del falco: ma guardala, cosa pensi che faccia con Skeeter quando lui fa il vice-sceriffo e  passa da casa sua? Guarda le 40 vacche o la fa mettere nella 40^ maniera del Foutre du Clergé de France e gli fa fare quello che tu non sei mai riuscito a farle fare? La 40, ma come la fanno nel Fang-Pi-Shu cinese: la Tigre Bianca che salta, che è la prima, o l’Asino di tre anni, e sai come la chiamano? La Grande Porca alla Fiera!
Va bene, dice Vincenzo: verrò a prenderti a mezzogiorno. A mezzogiorno, come se fosse il demone meridiano, e invece sono la Porca e il Falco che l’hanno  fatto pollo, il Vincenzo! Sapete che in un testo sul Fang-Pi-Shu l’asino di tre anni ha il numero 29? E che ha Pete, la Ford 1929 in un fienile abbandonato a pochi metri dalla strada, peggio del poeta che doveva tenere l’auto a un chilometro dove lo tenevano prigioniero nel suo paese nel garage di uno zingaro e pagargli pure l’affitto in nero.
Ora, veniamo finalmente al nome di chi se l’è comprata Lily Bell: si chiama Bill Skim, sembra esplicito, sembra il coso da schiumare, ma è anche lo schema verbale di “dare un’occhiata a”: cioè col coso dà un’occhiata, e basta, o forse come quello in quella immagine gif che lo picchia contro il culo della biondina, ha la sfioratura, la scrematura alla plica del glande, ma non glielo pianta nel troufignard! E’ lui? E’ Bill Skim come sarebbe oggi? E la biondina è Lily Bell che, alla fine dell’esercizio, passa a contare le 40 vacche e a dare un’occhiata ai 500 acri di terra buona e poi maneggia quei diecimila dollari?
Il  Vincenzo quando bussa alla porta laterale della fattoria Skim? A mezzogiorno esatto, nonostante per mettere in moto la Ford 1929 ci sia voluto più di un quarto d’ora. Un minuto dopo va ad aprire Bill Skim in persona: cornuto sì ma magro, con una faccia lunga, occhi affossati e un naso, ah, ecco, a becco sopra una bocca a fessura; questo dato fisiognomico è magistrale: ha un’espressione indecifrabile, sì ma si vede che ha il naso a becco sopra la bocca da fesso!
Cosa vuoi, Erpice? fa il fesso e cornuto.
E’ pronta Lily Bell?
Lily Bell? Lily Bell, cosa vuol dire? E, se non fosse il fesso che è, avrebbe preso il Vincenzo  e a calci in culo lo avrebbe fatto allontanare dalla sua fattoria; invece, è becco e fesso. E l’erpice deve accompagnare Lilly Bell dalla sorella che oggi non ci sono autobus; ma cosa dici, stupidino: mia moglie è già dalla sorella, e l’erpice si incazza di brutto: dov’è? Dov’è? Uno pensa: quella fottuta troia, uno pensa finalmente ha capito, invece niente, non ha capito un cazzo e quello gli dice che ha portato la moglie dalla sorella che si chiama Abagail, e lui dice: questo lo so che si chiama Abagail come abacazzo, ma non ci credo, voglio dare un’occhiata …
Dice: voglio dare un’occhiata, cioè a casa di Skim, che è “dare un’occhiata a”, dice: voglio dare un’occhiata!
Il marito della troia: non gli risponde per le rime: se c’è uno che ha il diritto di dare un’occhiata a quella troia sono io, che ho 500 acri di terra, 40 vacche , 10mila dollari(che si saranno finiti da un pezzo ormai visto come spendeva Lily Bell), e 1 grandissima Porca! Gli dice: Io non voglio guai con te, Harrow, cioè Erpice. Dà un’occhiata, skim, e poi vattene. Come dire: fai un po’ i cazzi tuoi, tu che vivi in un barcone e d’inverno stai lassù nel capanno e non ci porti mai una fica con cui dirozzare le braquemart, pure tu hai diritto: guardala anche tu, ma, per carità, basta che non la strazi con il tuo erpice.
The Seamstress.La cucitrice
Insomma, finisce così: quei due hanno messo sangue, di qualche animale, dappertutto, a cominciare dalla stanza di lavoro(?) di Lilly Bell addirittura sulla macchina per cucire, che era di sicuro una Singer, e quando c’è la macchina per cucire, ma dove cazzo vivi Harrow?, uno sa che dietro c’è sempre la cucitrice, la Seamstress, che è sempre bionda e quello che ama fare è quello che fa la biondina nell’immagine gif anzidetta: cucire, baloccarsi, col posteriore, jouer de la croupe, senza che l’ago faccia il buco, e ama mettersi sempre in quella posizione, che è quella dell’ Attrazione di Pig Ridge, ma anche nell’altra della Misteriosache sta seduta, a cucire, e intanto il tertium non datur gli mette la cheville dans le trou e lei gli dérouille il braquemart, lo dirozza, lo sruggina, lo cuce, senza che gli altri due se ne avvedano.
Il Vincenzoe Dare un’occhiata a , dopo aver visto anche capelli biondi sulla lama di un’ascia macchiata di sangue e dietro al fienile un tumulo di terra fresca con la neve spazzata  a fianco, cominciano a darsele di santa ragione, che è poca, anzi il Vincenzo fa il terzo grado al cornuto ufficiale, poi ha le pulsazioni in testa e gli prende la gola tra le mani e gliela lascia quando non si dibatte più.
Skim non darà più un’occhiata a Lily Bell.
Harrow se ne va  al Pig Ridge e dopo due settimane torna al barcone; il padre, che è il signor Harrow, come lo chiama Lily Bell, gli dice che Bill Skim ha smesso di dare un’occhiata a Lily Bell, l’ha ucciso un vagabondo. Il pollo fa :Oh, e aspetta che il padre gli dica della tomba di Lily Bell.
Lily Bell- dice il padre, il signor Harrow- era in città dalla sorella Abagail. Quando è tornata due giorni erano passati l’ha trovato morto il cornuto, il bestiame era malridotto e probabilmente le vacche non erano più 40, anche perché non erano state munte. E adesso la poverina come fa a rifare la 40, senza turbamenti? E il fesso per poco non esclama: Lily Bell è ancora viva! Invece fa di nuovo: Oh.  E va a vedere come stanno le cose, va a dare un’occhiata, l’ultima, alla fattoria di  Skim: e finalmente si rende conto che è lui il tertium non datur, ma lo è anche Skeeter, almeno lo era, adesso prenderà il posto e la roba di Skim, non era lui quello che aveva messo in vendita, essendo Hawkins, la  troietta di Pig Ridge Centre? E quindi sarà lui a dare un’occhiata alla merce e alla proprietà, difatti non fa più il vice-sceriffo, e il fesso, che ha tolto di mezzo il cornuto che aveva comprato la troietta, non può raccontare nemmeno come sono andate le cose, altrimenti, lo dice lui stesso, si caccia da solo il collo in un nodo scorsoio. E non sarebbe più il tertium non datur e …allora a la tercera…ya cague, ma Lily Bell con chi si trastullerà la croupe adesso che ha 500 acri, e 39 vacche? E essendo 39 le vacche, lei che non è più la grande troia di Pig Ridge, Pete le farà cambiare posizione quando la fantasmatizza? Non più la 40, ma la 39, che  è la balia dalle grandi tette, e lei le tette grandi non le ha e quindi le fa  fare la balia capovolta e le frotte la couenne finalmente dans l’As de pique, le confrica la cotenna nell’asso di picche alla storta, dopo averle fatto fare la balia col culo, tanto che lei continua così a jouer de la croupe e a bricoller con la testa  all’ingiù, da dove, si sa, guardando in su, anche un semplice gail, come quello del povero fesso, sembra che sia un autentico Abagail, un arnese  equino abbagliante che appunto funziona all’indietro, per via dell’avverbio “aback” di cui si ammortizza o si commuta “ck” con gail! by Alain Bonheur


[i] Richard Deming, Lily Bell, in :Hard day at the scaffold, © H.S.D. Publications.Inc. 1967, trad.it. Mondadori 1968, Scorciatoia per il patibolo, a cura di Alfred Hitchcock.
[ii] Cfr. Paul Watzlawick, Di bene in peggio, © 1986, trad. it. Feltrinelli editore 1987.

Mimma Folda esiste? ♦ Divagazione ziffiana di V.S.Gaudio con Marisa Aino

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Divagazione ziffiana sul Dasein di Mimma Folda.
Codice catastale, demografia ed emigrazione dell’immagine puberale di gruppo.

La fotografia da cui parto non è una qualunque, quantunque lo possa essere fino a quando non viene ripescata dal cassettone di Mia Nonna dello Zen. E’ una fotografia di gruppo, e appartiene al gruppo temporale della pubertà, una foto di classe, in cui, nel giorno dello scatto, il futuro poeta non c’è, come è accaduto quasi sempre e in vari contesti. Il fatto che il visionatore di una foto di gruppo non sia presente in quel gruppo rende sostanzialmente e potenzialmente quella fotografia più densa, non dico impregnata di punctum, ma di un certo quantitativo di patagonismo, seppur leggero. La domanda fu, a un certo punto della mia visionatura: questa ragazzina qui esiste davvero? Ovvero: la compagna di classe, del poeta, che sarà V.S. Gaudio, che si chiamava “Mimma Folda”, esistendo in questa fotografia di oltre dieci lustri fa, esiste davvero?

1. L’espressione “Mimma Folda esiste” si trova nei registri anagrafici; Mimma Folda è un nome, non è un pronome, né un nome collettivo, per quanto possa essere indicata con un aggettivo non è un aggettivo, che cosa è allora questa ragazzina che come una corda tesa sopra l’abisso del tempo, adesso che la rivedo mi dico: ma quando è stata evidente l’esistenza di questo oggetto puberale, e, in fondo alla verticalizzazione del tempo passato, quanto di Mimma Folda esiste? Come quella volta all’ufficio anagrafe il nostro amico ufficiale demografico ci annunciò, senza che ce ne fosse motivo, che la stessa, che dopo aver fatto quella fotografia in classe, se ne era andata in America, s’era risposata dopo il divorzio, e forse poi mi sarò fermato perplesso a riguardarla nella nostra foto di classe, che non avevo io, perché io il giorno della foto non ero in classe, l’aveva quell’altra ragazzina che, nella fotografia, le  è allineata e che era destinata a diventare la moglie del ragazzino che nella foto non c’è: quindi, quel giorno: una quantità di Mimma Folda esiste in America, anche se si può dubitare non solo che l’America esista ma che, non sapendo in quale parte dell’America del Nord fosse, la stessa  donna così evocata dall’ufficiale dell’anagrafe non esistesse per niente. Quindi: quel nome, quella ragazzina: Mimma Folda, non esiste, non è mai esistita?
2. Un nome proprio può essere introdotto, in un particolare discorso, o con mezzi sia extralinguistici sia endolinguistici, o soltanto con mezzi endolinguistici. Questo disse Paul Ziff[i]: Mimma Folda è dunque un nome come Marisa Aino o come Titti Gioia, e sono tutte e tre in quella fotografia di gruppo.
3. Consideriamo il nome Marisa Aino: vi dico che Marisa Ainoè stata autore e titolare di rubriche per importanti periodici della Mondadori , del gruppo RCS Rizzoli-Corriere della Sera e della The Walt Disney Company Italia Spa; vi dico che è poetessa; vi dico anche che è la moglie del poeta-visionatore da oltre 8 lustri; vi dico che è connessa anche lei all’America per via di suo nonno Dominick e dello zio Alexander che, addirittura, è nato in America.

Marisa G.Aino L'idea, il desiderio, la menzogna
L'arzanà, Torino 1982
BNI 8313946 |Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
Ho introdotto ora il nome “Marisa Aino” nel mio discorso: l’ho introdotto associando ad esso certe determinazioni fiscali e quindi un determinato insieme di condizioni. Perciò, il referente del nome “Marisa Aino”, se ce n’è uno, è quello che ha soddisfatto un determinato insieme di condizioni, un insieme di cui fanno parte le condizioni di essere una donna, registrata nello stesso ufficio anagrafico del poeta e di Mimma Folda nel seconda parte del XX secolo, autore e titolare di rubriche per “Minni & C.”, “Cip & Ciop”, “Astra”, “Topolino”, “GM”, poetessa di “L’idea, il desiderio, la menzogna”(Torino 1982), ecc.

4. Per esprimermi in un modo che secondo me, e anche Paul Ziff, è abbastanza consueto e relativamente non problematico, dirò che l’insieme di condizioni associate a un nome determina il nostro concetto del referente del nome. Ammesso, dunque, che sia stato introdotto nel nostro discorso il nome “Marisa Aino”, ora voi avete un determinato concetto di Marisa Aino.
 
5. Anche se a un nome sia stato una volta associato un particolare insieme di condizioni, un’altra volta può venirgli associato un insieme di condizioni leggermente diverso o anche radicalmente diverso dal primo. In questo caso, il concetto del referente del nome verrà molto probabilmente modificato. Il vostro attuale concetto di Marisa Aino può dunque impallidire e alterarsi con il tempo. Può darsi che scopriate che lei non scrisse il patagonico poema de “L’idea, il desiderioe la menzogna”: in questo caso, avrete allora un concetto di Marisa Aino leggermente diverso. Oppure, può darsi che scopriate che non scrisse per “Topolino” e “Minni”, ma per “Almanacco Topolino”, “Donna Moderna” e “Noi”, e che non era iscritta nei registri dell’ufficio anagrafe in cui sono registrati Mimma Folda, Titti Gioia e V.S.Gaudio intorno al 1951: in questo caso, avrete un concetto di Marisa Aino radicalmente diverso.
Un nome, scrisse Paul Ziff, è un punto fisso in un universo in movimento. Ma, man mano che il mondo gira, il nostro concetto del referente di un nome può subire modificazioni.
6. Si può rispondere esattamente nello stesso modo a tutti gli interrogativi come: se il nome “Marisa Aino” abbia un referente, se Aino sia mai esistito in quel luogo con quel determinato codice catastale, se sia mai esistita una persona come  Marisa Aino anche per via delle ritenute d’acconto virtualmente versate all’esattoria di Segrate(che se c’è la giostra stanziale ci sarà un motivo genetico amministrativo!) e  Milano, o se sia mai esistito un qualcosa che risponda al concetto che abbiamo di Aino.
Bisogna specificare quale sia l’insieme delle condizioni rilevanti associate al nome e poi determinare se qualcosa o qualcuno abbia mai soddisfatto le condizioni di quell’insieme.
7. Se il nome “Mimma Folda” abbia un referente, se Mimma Folda esista, se esista un essere come Folda o se esista qualcosa che corrisponda al nostro concetto di Mimma Folda, sono tutte domande alle quali si può rispondere esattamente nello stesso modo e precisamente nello stesso modo in cui si risponde alle domande analoghe che riguardano Marisa Aino.
Bisogna specificare l’insieme di condizioni rilevanti associate al nome e poi determinare se qualcosa o qualcuno soddisfi le condizioni di quell’insieme.
8. Se l’interrogativo sull’esistenza di Mimma Folda sia un interrogativo autentico, tuttavia, dipende da almeno due ben distinti fattori: primo, dall’intelligibilità delle condizioni associate al nome, ancorché possa essere annotato nel registro demografico dello stesso paese col codice catastale che c’è nel codice fiscale del poeta-visionatore della fotografia,  e, secondo, dalla coerenza di quell’insieme di condizioni.
9. Il primo problema consiste nello specificare le condizioni associate al nome di “Mimma Folda”. Ed è qui che trova il proprio posto la confusione endemica dei registri anagrafici. Non dobbiamo confondere il dato esatto che dovrebbe essere prefettizio o, meglio, del Ministero dell’Interno,  con quello dell’ufficio anagrafico o addirittura dell’ufficio anagrafico di quel paese che è nel codice fiscale del poeta. Presumibilmente, si può ritenere che Mimma Folda, Marisa Aino, Titti Gioia, V.S.Gaudio siano nati nello stesso contesto catastale, come il Dio dei cristiani pare che possa essere ritenuto identico a quello degli ebrei: tuttavia, i cristiani credono che il referente col nome “Dio” soddisfi la condizione di essere stato crocifisso o di aver avuto un figlio crocifisso; mentre gli ebrei credono che il referente del nome “Dio” non soddisfi nessuna delle due precedenti condizioni, anche perché non si sa se il presupposto codice catastale di Betlemme, se ci riferiamo al figlio, sia stato codificato dal gruppo teistico effettivamente abitante di quel luogo quando fu formalizzato l’atto di nascita di Gesù Cristo. Così, siamo certi che Titti Gioia, ad esempio, sia effettivamente nata nello stesso contesto da cui è stato ratificato l’atto di nascita del poeta? E Mimma Folda è nata anch’essa nel posto contrassegnato dal codice catastale L353? E se anche questo fosse effettivamente attestato dall’atto di nascita e l’atto di nascita fosse stato formalizzato con una dichiarazione falsa? Basterà il decreto del Ministro dell’Interno, che, accogliendo la domanda di cambiamento del nome di Mimma Folda, a stabilire che Mimma Folda, così come è stata posta in essere come nome in quella fotografia, sia effettivamente esistita?

(...) chi guarda quella fotografia di classe(...) ha poi fatto il poeta,
lo scrittore e il giornalista e ha sposato Marisa Aino
10. Chi guarda quella fotografia di classe, e nella fotografia non c’è quello che dovrebbe essere la figura del suo nome, avendo decretato il Ministro dell’Interno che il suo nome non è quello con cui doveva apparire nella fotografia e con cui ha poi fatto il poeta, lo scrittore e il giornalista e ha sposato Marisa Aino, vedendo la ragazzina denominata “Mimma Folda” può ritenere che le condizioni non problematiche che la riguardano siano soddisfatte? Ovvero: V.S. guarda Mimma Folda ragazzina e dice: è un essere, una forza, una persona, una madre, una figlia, una creatrice, spazio-temporale, cittadina originaria del codice catastale L353, italiana, europea, americana [ si sarà fatta chiamare “Sunday”? “Sunday Fold”, come se fosse “Domenica Chiesa” o “Domenica Ovile” o “Domenica Piega”?], dotata del social security number (SSN) come lo zio Alexander A Aino di sua moglie Marisa G.  Aino e come la zia Elisabeth Aino; è giusta, buona, misericordiosa, tenera, saggia, sarà stata delicatamente perversa dentro il vortice della sua pulsioneHy[ii]?
11. Fra le condizioni problematiche, che per Dio sarebbero state quelle di essere onnipotente, onnisciente, eterno, creatore del mondo, un essere non spazio-temporale, uno spirito, la causa di se stesso e così via, come le enumera Paul Ziff, il fatto che Mimma Folda debba esistere in una terra vasta come l’America è già una condizione inintelligibile, anche se saltasse fuori che abbia vissuto, poi, dalle parti di Pittsburgh, magari con lo stesso ZIP Code (= 15228,  Mount Lebanon, Allegheny, Pennsylvania), dove viveva lo zio americano della collaboratrice della The Walt Disney Company Italia Spa Marisa G. Aino.
Un esempio della rubrica "Frutta & fiori in Cucina"
di Marisa Aino per il mensile "Minni & C."
The Walt Disney Company Italia Spa, Milano
12. La comprensione  dell’esistenza, anche in una fotografia quando viene fatta in un paese che ha codificato l’atto di nascita di chi la guarda con il nome falsificato, ammette sempre dei gradi: la moglie del poeta, che era nella fotografia, ricorda al poeta che, all’epoca,  Mimma Folda era la sua “preferita”, a cui V.S. contrappone un diniego assoluto conoscendo le sue ragioni pulsionali anche nella nebulosa puberale, anzi le ribatte che sarà stato il contrario: lui, per forza di cose, doveva essere stato il ragazzino preferito da Mimma Folda! E lei: no, no, sorridendo sorniona…Ricordi quella volta, gli dice, al poeta smemorato, che per gioco, in quel gruppo, ognuno scrisse accanto al suo nome il nome della compagna preferita, ricordi? Accanto al tuo nome, Enxù, chi c’era? Mimma Folda! Ce l’avrà scritto lei, son sicuro di questo: è impossibile, la mia preferita non era lei, lo sai. Eppure, ribadisce la moglie, è così. Anche questo è un problema inintelligibile: se in  un  contesto così limitato come poteva essere in quegli anni quello in cui Marisa Aino era una ragazzina e il poeta pure può essere stato scritto su un foglietto accanto al nome del poeta ragazzino quello di una compagna di classe che, poi, l’anno dopo, quando il ragazzino è stato spostato in Emilia Romagna, se ne andrà in America e la ragazzina Marisa Aino sarà spostata in Puglia, allora Titti Gioia perché è rimasta lì senza quei tre? Perché mai è stato scritto, accanto al nome del poeta ragazzino, il nome della ragazzina che sparirà in America? E’ evidente che il problema dell’esistenza di Mimma Folda è omologo al problema dell’esistenza di Dio, e ad esso si può rispondere soltanto nell’ambito di una teoria, se pure vi si possa mai rispondere: il fatto che un determinato essere , per quanto fosse nell’ingorgo della libido puberale, abbia potuto essere così invaghito di un ragazzino e andarsene , dopo che lui se n’era andato tra i comunisti  in Romagna, dove tutti quelli che stavano da Roma in giù avevano la cittadinanza di “marocchini”, in America e non abbia esercitato mai il diritto di prelazione sul poeta futuro esibendo semplicemente quel foglietto delle corrispondenze pulsionali nel periodo fallico-uretrale del proprio esserci non basterebbe di per sé a stabilire che quell’essere avesse continuato ad amare platonicamente ancor di più nei suoi piaceri singolari americani quel poeta, colonna della The Walt Disney Company, il cui nome Mimma Folda adulta(anche senza SSN) avrebbe potuto leggere, non solo su “Topolino”, in tutta l’America. Né si può pensare che, avendo letto il nome che apparve accanto al suo da ragazzina, accanto al nome di quella ragazzina, così come appariva in molti articoli su “Topolino”, abbia definitivamente distrutto la trascrizione di quella corrispondenza pulsionale; la concezione che l’uomo, o la donna, ha del mondo, e dell’America, in cui vive si trasforma, c’è dunque da aspettarsi che si trasformi anche la concezione che l’uomo ha della ragazzina in una fotografia e la donna di un ragazzino che nella stessa fotografia non c’è: perché mai è stata fatta quella fotografia non essendoci quella mattina Enzuccio a scuola?
Il mondo va guardato in nostra assenza[iii]: esiste Mimma Folda? Chi è Mimma Folda? E’ davvero quella ragazzina che appare così nella fotografia o, quando è andata nel Nuovo Mondo, è definitivamente sparita da quel vecchio mondo?  O, non avendolo trovato l’anno dopo in classe, saputo che se n’era andato con i Russi, se ne è andata con gli Americani? Avrà mai saputo, anche dal nostro stesso ufficiale anagrafico, magari con un telegramma, che, in virtù di quel suo puberale “Mannaggia a Cristoforo Colombo!”, quel ragazzino che nella foto non c’è e quella ragazzina che è forse la sua amica più buona festeggiano anche loro ogni anno in Italia il “Columbus Day”, non il secondo lunedì di ottobre come fa lei in America ma, il 12 ottobre, giorno in cui si sono sposati? La risposta  di domani a queste domande, anche se finora sono state sempre negative, è qualcosa di cui non si può dire assolutamente nulla. E la domanda “Esiste Mimma Folda?” può essere quindi concepita in modo nuovo e, così concepita, può richiedere una nuova risposta .
Øv.s. gaudiocon  marisa aino

[i] Cfr. Paul Ziff, “DIO”, in: Idem, Itinerari filosofici e linguistici, © 1966, trad.it. Editori Laterza, Bari 1969.
[ii]  La pulsione, nel sistema psicanalitico di Leopold Szondi, che, più di ogni altra, converte l’erotismo uretrale della pubertà in sublimazioni parossismali e isteriche: dentro gli elaborati di un mondo immaginario, già in maturazione, il soggetto che emigra durante la pubertà e addirittura sbarca nell’universo infinito dell’America del Nord, negli anni Sessanta, scappando dal boom economico del dopoguerra del vecchio continente, sarà impigliato nella rete della pulsione di protezione e della pulsione di sorpresa: l’ombra della pulsione hyè costituita dalla pulsione e: tra dolcezza e assenza di sentimenti, tra pudore e vanità protesa, tra tendenze spettacolari e ansietà, la nostra ragazzina che va in America  si è paracadutata in un Dasein tra umanesimo etico e religioso e la fenomenologia di conversione, tra paure notturne, fobie, enuresi e pseudologia fantastica. Per questo, anche il poeta può presupporre che quel ragazzino possa essere apparso anche adulto  nei piaceri singolari di quella ragazzina fattasi maturo soggetto parossismale americano.
[iii]L’energia della parte maledetta, la violenza della parte maledetta, sotto la trasparenza del consenso e nell’opacità del male, la sua tenacia, la sua ossessione, la sua irriducibilità, è tutto questo che c’è nella viralità, nell’accelerazione, nello scatenamento degli effetti, nel superamento delle cause, nell’eccesso e nel paradosso, nell’estraneità radicale che, sostanzialmente, è la ragazzina col nome che le è stato dato per concatenarsi come attrattore strano della nostra pubertà collettiva nel territorio catastale numerato L353; che, è dall’assenza della figura del futuro poeta in quell’istante in cui viene immobilizzato un gruppo scolastico puberale, che si elonga un attrattore fuori del comune, elastico temporale di una sorta di delitto perfetto: l’Altro, che è visibile nella fotografia come immagine, e quindi avrebbe una fisica e non soltanto una metafisica, guardato da chi quel giorno non si è dato come immagine in quel contesto così immobilizzato si fa per questo l’Altro radicale insopportabile, non lo si può sterminare, e comunque non lo si può nemmeno accettare, come gli indiani, quella ragazzina è la nostra indiana, perché è l’Altro che non è più negoziabile, come gli Alacaluf della Terra del Fuoco, questo scrive Jean Baudrillard, che furono annientati senza che avessero mai cercato di comprendere i Bianchi, di parlare o di negoziare con loro. Chiamavano se stessi gli “Uomini”, e non ce n’erano altri. Mimma Folda avrà chiamato se stessa la “Donna”, e non ce n’erano altre, figuriamoci se quell’altra ragazzina(che le è allineata nella foto) che, poi, come donna, sarebbe diventata la moglie di quel ragazzino preferito dalla Mimma Folda puberale? E, ritrovata la foto dal cassettone di Mia Nonna dello Zen, cosa c’è, sul retro della fotografia, le firme di tutti i compagni di classe, anche di quelli che non sono nella foto, esclusa quella del poeta: la prima firma, in alto, sulla sinistra, è quella di Mimma Folda, ovvero:”Folda Domenica”; l’ultima, in basso sulla destra, è quella di Marisa Aino, ovvero: “Aino Marisa”; in mezzo tutti gli altri, anche la firma degli insegnanti, che non sono nella foto, c’è solo quella che insegnava italiano, il poeta non c’è, non c’era, in sua assenza, il Dasein tra la ragazzina che sarebbe sparita in America e la ragazzina che aveva il nonno che era stato in America. E il poeta, che non c’era, lega così la sua assenza alla genetica americana? Era scomparso quel giorno per via dell’America, per colpa di Cristoforo Colombo o di Ernest Hemingway? E perché Titti Gioia non ha niente a che fare con l’America pur avendo il nome(Ernesta) del narratore e giornalista americano che ha avuto anche a che fare con Venezia [e la fotografia del gruppo scolastico puberale è stata fatta l’anno dopo il “suicidio” di Ernest Hemingway], per via di Adriana Ivancich, dove pare che quella ragazzina, che era la figlia del pretore locale, se ne sia andata una volta maritatasi?
 
Mimma Folda esiste?
Divagazione ziffiana di V.S.Gaudio con Marisa Aino

Il gioco di Plousia Mekuón ♦ La Zacchinetta d'Utrànto

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Herb Ritts for American Vogue, May 1987. Swimsuit by The Finals.


La Zacchinetta d’Utrànto

 

Nella “Zacchinetta d’Utrànto”, la “lanzichenecca saracena”, la briccona tuffatrice è Plousia Mekuón che tiene sempre banco e la somma che intende arrischiare è sempre in dracme: il marinaio o il poeta che sta alla sua destra ha facoltà di scommettere tutta la somma annunziata dalla tuffatrice, di scommetterne una parte o di passare. Quand’egli dichiara “tengo tutto” il giuoco è fatto; ma quando non copre che una parte della scommessa, il giuoco non è fatto se prima o successivamente gli altri giocatori, marinai o poeti che siano, non completano la copertura della somma annunziata da Plousia. La carta che Plousia scopre sempre è la 23, l’arcano del Re di Bastoni; la carta dei puntatori è quella corrispondente al numero fatidico del nome di ognuno, le cui lettere vengono denumerate con l’Alfabeto dei Rosa-Croce. Davanti a sé, Plousia Mekuón, vestita di corsaletto e di morione o solo col costume rosso, una a una, scopre una, due, tre carte,ecc. fino a che non ne scopra una eguale alla sua o a quella dei puntatori. Nel primo caso guadagna e si tuffa nella mar d’Utrànto; nel secondo perde, e i puntatori si dividono le spoglie del banco in proporzione alla quota coperta, e Plousia dovrà fare la tuffatrice tante volte quanto stabilito in correlazione alla posta in gioco. Plousia ha diritto di porre il banco all’incanto fino a tanto che non perde e fa tuffi; chi lo compra acquista i diritti a vedere Plousia per 23 o 74 secondi nella posa sospesa del disporsi al tuffo, la posizione Zacchinetta, a gambe unite si solleva sulla punta dei piedi, dispone a 90° il tronco del corpo e fa volteggiare le braccia aperte e distese: tra la “pecorina” e l’”anatra che vola capovolta”, questo disporsi specchia la posizione 17 del “Foutre du Clergé” e la posizione 12 del maestro Tung-hsǜan, ma della prima, in cui avrebbe dovuto essere in ginocchio, cioè far passare da j (da G latino) a š tanto che “ginocchio” possa essere “scinucchiu”, adotta solo l’angolo a 90° tra podice e gambe. E della seconda, in cui avrebbe dovuto sedersi a cavalcioni sul poeta ma con la testa rivolta verso i propri piedi, mette in atto il volo, lo svolazzamento, con le braccia spiegate prima del  tuffarsi del corpo, nella forma sostitutiva all’infinito preceduta da cu : “ojju cu mar”,”voglio che mare”, e cioè “voglio immergermi nel mare”: O mar, Idrusa mulacchiona, ‘mpalata sull’arco do’ u culu, cull’occhiu sale e scenne s’ennamora, o mar s’è riturnata a zacchinetta sfrega la conàcchia de Plueusia, s’è ripescato occuore, s’è tenuto nascosto tant’ammore, ‘na pietra, ‘nu ptlepore s’è accanito stamattina, umass supraucuezz che turna turna scenne s’arriposa, lu bujore de prendere la luna a zacchinetta. Eras tú amor, destino, final amor lucente, eras ave, eras cuerpo alma sólo; ah, tu carne traslúcida besaba como dos alas tibias, como el aire que mueve un pecho respirando y sentí tus palabras, tu perfume, y en al elma profunda diste fondo, calado de ti hasta el tuétano de la luz.

 da: Plousia Mekuón.La Mulacchiona d’Utrànto
La Stimmung di V.S.Gaudio con Antonio Verri sulla cugina saracina di Aurélia Steiner, in “incroci”, semestrale di letteratura e altre scritture, n.20, mario adda editore, bari giugno-dicembre 2009

Quelle che la Bianca Deissi™ ⁞ Era Adriana Ivancich 1950’s la figura della Bianca Deissi™ ?

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V.S.Gaudio e Adriana Ivancich | L’immagine a somiglianza?

from "Astra", un numero del 1979
Adriana Ivancich at Venezia
Intervista di Simona Pisani a V.S.Gaudio
SP| E’ vero che molti, alcuni addirittura te lo scrissero, in merito a quella tua fotografia quando hai cominciato a firmare la rubrica psicanalitica per “Astra” del “Corriere della Sera”, ti dissero che c’era qualcosa, un quid, una sorta di punctum, che ti faceva assomigliare alla giovane Adriana Ivancich?

VS| Sì, è vero. All’inizio non riuscivo a spiegarmi la cosa, anche perché non avevo mai visto la Ivancich nemmeno in fotografia, figuriamoci dove la trovavo una sua foto relativa al 1950 e al 1951!
SP| Poi la trovasti?

VS| No. Passò del tempo. Una vita, forse. O forse due. Ricevevo strane lettere: quelli che, quando ancora non c’erano i troll e il web, scrivevano a cazzo per attaccarti e molestarti, che so…dicevano che non capivano la mia poesia ( o era difficile, e dovevo farla facile, come ti permetti di scrivere "alto"?) anche quando, metti che era una Lebenswelt e, l’avevano vista(letta non credo, questi tipi sono della categoria “fesso chi legge” e poi pubblicano  le loro poesiole a pagamento o anche, ormai, negli spazi editoriali che fanno capo tutti a quell’evasore che portava il denaro destinato alle esattorie italiane nell’isola che, più di qualsiasi paese, è connessa direttamente allo Ior) su una rivista che faceva capo a un determinato ordine o associazione di medici, quindi di gente che del linguaggio scientifico o, quantomeno, specifico qualcosa avrebbe dovuto non dico capire ma parzialmente intendere. Insomma, parlavano a suocera perché nuora intendesse…Però io capivo che c’era questa genìa di custodi del nulla e anche vigliacchi che usano questa strategia dell’ombrone ma non riuscivo a dare una figura alla suocera e nemmeno alla nuora. Oh Dio, però, una cosa era evidente: giacché eravamo nel  paradigma della suocera e della nuora, beh, sotto, si capiva, era evidente, era al dispositivo di alleanza e di sessualità che alludevano.
SP| In che senso?

VS| C’era stata un’americana che un giorno capitò per caso e apposta in un posto[ a Torino, o a Milano, se non a  Verona, o a Padova, a Mantova,  non lo dico, dove si tenevano dei reading di poesia la sera  e io ogni tanto ci andavo per via del fatto che si mangiava e beveva bene e anche per vedere dove cazzo si stava andando a sbattere la testa per via della poesia  dopo Tel Quel e V.S.Gaudio, che era il più interessante e intelligente della giovane poesia, a detta di Giorgio Barberi Squarotti] e mi fece, no, no quello che tu pensi, stai sorridendo con quell’aria, mi fece uno strano discorso e poi finì col nominare o alludere a questa signora ch’era stata la figura di un personaggio chiave in quel romanzo di Hemingway.
SP| E…
VS| E c’era stata anche un’altra, metti ch’era la nipote di un importante uomo politico della prima repubblica, più volte ministro, che pure mi venne a parlare di questa figura.
SP| A Torino?
VS|…..
Adriana Ivancich e E.Hemingway
SP| E tu?
VS| Io niente. Non capivo le indicazioni o le allusioni, oppure le indicazioni erano poco decodificabili. Insomma, andavo per la mia strada. Poi, fu pubblicata quella fotografia che, non ci crederai, mi era stata fatta in un convegno di poesia e cazzate varie, forse a Trento, da un amico poeta di Venezia e…chi la vedeva, e conosceva l’immagine della Ivancich giovane, diceva…che, beh, c’è una strana somiglianza tra te e Adriana Ivancich. Somatica, non poetica. Anche negli anni ottanta, quando ormai me ne stavo per i cazzi miei ma controllato a vista dalla setta degli ombroni nel delta del Saraceno, capitava che se interagivo con colleghi giornalisti, questi, già all’inizio, si riferivano sempre alla foto di “Astra”, come se quell’immagine avesse un qualcosa di patagonico indefinibile o fosse la risoluzione integrale del punctum di Barthes. Spesso capitava che fossero giornaliste famose o molto visibili, facevano tv o  nel quadrato del bla-bla apparivano spesso, e, quasi fosse un vezzo, alludevano sempre alla mia immagine in quella foto anche negli anni novanta, quando ormai degli anni di piombo del tempo della foto tutto era stato prescritto se non cancellato.

SP| E allora questa somiglianza hai potuto, poi, verificarla in qualche modo? Tu sei un decodificatore plutonico, niente resiste alla tua analisi e alla tua penetrante critica, arrivi a scovare cose impensabili anche in un semplice fatto di cronaca avvenuto chissà dove e divulgato con i soliti stilemi importati dal 5% della verbalizzazione della cosiddetta autorità inquirente.

VS| Solo recentemente mi sono reso conto che in effetti tra qualche immagine di Adriana Ivancich degli anni cinquanta e quella mia immagine c’erano degli elementi di connessione.
SP| Tu sei un esperto di somatologia, antropometria, e fisiognomica.

VS| E di genetica e psicanalisi, stato civile e ufficio anagrafe, antropologia culturale e piaceri singolari, creatore della scienza effimera della manomorta [ come è stato indicato nel ForseQueneau, di cui uno degli autori era stato dal poeta, da lui ingiuriato e offeso, querelato e portato al giudizio da una procura della repubblica che quando mi notificava le citazioni in merito ometteva sempre  non solo il capo d’accusa o d’imputazione, i dati dell’imputato e, cosa veramente Heimlich, l’articolo del Codice di Procedura Penale  alla base della citazione come P.O.T.: non usava il modello prescritto e scrivevano: Visto : e dovevano metterci, specificare, l’articolo del Codice relativo alla procedura, invece non ci mettevano niente, era omissis, per me non c’era il C.P.P., visto: niente, se vuoi venire, senza sapere un cazzo, vieni, altrimenti…]
SP| E dunque?



Bianca deissi|  "fermenti"
n.183-184,
Roma gennaio-febbraio 1987

VS| La Bianca Deissi, in cui c’era Ronald D. Laing dell’appena  nuovo libro tradotto dal mio amico Camillo Pennati, che annida una stasi esistenziale, la figura entra in scena, quella , pensavano tutti che fosse quella del cavallo nero di Hemingway,
qua la figura o
è un cavallo bianco, la puledra del brivido
che tocca terra dentro l’utero vortica
è scatola
è arca
cigno o scrigno
è  blastula
da cui il tatto sospende immagini
sinestesia che annida radici, tronco e
cordone nel grembo
ove il  vento tocca il seno del mare


Adriana Ivancich e E.Hemingway
Hemingway andava sul nero, questo è chiaro, V.S. sul bianco e la paura coriale, suono del ventre, acqua o suolo che non è placenta, né albero, tra anima dell’uno, metti lo scrittore americano, e l’animus dell’Ivancich, il cavallo bianco, la figura, quella Bianca Deissi, questo è l’assoluto Heimlich, freudiano quanto si vuole ma profondamente annesso al mistero del gaudio.
SP| Il poemetto, quando apparve in “fermenti”, la rivista di critica del costume e della cultura diretta da Velio Carratoni, nel 1987, e la Ivancich si era suicidata nel 1983, aveva a fianco qualcosa dedicato a Salvatore Fiume che, vai a vedere l’Heimlich, rinvia a Fiume-Rijeka, all’Istria, che è la  terra d’origine di Adriana Ivancich, cognome che, come sostantivo croato, corrisponderebbe alla margherita che in una Bianca Deissi e negli infiniti aranceti che dovrebbero competere ai tuoi nonni latifondisti entra sempre in scena, così, bianca deissi, annida una stasi esistenziale, diciamo che la luna in superficie ne boicotta i fantasmi?
Intervista di Simona Pisani
| Tabloid

VS| La Bianca Deissi  l’ho scritta appena dopo l’uscita del libro di Laing, l’ho letto e l’ho scritta, la Ivancich era ancora in vita, ma io non sapevo nemmeno chi fosse e dove stava, tu pensi che per una sorta di corrispondenza Heimlich attivata dalla paura coriale e dall’ansia blastocistica avrei potuto chiedere a Enzo Tortora, che era mio collega per “Il Monello”(in cui eravamo ognuno titolari di una rubrica), di fare entrare in scena la figura, la Bianca Deissi a “Portobello”?




El coño luz de Hierrante de Acuña ⁞ 2


V.S.Gaudio ▬ Il cartone tipo Schoeller.E l'autunno a Torino

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V.S. Gaudio
Il cartone tipo Schoeller e l’autunno a Torino

1.

quelloche c’è nel segno in cui all’arco del braccio
e del polso e della pressione di entrambi sul foglio
di 5 metri per 1,5 è la curva del tempo
che ha intervalli che di pagina in pagina
sono il ritmo fisionomico del corpo del modulo
di stanza in stanza dalle carte bianche della prima
ai cristalli appoggiati sul pavimento della terza
passando per gli otto cartoni tipo Schoeller
ciascuno di cm 50x70 lungo le pareti della seconda stanza
questo tuo corpo e questi tuoi movimenti legati
all’arco del braccio, del passo, della pressione del pondus
che riempio ad un tempo occupandoti lungo lo spazio
del rotolo in carta fino a questa situazione liquida
della memoria così come si va dal tuo modulatum[i] dell’80
in 49 esemplari del Piombino di Alessandria al mio triangolo
d’oro in 99 esemplari che nell’84 lo sigillò a settembre[ii]
come se l’ombra compatta del tuo corpo fosse
la luce che il corpo lascia parallela al grido
che getta il foglio ai margini dove lo sguardo si fa fuoco

 

2.

il cartone tipo Schoeller spinto dalla pioggia che copre la città
a settembre che è il tuo mese e quello della Bardot che si incrociano
ad angolo retto come le linee dei fatti che tagliano un libro
che cosa afferra il corpo vicino all’acqua?

 

3.

l’autunno si fa blu distanza dell’alba
e avvicina l’orizzonte un po’ vicino alla
successione mobile che sprofonda nella campagna
dove ti seguo fianco a fianco pagina dopo pagina
perché sei il corpo della figura che all’orizzonte
talvolta sulle gambe talvolta sul podice o altrove
finisce sempre dove ti tocco un po’ dappertutto
da ogni lato adesso che cammini, attraversi la camera
dove un albero messo fuori dalla foresta sulla strada
oppure quando pieghi il segno fino alla responsabilità dell’ombra
luce o pagina di scrittura o gnomone
che à chaque caresse ha la plastica assoluta indifferenza del tocco
della Bardot, che se per come tu ne condensavi il senso
lei a scansione di tappo di stanza in stanza la ritroviamo
che cammina sui cristalli e sulle carte bianche così simile alla parola
trattiene l’autunno del bianco tra le chiappe[iii]




[i]Gigliola Carretti, Modulatum, 63 pagine, tiratura in 49 esemplari, edizioni del Piombino, Alessandria 1980; cfr. anche: Eadem, Ritmico, 49 tavole, Arte Centro e Martano, Torino 1978.
[ii] Cfr. V.S. Gaudio, La Stimmung con Marcelin Pleynet, Les lignes de la prose, illustrazioni di Alberto Ghinzani, 27 pagine, tiratura in 99 esemplari, edizioni del Piombino, Alessandria 1984.
[iii]Cfr. quanto riferì Marta Marzotto a proposito del podice di Brigitte Bardot, a cui la musa di Guttuso attribuiva il trofeo per il deretano migliore:”una volta le chiesi come faceva a mantenerlo in forma così perfetta. Mi rispose che come ginnastica ad hoc girava in casa con un tappo di champagne stretto tra le chiappe”(“Il Messaggero”, 18 luglio 1996). In merito verifica come sia l’opposizione tra primarietà e secondarietà  a rendere come significanti somatici il culo e le gambe per movimento e proporzione, in:V.S.Gaudio, Oggetti d’amore, Scipioni bootleg 1998 Tavola del Significante Somatico, pag.90.

 

55 chili di trilli per il (-φ) ossigenato ♪▬ Sia ft. V.S.Gaudio

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L’abissale è Braquemart ▬ Il thrill a buon mercato
Un po’ dentro la guida alle sale da ballo dei nostri anni cinquanta, quando arrivava pure la giostra, metti che era carnevale e molta gente vestita a festa balla e ride, e poi arriva questa mesomorfa come c’erano in quei tempi che è triste perché hanno mandato suo padre in galera perché era tra i sabotatori del Principe Nero di Cerchiara, e a lei hanno detto che l’hanno rimandato in guerra, e non c’è nessuna guerra. Arriva qui e la segue uno che se non è un tanghero poco ci manca, comunque si deve ballare, son gli anni cinquanta che vuoi fare? Non è come quella storiella che c’è inGuida al Balletto di Woody Allen, che lui si chiama Leonida e lei Natasha, e lui come la vede  cade dalle montagne russe, e Natasha lo aiuta ad alzarsi e i due ballano un pas de deux, dopodiché Leonida cerca di impressionarla roteando gli occhi, invece sembra che abbia una parrucca o si è buttata una bottiglietta di acqua ossigenata in testa e gli son venuti i capelli biondi, Leonida si mette a ridere e si scusa, e Natasha che, qui nella sala del ballo, si chiama in un altro modo e lui pure, anche se è lo stesso una marionetta, tanto che la ragazza, che, l’abbiamo detto, vuoi per le scarpe e vuoi per la gonna, ha il taglio della mesomorfa tipica del sud Italia negli anni cinquanta che, se  vai a pesarla, se è alta sui 162 centimetri, fa sempre 55 chilogrammi e se è alta 165 fa 60. Ad ogni modo, i due ballano che al confronto lo spettacolo delle marionette è uno strazio, così che non si può pensare che debba esserci  quel grande pupazzo che, nel micro racconto di Woody Allen, si chiama Dmitri e che s’innamora, appena ne vede la curva del podice, di Natasha. Questi due che ballano nella nostra sala da ballo in quegli anni cinquanta si vede che hanno fremiti a buon mercato, anche se lei pensa di più al gran pupazzo, che, lei lo intuisce, non è fatto di segatura  e oltre che un’anima ha di sicuro, come nel frattempo dice Lacan nei seminari a Paris, un (-φ) che non può essere di segatura ma forse è di legno e allora mentre sta ballando con questo bel tomo che si è buttata la bottiglietta di acqua ossigenata sui capelli e si è fatto biondo pensa che poi  si apparta sulla spiaggia col gran pupazzo  per vedere che tipo di fremiti ha con lui, se a buon mercato  o se, come pensa che sia, saranno piuttosto quei trilli del diavolo che, appena chiuso il pas de deux, lei, che non è Natasha, sarà costretta a confessargli il suo amore, ‘che un gran pupazzo così il gaudio lo raggiunge anche se, mamma mia, a vedergli fare il pas de deux, sta sudando come un bue.


La sala da ballo, mentre passano i titoli di coda, si sta svuotando, poi c’è un campo lungo in cui all’orizzonte il mare e in qua un altro pezzo di spiaggia e il Leonida che era con la nostra Natasha che non si chiama così perché siamo nel Sud Italia negli anni cinquanta e ancora non erano arrivate troie e badanti russe e ucraine sta di spalle rispetto al visionatore virtuale e sta componendo quello che, tra i 64 esagrammi dell’I Ching, è detto l’abissale, acqua su acqua, tanto che all’improvviso c’è un tuono e vien giù un acquazzone tanto forte che, via, chiude anche la giostra e tutti a correre e a ballare per strada cantando nel blu dipinto di blu. Tanto fai passare ‘sti due decenni del cazzo e poi vedrai che musica!


L’abissale che ci è venuto fuori, quello che sopra c’è Kkann e sotto anche, che è uno degli otto segni doppi: il segno Kkann è quello del precipitare dentro, una linea yang è precipitata fra due linee yin, che son quelle spezzate, e quella che precipita è intera, come immagine è l’acqua e nel mondo umano è il cuore, anche se uno avrebbe potuto pensare che fosse l’anima che è racchiusa nel corpo, ed è quello che si vede quando la mesomorfa balla. L’acqua che viene dall’alto e che nella sala da ballo è in movimento per questo ci sono i fremiti e i trilli a buon mercato, come se fosse una gola montana, come uno stato nel quale ci si trova, come si trova l’acqua in una gola, e il canto di Sia, se state a sentirlo, è per questo che è così bagnato, avanti e indietro, poi ci si ferma un po’, altrimenti finisci in una buca o in una brocca di vino, ogni passo avanti e indietro e non c’è tempo di pensare a fuggire, nemmeno dalla finestra, che, a ben vedere, non è strano che non si sia mai vista una sala da ballo con le finestre?, e giungendo al quinto posto in alto come se fosse la complessità di Abraham Moles c’è questa linea che cade ed è l’abisso che non viene colmato troppo, viene riempito solo fino all’orlo, quindi come se la complessità c’è ma non deborda, nessuna macchia, e laggiù, sulla linea dell’orizzonte, il visionatore che non è il gran pupazzo di Natasha come se fosse legato con corde e gomene, invece di far fare alla mesomorfa di 55 chili lo shibaru è per tre anni senza orientamento dentro il fantasma inondato dal suo sibaritismo mancato che si farà abissale piacere singolare. Quel che rimane è che l’abissaleè l’esagramma numero 29, che, nella smorfia del sud Italia, non è altro che il (-φ) di cui negli stessi anni cinquanta Jacques Lacan  psicanalizzava le gesta nei suoi freddissimi seminari a Paris, senza mai aver detto che in realtà l’abissale si chiamava semplicemente Braquemart.

 …

 ▬
                                                       …
                                                       …
                                                       ▬
                                                       …

29. KKANN – L’ABISSALE   

El coño luz de Hierrante de Acuña ⁞ 4|5

Aurélia Steiner de Durrës e il gioco dei Tre Gaz ⁞ Alain Bonheur & Fletcher Flora

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Il gioco dei Tre Gaz.
La civiltà e il gaudio dell’oggetto “a”
Mini-Lebenswelt
con Fletcher Flora[i]t

“Caro,” disse Aurélia al poeta, “sono così contenta che tu ti comporti come un essere civile.”
“Oh, io ho sempre sostenuto l’importanza degli esseri civili, purché non siano ombroni  o di altre minoranze che rivendicano radici medioevali e quindi del tutto prescritte” le fece osservare il poeta. “A mio modo di vedere, sono essenziali alla civiltà, a meno che con la storia della lingua doppia, mai scritta tra l’altro, non tengano in conto il rapporto con il governo centrale per le quote fatalistiche, professionali, impiegatizie, sportive, militari, trascendentali e previdenziali”.
“In ogni modo, è assolutamente eccezionale per te suggerire che ci riuniamo tutti e quattro e discutiamo della cosa con tranquillità e cortesia, senza badare ai postulati della Costituzione. Non che in definitiva possa cambiar nulla.”
“Cosa vuol dire, che non cambierà nulla?” chiese il poeta allarmato.
“Vuol dire che sono decisissima a lasciarti, naturalmente. Sono sicura che questo lo capisci.”
“Capisco che è la tua intenzione- disse il poeta a Aurélia - ma spero di farti cambiare idea, quant’è vero che ho la connessione Marte/Urano peggio di Bonaparte!”
“Beh, è semplicemente impossibile. Sono innamorata di un mio connazionale, abbiamo la stessa Herkunft e lo sposerò, e non c’è altro da dire. Mi spiace, caro Vuesse, ma è assolutamente necessario al mio gaudio.”
“Ciò significa, per come lo capisco io, che non sei più dentro l’orbita del mio gaudio. E’ vero?”
“Ma non essere scemo. Come potrei non essere più nell’orbita del gaudio, è che vorrei amarti come oggetto “a” e ti amo pazzamente, lo sai, ogni volta che passerai al mio meridiano, ti amerò follemente, un giorno e una notte interi, ogni volta che lo fai salire lassù il mio oggetto “a”!”
“E allora a che cazzo ti serve sposare quel mezzo albanese come te?” disse incazzato il poeta.
“Oh, Vuesse, amore mio, di amare ti amo, ma adesso ti amo come ti ho detto: voglio che tu sia il mio oggetto “a”. E’ triste, in apparenza, ma sarai ancor di più il mio gaudio.”
“Aurélia, hai qualcosa della troia di Durrës che è più troia di quella grande troia di Sibari, e negli ultimi tempi sei diventata ancora più troia, una troia immensa”, e la guardò con un gran male al cuore, perché se il suo modo di amarlo era disgraziatamente e tristemente cambiato, il suo modo di amare Aurélia non era cambiato in nulla. Era così bionda, con quel bagliore ainico, così incredibilmente zoccola, anzi una vera e propria kurvë. Indossava, notò, quell’abitino “Marella” che più che le linee del corpo rivelava, ogni volta che l’indossava, l’immensa voglia di farsi trombare come una troia, e sempre come se fosse l’ Attrazione di Durazzo, la sua versione della numero 40 del Foutre du Clergé de France, in cui è denominata come l’Attrazione di Milano. Che non è la Giostra Stanziale di Segrate.
Aurelia Steiner de Durrës così come
è resa immagine in "Lunarionuovo"
qualche anno fa: potrebbe essere lei
la giumenta di Parrotë
“Vuoi un martini?” le chiese il poeta.
“Ne prenderemo uno tutti insieme quando arriverà  il mio amore. Ci farà sentire rilassati e a nostro agio, non pensi? I martini sono l’ideale, da questo punto di vista.” rispose Aurélia.
“Dal punto di vista del martini, non hai smesso mai di farmi lo spot di Charlize, con quelle mutande di seta La Perla, e da quel punto di vista non hai mai smesso di farti inculare subito. Se poi, quando arriva quel mezzo analfabeta vorrai farti inculare ancora vorrà dire che prenderai un altro martini. Il vermouth, lo sai, di questo si tratta, lubrifica l’anima, la minchia e il canale del gaudio, sempre se si sia almeno in due ad averne voglia”.
“D’accordo, ma sento il campanello. Lui deve essere arrivato.”
“E facciamolo entrare dunque, questo gran coglione, vediamo quale meraviglia di fenotipo si presenta al nostro cospetto…E’ meglio che vai tu ad aprire, una grande zoccola fa sempre entrare lei un gran coglione!”
Aurélia andò ad aprire la porta d’ingresso, e fuori c’era il suo compatriota, che entrò nell’anticamera e Aurélia gli mise le braccia intorno al collo, e quello le accarezzò il culo. Non c’era niente di nuovo nel fatto che Aurélia si facesse accarezzare il culo da un uomo – glielo avevano accarezzato in tanti! – ma questa carezza era diversa dalle altre e tutta speciale. Ardente era l’aggettivo più blando con cui la si potesse definire , e durò molto a lungo. Dalla posizione del poeta nel soggiorno vedeva tutto chiaramente, non c’era bisogno del martini, un altro po’, ci fosse stata una sedia, Aurélia si sarebbe fatta inculare. Ma il poeta smise di guardare e preparò i martini.
“Beh, voi due,” disse la troia, “eccoci qui.”
“Esatto,” fece il poeta. “Eccoci qui: la zoccola, il cornuto e  l’insignificante.”
“Questo è Ngagaz, Gaz,” presentò Aurélia. “Ngagaz, questo è Gaz.”
“Piacere di conoscerla, Gaz,” disse Ngagaz.
Non era alto come il poeta, e neanche così eretto, ma dovette ammettere il poeta che aveva un bell’aspetto e una volta  portato il (-φ) al meridiano la passata alla zoccola sarebbe stata oltremodo lieta.


“Si chiama Gaz, lo sai,” spiegò Aurélia, “ma io lo chiamo spesso Caz.”
“Abbiamo avuto momenti di innalzamenti al meridiano veramente spettacolari.” Disse il poeta senza che Ngagaz capisse un cazzo.
“Lei si sta comportando in modo molto cavalleresco,” disse Ngagaz.
“Civile” lo corresse il poeta. “Mi comporto da essere civile e non da retribuito dallo stato in quanto appartenente a una quota di minoranza, ancorché la minoranza sia non solo virtuale ma anche…”
“Prendiamo i martini?”lo interruppe Aurélia.
“Grazie, volentieri”, disse quell’autentica mezza sega.
Il poeta versò i martini, e quei due sedettero sul sofà  una sopra all’altro. Quando servì i martini, quello che teneva  sulle ginocchia la moglie del poeta prese il bicchiere con la sinistra, e la moglie lo prese con la destra, mentre quello con la destra  spostava le mutande della signora e quella con la sinistra se lo piazzava dio solo sa se la cosa fosse da fare ancor prima di aver bevuto il martini.
“Mi pare”, cominciò il poeta “che sarà meglio cercar di risolvere questa situazione.”
“Mi spiace, Gaz” disse Ngagaz, “ma direi che lo abbiamo già fatto,”e guardò il poeta negli occhi, con un’espressione da uomo a uomo.
“Beh,”osservò il poeta, “per come la vedo io, lei vuole possedere una cosa che è mia, e io naturalmente me la voglio tenere, e questo crea un problema di appropriazione.”
“Ma quale problema? Non mi pare che ci sia nessun particolare problema.”
“Non pare neanche a me, “interloquì la zocc…Aurélia.”Assolutamente nessun problema. Noi due divorzieremo, Gaz, e noi due ci sposeremo, Ngagaz, e questo è tutto.”
“Per come la vedo io, “ le fece eco Ngagaz, “questo è tutto.”
“Per come la vedo io,”obiettò il poeta, “se questo è tutto, pensate che le possa bastare? Ho tutte le intenzioni di essere civile e simpatico, il che è una cosa, conosco a menadito tutta la problematica dell’oggetto “a” di Lacan, ma non sono affatto disposto ad arrendermi supinamente, il che è una cosa completamente diversa. Devo insistere perché mi sia concessa una giusta possibilità di risolvere la faccenda a modo mio, ma nello stesso tempo non voglio rendermi antipatico, il che è evidente, e così ho pensato a un modo di sistemare le cose all’amichevole.”
“E quale sarebbe questo modo all’amichevole?” chiese ansiosa la zoccola. Mentre Ngagaz era un po’ sulle sue, perplesso o forse anche preoccupato.
Il poeta traversò la stanza, prese un foglio di carta sulla scrivania e due dadi e tornò al posto di prima.
“Che cosa c’è scritto?” chiesero all’unisono Ngagaz e la moglie del poeta Gaz.
“Non c’è scritto niente. Adesso la troia prende i dadi e fa il lancio: i due risultati sono moltiplicabili, addizionabili e sottraibili. Facciamo una prova: ecco, lancia i dadi, Aurélia!” e porse i dadi alla donna. Che lanciò e fece: 6 e 5. “Ma che cazzo, Vuesse, vuoi giocarmi ai dadi? Ti ha dato di volta il cervello?”
“Aspetta. Stai calma: non hai un cazzo da perdere. Anzi ne hai uno in più. 6 x 5 fa 30 e chi vuole ti fa fare la Carriola; l’altro fa l’addizione: 6+5 che fa 11 e ti scopa nella dolcissima impalata; infine si fa la sottrazione:6-5 che fa 1 anche a Durazzo, da dove cazzo siete venuti a rompermi i coglioni e a farmi cornuto: ed è il modo del buon modo antico, che, quando esce davvero, si chiama un altro fottitore che fa il missionario che fotte questa pastorella.”
Per la prima volta da quando si era seduta sulle ginocchia di Ngagaz, Aurélia appoggiò il mento alla mano, e appoggiò il gomito sul ginocchio. Che, ogni volta che il poeta lo guardava, pensava che era straordinario come il ginocchio di Aurélia assomigliasse al ginocchio di sua nonna, quand’era naturalmente giovane, che, si era sempre detto, in confronto, il genou di Claire era davvero poca cosa, e la nonna del poeta non era del Capricorno, invece il nonno era proprio del Capricorno. Anche se aveva un gran fallo ma in quanto a ginocchio si capiva che a Genova c’era stato solo per imbarcarsi per Buenos Aires. Aurélia, quando si metteva così, era per il semplice fatto che la pulsione sado-anale le stava furguwunando il passaggio a sudovest:  era nel gaudio totale, evidentemente allietata dalla prospettiva di due uomini che amichevolmente  giocavano a dadi per vedere in che modo possederla, per non parlare del terzo.
“Ma, “obiettò Ngagaz, “qui escono tre soluzioni e tre modi e tre…”
“Tre cazzi,”dissero all’unisono il poeta e la moglie del poeta.
“Pretende sul serio che Aurélia prenda parte a questo immondo giochetto?”
“E’ necessario,”disse il poeta,”se vogliamo che tutte e tre le alternative possano verificarsi sempre. E’ come la faccenda del “tertium non datur”, non so se lei capisce a cosa mi riferisco. Sono sicuro che Aurélia sarà d’accordo.”
“Certo che sono d’accordo” assicurò Aurélia.  “E’ semplicemente giusto e necessario che io partecipi.”
“Te lo proibisco assolutamente,” disse Ngagaz, come se fosse già suo marito, che stronzo!
“Non essere presuntuoso, tesoro,”protestò la moglie del poeta. “Per il momento non puoi proibire un cazzo.”
“Deve  ammetterlo, Ngagaz, “ rincalzò il poeta Gaz, “al momento nessuno di noi può ordinare o proibire niente a nessun altro. Il massimo che lei possa fare è rifiutare la sua personale partecipazione.”
Aurélia girò la testa e guardò con occhi sgranati Ngagaz. Era evidente che la possibilità di una tale riluttanza da parte dell’amico non si era mai affacciata prima alla sua mente.
“Ma certo, Ngagaz,”gli disse, “se non te la senti di giocarmi a dadi, nessuno ti costringe.”
“Non si tratta solo del gioco dei dadi” protestò Ngagaz.”Pensate alle complicazioni. Supponiamo che alla sottrazione esca un 4 e…allora Aurélia …Oh, Dio, che fa? Si mette sulla sponda del letto, con il culo il più possibile vicino alla sponda del letto, e le gambe le deve avvinghiare al di sopra dei garretti dell’uomo che non conosciamo e che la deve infilzare e poi picchierà duro…e lei non deve dimenticare di imprimere alle chiappe un movimento continuo, o intermittente, come cazzo le aggrada… Insomma, non è piacevole. E poi questo tertium non datur chi sarebbe? Sarà preso di volta in volta, e quante volte in una settimana, in un mese, e se il soggetto non è quello giusto?” Ngagaz guardò accigliato sia il poeta che la moglie.
“Quindi aderisce alla proposta o no?”
“Direi di sì. Vedo che Aurélia è tutta presa dall’idea.” “Lo sono,” disse Aurélia, “certo che lo sono, Gaz, quest’ultima trovata è assolutamente geniale. Benché un tempo fossi incline a esagerare le tue virtù, adesso capisco che per certi versi non ho riconosciuto i tuoi meriti e la potenza fallica che c’è nella tua libido. In questa faccenda, hai trascurato solo un particolare, e devo ammettere che ne sono un po’ delusa.”
“Si? Quale?”
“Avresti dovuto anteporre al gioco dei dadi nell’ambito dell’esibizione preliminare per portare l’oggetto “a” dei fottitori al meridiano  non il martini ma la gazzosa.”
“Oh, già : gazzosa tra Gaz e Ngagaz e il terzo Gaz, Tretë-Gaz. Mi sono proprio lasciato scappare un’occasione di essere galante, mi spiace molto. Ma temo che sia troppo tardi per cambiare. Son sempre tre Gaz, e non abbiamo un esempio fantasmatico come quello di Charlize per il martini.”
“Aspettate un momento”, esclamò Ngagaz. “Non è che i dadi siano truccati?”
“No. Non sono truccati. Ma se vuole, usiamo le carte. In ogni modo, i dadi potete sceglierli voi due, e io sceglierò il terzo inaspettato. Va bene così?”
“E se quello non viene?” disse perplesso Ngagaz.
“Sarà uno di noi a fare anche la sottrazione.”
“Va benissimo,” dichiarò Aurélia, “e non trovo che sia molto simpatico da parte tua, Ngagaz, insinuare che Gaz possa tirare a imbrogliare, in una questione d’onore come questa. Adesso suggerirei di bere un altro martini e di comportarci come buoni amici.”
Da buoni amici bevemmo il martini, dopodiché Aurélia in mutande ci fece vedere cosa se ne faceva di una come Charlize: Oh, Gaudio, pensò il poeta, la mia Aurélia di Durrës è indiscutibilmente la signora Gaz e anche Ngagaz. Dev’esserci nella sua Herkunft la linea genetica delle gazzusare.t Alain Bonheur






[i] Cfr.Fletcher Flora, Most Agreeably Poisoned, © 1957 by H.S.D. Publications, Inc. Trad.it: Un simpatico avvelenamento, in Galateo del delitto, Feltrinelli, Milano 1965.

Tavola  delle combinazioni dei dadi al Gioco dei Tre Gaz


Lancio di Aurélia per Gaz                                             
Lancio di Aurélia per Ngagaz
Lancio per Tretë-Gaz
1-1= 1x1=1 Del buon modo antico                            
1+1= 2 E kali
1-1=0 ovvero  41=I Gjashtëdhjetë e nëntë
2-1=2x1=2 La cavalcata
2+1=3  E kineze
2-1=1=E mirë mënyrë antike
3-1=3x1=3 La cinese                                                        
3+1=4  Mbi  të anë i shtrati
3-1=2
4-1=4x1=4 Sulla sponda del letto                                 
4+1=5  E katalane
4-1=3
5-1=5x1=5 La catalana                                                    
5+1=6  E sulltane
5-1=4
6-1=6x1=6 La sultana                                                      
6+1=7  Gambe incrociate/ Këmba  takohen
6-1=5
2-2=2x2= 4                                                                         
2+2=4
2-2=0 ovvero 40=E tërheqje i Durrësi
2-3=2x3=6                                                                          
2+3=5
3-2=1
2-4=2x4=8 Il mulino a vento                                           
2+4=6
4-2=2
2-5=2x5=10  Il mondo aperto e rovesciato                     
2+5=7
5-2=3
2-6=2x6=12  La giumenta di Parrotë                  
2+6=8 Il mulino a vento/I Mulli ere
6-2=4
3-3=3x3=9 Il mondo rovesciato                                       
3+3=6
3-3=0 ovvero 39=E tajë
3-4=3x4=12                                                                                              
3+4=7
4-3=1
3-5=3x5=15 Il rovescio della cavalcata                         
3+5=8

5-3=2
3-6=3x6=18 La carezza del tenero amico                        
3+6=9 Il mondo rovesciato/ E Botë në anë e prapme
6-3=3
4-4=4x4=16 Il rovescio della cinese                                   
4+4=8
4-4=0 ovvero 38=I kundërt e shtaze me dy koka
4-5=4x5=20 L’imbronciata                                                   
4+5=9

5-4=1
4-6=4x6=24 L’intreccio tra i due generi 
4+6=10 Ιl mondo aperto e rovesciato/ E Botë e hapur e në anë e prapme
6-4=2
4+6=10 Ιl mondo aperto e rovesciato
5+5=10
5-5=0 ovvero 35=E rojë oppure 33= E Misterioze
5-6=5x6=30 La carriola                                                           
5+6=11 La dolce impalata/ E butë shtangur
6-5=1
6-6=6x6=36 L’altalena                                                            
6+6=12 La giumenta di Parrotë /E pelë i Parrotë
6-6=0 ovvero  33=E gazmore oppure 31=E klizmë çudìtëse


Palla Madōškë! | Idiomatica proibita

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ÉIDIOMATICA PROIBITA|Mia Nonna dello Zen
 
 
 
 
Palla Madōškë!
[=Per la Madosca!]
Starebbe, questa esclamazione di meraviglia  e di sorpresa, per:
“Per la Madonna!”, ovvero: “Oh, Dio!”, “Oh, Madonna!”, “Madonna mia!”, “Oh, Gaudio!”
 

 

TOMO LOREM|Somatologia e Idiomatica dell'immagine

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  TOMO LOREM |
Idiomatica Proibita dell’oggetto “a”

Quella volta che all’oggetto “a” le si rompe il tacco, l’unica volta che c’è questa sorta di “supervisione selettiva” dell’occhio del visionatore. Dalla morfologia situazionale, ne verrebbe fuori tutta una serie di leggi sul ripristino, se ci vuole più tempo a rincollare un vaso che a romperlo, per rincollare il tacco ce ne vuole di più di quanto ne serva al visionatore per incollare l’oggetto “a” così immobilizzato al suo Meridiano?C’era la Legge di Drazen sul ripristino: il tempo che ci vuole ad aggiustare una situazione è inversamente proporzionale al tempo che c’è voluto per guastarla[i]; qui: il tacco, e l’oggetto “a” nella situazione del suo guasto, e avete notato come la figura abbia una pregnanza patagonica che sembra che faccia il verso, o sia speculare, al fatto che ci vuole più tempo a perdere un numero di chili che a metterli su. Insomma, sembra che tutto sia successo per dare il Bonheur al visionatore, altrimenti perché si sarebbe  rotto il tacco?
La rottura del tacco  rende più bassa la figura e fa innalzare l’oggetto “a” del visionatore al Medio Cielo, diciamo che se, al tempo della situazione immobilizzata, la figura aveva col tacco  un indice del pondus tra 19 e 20, che è nella forchetta del valore “alto”(12-20, il valore cresce decrescendo), senza tacco ha un indice del pondus tra 12 e 13, il valore più elevato di “alto”; così, senza scarpe, la figura ottiene almeno un punto in più anche nell’indice costituzionale: con i tacchi poteva essere  oltre il valore 52; senza, come appare nella fotografia, ha un indice costituzionale che va un po’ oltre il limite mesomorfo, che è 53. Insomma, se, a guardarla bene l’attrice di cui al nostro oggetto “a”, dandole 94-95 di fianchi, l’altezza  così com’era dichiarata pari a 173 centimetri e almeno 66 chili di peso, avremmo questi numeri della sua morfologia: a) fianchi 94 x 100= 9400 : 173 =  Indice costituzionale54.33 da normolinea mesomorfa o da paralongilinea endomorfa; b) 173 – (66+94=)160=  Indice del pondus13, “alto” al massimo livello[ii]. Se il visionatore , per allietare l’oggetto “a” e prolungarne il Bonheur, dando il valore letterale ai numeri dei due indici, ottiene, con il pondus, una T o D(=1) e una M(=3), cosicché possa affidarsi allo schema verbale “doma”(o “domo”) o al sostantivo-archetipo “Tomo”; con l’indice costituzionale, avendo una L(=5), una R(=4) e due M, può formare  qualcosa come “LoReM”. Tanto che, continuando a soppesarlo il suo oggetto “a” al Medio Cielo, essendosi fatto più corposo corrisponderebbe al “TOMOLOREM”, come se Lorem avesse un pondus più pesante di “LoreN”. Insomma, la rottura del tacco è inversamente proporzionale al ripristino del pondus dell’oggetto “a” del visionatore, il Tomo Lorem così pesante allunga la durata del suo esporsi, o riapparizione, come demone meridiano per il poeta-visionatore. D’altra parte, il numero della macchina è il 24, e il tacco le si rompe, il tacco che è simile all’1, così quel 24 è come se fosse 24-1, che fa 23, cioè la figura del 5 [23= 2+3=5], nel gergo palermitano il 23, e la figura del 5, è il deretano, in parole povere è l’indice del pondus  della Loren che, senza tacco, aumenta e immobilizza la figura(del 5) come oggetto “a” del poeta-visionatore.
Naturalmente, la sequenza numerica compone altri sintagmi: per esempio: “Dio Mio, l’orma mia!”, “Dio Mio, l’ora mia!”, “Domo l’ora mia”, “Domo l’ira mia”, “Dio Mio, l’armamia!”, “Duomo Lorem”, “Dama Lorem” fino a: “Ti Amo, Lorem!. In napoletano: “Dio Mio, Lu Rummo!”: “Dio Mio, il Rombo!”( va da sé che il visionatore colto allude al “rombo” di Lacan).
 Il latino permette soluzioni sempre patagoniche per l’oggetto “a” e il demone meridiano: l’indice del pondus è sempre correlabile con un avverbio, tipo Tam, Tum, Dum: “Tum(=13)Lira(=54)Mimae!(=33)”: “Allora, in quel momento, il solcodell’attrice!”; “Tam Lira Mammae!”: “Talmente, in tal grado, porca(=”terra sollevata tra due solchi”) del petto!”; “Dum Liro Mima”: “Per tutto il tempo(che la guardo) deliro l’attrice”; Doma, Lira, Mamma: “Terrazzo, Porca (o solco), Petto (o mammella)”.
Con l’indice del pondus come schema verbale, avremmo: “Tumeo Lira Mimae!”:”Sono gonfio, rigonfio, per il solco dell’attrice!”oppure: “Sono agitato per la porcadell’attrice!”. Con il verbo “demo”: “Demo Lorum”: “Tolgo, levo, la cinghia(le redini, lebriglie…all’oggetto “a”)”. Se 13 è “temo”, la “pertica, il timone”, potremmo avere, per “temo lira mimae”: “la pertica, il timone, per il solco dell’attrice”. “Temo” è anche “il carro, l’Orsa Maggiore”, che è lì col suo numero 24: “Temo Lira Mimae”: “il carro per ilsolco dell’attrice”. “Tam Liro Mamma”: “Così tanto deliro per la mammella!”; “Tam LiroMima”: “Talmente aro(che deliro) (per) l’attrice!” by v.s.gaudio

[i]Cfr. Arthur Bloch, Murphy’s Law Book Two, © 1980.
[ii]Cfr. V:S.Gaudio, La polisemia fisiognomica, in: Idem, Oggetti d’amore.Somatologia dell’immagine e del sex-appeal, Scipioni Bootleg, Viterbo 1998. Cfr. anche, nello stesso bootleg,  Come calcolare l’indice del pondus, la Tavola dei Tipi Morfologici e la Tabella degli indici costituzionali.
 

SARENCO ▬ Poesie Scelte 1990

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Sawda
Mi chiedi per strada
i soldi del marunghi.
E’ il tuo sabato del villaggio:
starai sveglia tutta la notte
a farti scopare da tuo marito
che lavora alle Poste di Malindi.

Vieni a prenderli a casa,
nel mio letto.

Detto e fatto, Swada invade
il taxi coll’ampio velo nero
di bui-bui argentata,
lascia solo la fessura
dei begli occhi e ride
pensando al fatto di tradire
sua sorella, mia moglie precedente.
L’abbraccio del mattino è forte,
pieno di rumori.
Il taxi aspetta in giardino,

Omari ride in cucina
e sminuzza aglio e pomodoro.

L’America è lontana
ed anche aprile.

La stagione delle piogge è finita
e comanda il sole.

Ridono tutte le maschere africane
e il pesce palla appeso al muro
mi strizza l’occhio sornione.


I funghi di Kakamega
I funghi di Kakamega,
le strade di Lunga Lunga,
i banditi di Lokichokio,
le zanzare di Kikambala,
le ragazze di Mariakani,
i silenzi di Oloitokitok,
il solleone di Rumuruti,
le maschere di Nyahururu,
le palme di Garba Tula,
i manghi di Loyangalani,
i millepiedi di Makalanga,
i gioielli di Bambolulu,
le papaye di Chicangoni,
le barche di Kisingitini,
i coccodrilli di Masalani,
le paludi di Daka Dima,
le foreste di Chakavali,
i leoni del Maasai Mara,
le giraffe di Amboseli,
i fenicotteri di Salabani,
gli squali di Ngomeni,
la figa di Pamela,
i funghi di Kakamega.


La banda delle somale
La banda delle somale è arrivata,
tutti i colori oltraggiano la casa
seria ed ammuffita.
I veli ed i tessuti mossi
da un invisibile ventilatore
(very powerful) accarezzano
le porte e le sponde del letto
grande a sei piazze.
Fatma, Sadia, Sadika e Amina giocano
al gioco più perverso
della seduzione antica.
La preda non ha scampo
e sceglierà la migliore, si fa per dire,
ovvero colei che il gruppo
gli ha predestinato nel lungo
viaggio di andata sul taxi
sconquassato. Ma la preda
in effetti non è disperata:
anche lei gioca al gioco più antico
della sottomissione e già ride
contando i giorni (il tempo è circolare)
che la separano dagli altri contatti
corporali e dai profumi dell’incenso
e dagli oli vischiosi e tumefatti
in cui le somale-farfalle
mettono a  macerare i riccioli infiniti
e il rosa acceso
del pube equatoriale.


Semeni I
L’onda era lunga e misteriosa,
il vento non dava tregua
alla vela sbrecciata e consunta.
Il pesce fremeva sui fondali.
Quando Yusuf tirò le reti
il grande squalo gettò rabbia
al cielo ma il fiotto di sangue
dell’arpione delimitò il diritto
ed il potere. Nulla potè il vorace
se non morire tra le braccia
di Semeni, il grande dhow
dell’isola di Lamu.
La festa fu grande a bordo:
birra e sole e marunghi,
il verde e il blu del mare,
i seni splendenti di Suli Suli.

Ma al ritorno, l’oceano
era nero di grafite.


La capra bollita del villaggio di Shella
Ho mangiato la vecchia capra bollita,
ho intinto il pane nel brodo scuro
insaporito con pepe, masala ed iliki,
ho scambiato quattro parole in kiswahili
coi vecchi pescatori del Vasco De Gama Pillar,
ho guardato le nuvole basse dell’Oceano,
ho pensato alle chiappe di Fatuma,
mi sono trovato sulla strada del ritorno,
mi è venuta una grande tristezza,
per un attimo ho visto la morte,
ho dato fondo all’ultima vodka
e finalmente ho dormito il sonno del giusto.

English people in Africa
Come faranno gli inglesi a rimanere bianchi
e spettrali fantasmi anche in pieno sole
all’equatore?
Hanno una pelle sole-repellente
mi dice Salima seguendo dolcemente
gli umori anglofobi
di questa sera piena di fulmini
sulla strda Kakemaga-Eldoret
che percorro impassibile
sotto una pioggia torrenziale
alla ricerca di funghi porcini.
Leggono libri stupidi al ristorante
a lume di candela, in attesa
di un mediocre cibo
di cucina internazionale
(un doppio Fernet Branca mi ci è voluto
per liberarmi dagli odori putridi
e fatiscenti di margarina e grasso vario
senza riferimenti culturali).
Amo il sapore e l’aria fresca
di queste dolci montagne equatoriali,
i fulmini sul cammino, il freddo
intenso della sera, le zanzare
sbigottite, le rocce tonde che scendono
graduali all’abbraccio del Lago Vittoria
e del torrido bacino di Kisumu.

Maria di Eldoret
Ridono gli occhi e i denti
tra lenticchie e pomodori
(al Mercato Municipale di Eldoret),
 tra cipolle rosse sbigottite e tabacco
da annusare.
‘Cosa posso venderti?’ mi dice Maria
(il suo nome lo saprò dopo per traverse vie)
 in un perfetto inglese musicale.
‘Io cerco funghi all’equatore o,
se meglio preferisci, posso invitarti
in vacanza a casa mia a Malindi,
sulla costa, nel distretto di Kilifi’.
Maria mi toglie la parola e scompare
tra i sedani e gli allori.
Potrei comprarle tutte le patate
per farmi perdonare ma preferisco
andare al bar di fronte con il taxista musone.
Alla terza birra l’imprevisto succede:
Maria si è cambiata, si è messo l’abito migliore,
ha mollato all’amica angurie e pomodori
e si è comodamente assisa sul sedile posteriore
(del mio taxi naturalmente).
Non si può dire più niente per scherzo
all’equatore!
Già vedo le mie donne di Malindi
tendermi agguati armati
proprio davanti all’uscita
della Capannina di Camillo,
il mio ristorante preferito.
Il carpaccio di red snaper all’avocado
mi costerà una morte lenta, preso per la gola.
Ma la bella gola di Maria di Eldoret
e le lunghe mani
saranno il dessert migliore
di questa lunga notte africana
piena di rumori.
1990

 
[da: SARENCO | POESIE SCELTE 1961-1990 | 
POETRY IS OVER COLLECTION

| Copia 141/200 per Alessandro Gaudio]
 

V.S. Gaudio ▬ La poesia geografica di Sarenco. Divagazione ziffiana sullo stile dell'oca reale

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SARENCO
Poesie Scelte 1961-1990
Poetry is Over Collection
1.

La banda delle somale è arrivata,
tutti i colori oltraggiano la casa
seria ed ammuffita.
Così diceva Sarenco. E’ vero?
Voglio raccontarvi un’altra storia( si chiama “koan”). Un monaco domandò a Fuketsu: “Senza parlare, senza silenzio, come puoi esprimere la verità?”. Fuketsu osservò: “Ricordo la primavera nella Cina del sud. Gli uccelli cantano tra molti fiori”. C’è un commento del maestro Zen Mumon su questo koan. Mumon dice: “Fuketsu aveva spesso delle illuminazioni Zen. Ogni volta che ne aveva la possibilità, le esprimeva. Ma questa volta non riuscì a farlo e si limitò a citare un’antica poesia cinese. Non preoccupatevi dello Zen di Fuketsu. Se volete esprimere la verità, fate a meno delle vostre parole, fate a meno del vostro silenzio e parlatemi del vostro Zen”[i].

2.
I veli ed i tessuti mossi
da un invisibile ventilatore
(very powerful) accarezzano
le porte e le sponde del letto
grande a sei piazze.[ii]
Così diceva Sarenco. “I veli e i tessuti mossi da un invisibile ventilatore (very powerful) accarezzano le porte”: è un’affermazione vera?
Fare un’affermazione è compiere un certo atto del parlare. Così noi pronunciamo una certa espressione nel modo appropriato e nelle circostanze adatte. Recitare una poesia e fare un’affermazione non sono la stessa cosa. E’ vera l’affermazione “I veli e i tessuti mossi da un invisibile ventilatore” ? Sarenco diceva: “”I veli e i tessuti mossi da un invisibile ventilatore”, ma non faceva un’affermazione, né stava scrivendo un giallo: scriveva una poesia.

3. Perché ci preoccupiamo della difficile parola affermazione ? Se dico che la preda non ha scampo e sceglierà la migliore, ovvero colei che il gruppo gli ha destinato, faccio un’affermazione? O se dico che ne ho abbastanza delle stravaganze dell’estetica e dei poeti visivi, faccio un’affermazione? Credo di no.
Sarenco dice che “i veli e i tessuti mossi da un invisibile ventilatore accarezzano le porte e le sponde del letto grande a sei piazze”: è vero quello che dice? Le parole “I veli ed i tessuti mossi…” si trovano nella poesia La banda delle Somale nelle Poesie Scelte del 1990 di Sarenco: ciò non significa che Sarenco abbia detto che i veli ei  tessuti mossi da un invisibile ventilatore accarezzano le porte e le sponde del letto grande a sei piazze.
Io dico che non è vero che non vale la pena leggere un poeta dialettale come Tonino Guerra o Mario Grasso, e ora è vero che ho detto  non vale la pena leggere Guerra e Grasso, ma non è vero che abbia detto che non vale la pena leggere Guerra o Grasso: ho detto invece il contrario.

4. Che cosa dice Sarenco?
Ma la preda
in effetti non è disperata:
anche lei gioca al gioco più antico
della sottomissione e già ride
contando i giorni (il tempo è circolare)
che la separano dagli altri contatti
corporali e dai profumi dell’incenso
e dagli oli vischiosi e tumefatti
in cui le somale-farfalle
mettono a  macerare i riccioli infiniti
e il rosa acceso
del pube equatoriale.
Dice davvero Sarenco che la preda già ride contando i giorni e che il tempo è circolare, e chi gliel’ha detto? Jean Baudrillard? E la preda è il poeta visivo o concreto che sia o una della banda delle Somale, che, per questo, ha messo a macerare i riccioli infiniti e il rosa acceso del pube equatoriale? E se fosse stata la preda all’interno della banda delle Norvegesi o delle Canadesi il pube sarebbe stato quasi polare e bianco abbagliante? E avrebbe usato quella banda oli vischiosi e tumefatti? E’ importante sapere chi stia parlando? Se non lo scriveva Sarenco, che sul biglietto da visita scrive “poeta” e l’indirizzo di una casella postale di Malindi, e lo scriveva Vuesse Gaudio, che sul biglietto da visita all’inizio degli anni novanta poteva mettere quello della casella postale 340, 20101 Milano[che era quello della The Walt Disney Company Italia SpA], il senso di quello che ha scritto Sarenco, che dipende da chi lo dice e in quali circostanze e perché, avrebbe avuto senso? E’ la norma, questa, in generale; perché quindi non dovrebbe valere in poesia, e perché dovrebbe un poeta andare in Kenia per dire che le somale-farfalle mettono a macerare i riccioli infiniti e il rosa acceso del pube equatoriale?
La banda delle somale e il Mercato Municipale di Eldoret. Divagazione ziffiana sulla poesia geografica di Sarenco e sul Dasein.

5. Senza dubbio è difficile forzare le parole di Sarenco per sostenere che nella poesia si dica proprio questo o quello. Nonostante ciò, prima o poi si esaurisce l’analisi e si può definire che cosa vi sia detto, per poi domandare: è vero?
E’ vero che cosa? Possiamo semplificare le cose supponendo che la poesia consista soltanto dei primi versi citati: un poeta avrebbe anche potuto scrivere un componimento di questi soli otto versi. E come per Paul Ziff il nostro problema è “verità e poesia”, non questo o quel componimento poetico particolare. Possiamo dunque supporre che Sarenco abbia scritto gli otto versi citati, e poi, se ne è andato a letto con la preda che era arrivata in taxi, essi costituiscono l’intera poesia. Dovrebbe allora risultare meno difficile definire che cosa vi è detto, anche se non è un poeta dialettale e senza sapere, noi, chi fosse stata la preda, Amina, Fatma, Sadia o Sadika. Cosa diceva Donne? Che non vi è piacere se non è multiforme, e Paul Ziff poi aggiunse che era implicito che per il piacere si intende l’amore[iii], anche se, a ficcarci anche il poeta V.S.Gaudio, qualcosa del Bonheur, non solo come lo intendeva Camus, da qualche parte su quel letto a sei piazze vuoi che non sia illuminato dal rosa acceso del pube equatoriale di una di quelle Somale?

SARENCO-VERDI una rosa è una rosa e una rosa
antologia della poesia lineare italiana 1960-1980
factotumbook 25, edizioni factotum-art verona 1980

6. Sarenco si comporta sempre, tuttavia, in modo ambiguo. Quando fa il poeta lineare ha qualcosa del poeta visivo, o della concretezza del poeta dialettale, anche se la sua libido non ha la Umwelt circoscritta di questi, né quel campo di coscienza ristretto tipico dei poeti dialettali, anche di quelli che hanno il campo di coscienza più largo. Nel 1990, dice, in un’altra poesia di quell’anno, che ha mangiato una capra bollita, una vecchia capra bollita, che deve essere per via della faccenda della gallina vecchia che fa buon brodo, altrimenti che vorrà dire? Anch’io ho mangiato la testina di capra, non solo dentro i riti della ‘ndrangheta nei santuari dei monti della Calabria, che, le metti la K davanti, è un po’ montuosa come il Kenia, e, per questo, a culo non stanno mica tanto giù rispetto alle chiappe di Fatuma. Tanto che ho letto a una mia amica di questa terra del delta del Saraceno la poesia I funghi di Kakamega [iv]ed è stato come se l’avessi letta a un bambino, il bambino che appena ho finito mi chiede: Ci sono davvero le strade di Lunga Lunga e sono lunghe lunghe?  E io dico e i millepiedi di Makalanga come saranno, ti sembra che un millepiedi di Makalanga possa essere chi tra gli Skylanders ? La mia amica, che non è stupida, anche se purtroppo pare che sia nata proprio in questo habitat, non mi ha chiesto: E’ vero quello che scrive il poeta? S’è messa  a tradurla in dialetto locale: “I fùng ‘i Kakamèga, i stradë ‘i lungalùnkh, i bandìti ‘i Kassànë( o: ‘ì Kurigghiānë), ‘i zanzàrë dù pantānë, i guaglinellë ‘i trëbisāz, ‘u jùmë cìt d’u Saracīnë, ‘u jurnusu vrušentë di quadarārë, i maškërë ill’albidōnë, i palmë d’u lungomarë ‘i trebisāz, ‘u panë ‘i circhiārë, i cipùllë ‘i castruvillërë, iggiujèll d’agropölë, ‘i sardicèllë ‘i trebbïsàz, ‘i pipirūss ‘i Sinīs, ‘i varck ‘i dumìnïch’aīnë, ‘u drāghë d’ù Saracīnë, ‘u pantānë ‘i casālë-nūvë, ‘u vūšk d’ù pantānë, ‘a forēst d’u torinēsë, i lūpë breshë, i ciucc ‘i ll’albidōnë, ‘i pūrk ‘i sìbbärë, i sard d’a minnulārä, ‘a fiss’i sorītë, sorë onnë-tēnk..’nkūlē-t-vēnk,’i purtuāall ‘i trēbbisāz, i fùng ‘i kastrorèg”.
Esistono vari modi di guardare le cose, e uno è quello di chiedere “E’ vero?” mentre si guarda. Se guardo una poesia visiva, non solo di Sarenco ma anche di Franco Verdi, e mi chiedo “E’ vera la lettera frantumata?”, guardo la poesia visiva in un dato modo. Supponiamo che io prenda la lettera frantumata di Franco Verdi per farci una poesia lineare, e poi mi chieda “E’ vera la lettera E?”; che devo rispondere?

7. Come nella poesia dialettale, oltre l’ ambigua e apparente univocità del tertium non datur, una trappola della poesia di Sarenco è quella delpedinamento stesso o inseguimentocome doppia vita dell’altro, modalità baudrillardiana con cui non si dice: “L’altro esiste, l’ho incontrato”, ma bisogna dire: “L’altro esiste, l’ho seguito”. Sia la banda delle Somale che Maria di Eldoret sembra che siano inseguite, o come se l’ incontro così indiscreto, per non essere troppo vero, troppo diretto, dovrà essere con ogni evidenza  troppo indiscreto. Si esercita sulle figura femminile il “diritto fatale di inseguimento”. Questa virtù dell’Heimlichche sottentra nei personaggi della poesia di Sarenco, una sorta di fatalità indistruttibile dell’Altro, è come l’”irredentismo dell’oggetto”, l’”estraneità radicale”, l’”esotismo irriducibile”; ed è da qui che, in un altro testo, si potrà cogliere quella che Jean Baudrillard intende per “declinazione della volontà” e che, nella poesia geografica di Sarenco, rende di una evidenza perfetta ciò che, visto da una prospettiva d’insieme, manca al mondo, al senso che non ha frammenti, linee spezzate, forme segrete dell’Altro.
Un’altra trappola ancora della poesia geografica è questa del dettaglio, con la sua eccentricità e la contiguità frattale, drammatica come un’immagine fotografica, col suo silenzio e la sua immobilità. Provate a leggervi di nuovo Maria di Eldoret: questa immagine fotografica che è un mondo frattale di cui non si dà equazione né sommatoria in nessun luogo, anche se quella donna è lì in quel luogo, vista nel dettaglio, colta di sorpresa: Ridono gli occhi e i denti ,tra lenticchie e pomodori  (al Mercato Municipale di Eldoret), tra cipolle rosse sbigottite e tabacco da annusare: immagine fotografica, rende conto dello stato del mondo in nostra assenza. E’ apparenza Maria di Eldoret che proviene da un altrove, dal suo proprio luogo, dal cuore della sua banalità, dal cuore della sua oggettualità; come ogni altro, come avviene anche nella poesia dialettale di Mario Grasso, fa irruzione da tutte le parti, con la delicatezza patafisica del suo senso che non vuole riflettersi, vuole essere colto direttamente, violentato lì per lì, illuminato nel dettaglio, oggetto stupefatto che capta l’obiettivo del poeta, è il bagliore didonico, questo bagliore di impotenza e di stupefazione che manca completamente alla mondanità della lingua, della poesia, nazionale. “C’è del fotografico solo in ciò che è violentato, sorpreso, svelato, rivelato suo malgrado, in ciò che non avrebbe mai dovuto essere rappresentato perché non ha immagine né coscienza di se stesso”, dice Baudrillard[v]: o forse, al contrario,  all’improvviso, per effetto del suo stesso bagliore didonico , l’immagine e la coscienza di sé esplodesse come patagonico Daseinsomatico al Mercato Municipale di Eldoret.


 Pokot, Kenia

8.  “L’onda era lunga e misteriosa, il vento non dava tregua alla vela sbrecciata e consunta”[vi]: se mi domando “E’ vero?”, che cosa si può pensare che stia domandando? Che di lì a poco il pesce  fremeva sui fondali o che la vela sbrecciata era tra le barche di Duminik’Ajìnē che per quell’onda lunga e misteriosa se le vide tutte ingoiate dal grande squalo che Yusuf tirò su con le reti che gettò rabbia al cielo e poi, lì, vicino alla banchina ‘i Trebbisàz, ha vomitato il resto della flotta?
Se lo stessimo leggendo sulla “Gazzetta del Sud”, non resterei sbalordito alla domanda “E’ vero?”. Ma se stiamo leggendo Sarenco e una persona adulta, indicando il verso di Semeni I, chiede “E’ vero?”, allora penso che quella persona sia stupida, e probabilmente afferente a quelli della banda che hanno fregato la flotta d’Ainë mentre stava a fare il nove a Calipso all’isola di Ghawdesh manco fosse Maria di Eldoret.

9. E’ inutile dire soltanto che normalmente non si domanda “E’ vero?” quando si legge una poesia, mentre lo si domanda quando si legge un articolo di giornale. O anche una poesia in dialetto. Ci sono dei poeti dialettali, che scrivono il dialetto che a leggerlo scritto, in un paesino di 675 abitanti di tutte le età, a cui non bisogna chiedere soltanto “E’ vero?” quello che ha scritto ma anche gli si può chiedere “E’ vero che per pubblicare questo ti sei venduto quei tre vani che t’aveva lasciato quella tua zia zitella?” E non è sufficiente dire che non si può rispondere alla domanda, anche perché a furia di scrivere poesie dialettali per quelle 675 persone che, poi, passato il secolo, sono diventate di botto 243, comprese le galline dell’unico pollaio che ancora c’è a ridosso del casello ferroviario senza che ci sia più il casellante, il poeta stesso se n’è andato a Roma dove è lì che si incrociano le lingue del mondo, e anche i dialetti del suo paesino, e quelli che vanno a violentare le ragazzine nel giorno più simbolico non solo per la città ma anche per l’umanità cattolica, e questo è vero, non perché lo si è scritto sui giornali, ancorché lo si sia scritto come ormai sui giornali vada tutto scritto secondo i dettami di Bilderberg, è vero perché è vera l’Herkunft del violentatore indicato. Dico a qualcuno: “Se devi leggere i giornali, il solo modo intelligente di leggerli è quello di leggerli con occhio critico”. Voglio quindi che, mentre legge, egli si chieda con una certa frequenza “E’ vero?”. E’ uno dei modi di leggere qualche cosa. Domandarsi “E’ vero?” ha un senso nella lettura di giornali, libri di storia, cronache di avvenimenti sportivi, gare ciclistiche, partite di basket, partite di calcio, e così via. Non credo però che abbia molto senso nella lettura della poesia. Se dite “E’ vero?”, a proposito delle poesie lineari di Sarenco, il soggetto di “E’ vero” è simile al soggetto dell’espressione “Sta piovendo” anche in Kenia.  Che cosa è vero, infatti? “Il componimento poetico è vero” sarebbe un’affermazione strana se riferita alle poesie di Sarenco, ma anche a quelle di Luciano Troisio, e    “Questo è vero” sarebbe un’affermazione non pertinente se riferita a un verso qualunque, preso isolatamente e fuori del suo contesto. Non si deve dire pertanto “E’ vero”, ma “C’è (della) verità in essa”. Anche perché anch’io ho pensato alle chiappe di Fatuma, l’altro giorno sulla strada durante la passeggiata di mezzogiorno, e anche ai seni splendenti di Suli Suli, e alle lunghe mani di Maria di Eldoret. E’ vero!

10. Nella poesia geograficadi Sarenco, un po’ come in Franco Loi (cfr. Stròlegh, Einaudi, Torino 1975), vedete che il poeta sta facendo una novella in versi, una romanza, ma è la romanza-metaforache specchia, con almeno tre funzioni di Isenberg, una situazione iniziale che è sempre la sua biografia; così, pur non avendo come riferimento la macrostruttura narrativa di Isenberg, combina il paradigma con l’attante, che è sempre l’io di chi narra, rammenta. Un po’ così la tira pure, la macrostruttura narrativa un altro poeta dialettale: Raffaello Baldini (cfr. La nàiva, Einaudi, Torino 1982). O, analogamente,Tonino Guerra (specialmente nei versi di I bu, Rizzoli, Milano 1972), anche qui vedete che c’è una stretta correlazione tra la struttura della poesia e quella del racconto; la macrostruttura narrativa contiene sempre almeno tre delle cinque funzioni di Isenberg e la funzione discorsiva  ha una concatenazione monotematica che smeriglia la ridondanza semantica; e vedete, infine, che la circolarità semica è speculare all’interazione tra l’io che narra e l’altro di cui si narra. Però, la poesia geografica di Sarenco non ha niente della poesia dialettaleconnessa al Dasein del poeta, che non ha procedimenti metaforici, un po’ come “el Periódico” che parla catalano, cioè scrive catalano, è scritto in catalano, non va da un termine di partenza per arrivare a quello di arrivo con la proprietà comune che permette la metafora: a) attuando una traduzione più o meno letterale; b) ridefinendo l’oggetto di partenza. Diciamo che nella poesia geografica non si è costretti ad usare quel “linguaggio di crescita”, con cui si ha un uso corrente, contestuale e situazionale del linguaggio che possa rendere più vera, o più verosimile, la referenza al Dasein. Ma non si può dire che non abbia anch’essa in uso  il “codice ristretto” della lingua in uso, e non avendo particolari procedimenti metaforici, non si può altresì dire che il linguaggio sia, perciò,  poco poetico : la verifica degli Indicatori Globali e dell’I Ching, come abbiamo fatto per la poesia dialettale connessa al Dasein di Mario Grasso[vii]ma anche per la poesia di Amelia Rosselli[viii], potrebbe addirittura stupefarci per via del fatto che possa produrre, per la poesia geografica di Sarenco,  l’esagramma  53.Tsienn, quello in cui il trigramma del Vento soffia su quello del Monte, l’esagramma della progresso graduale, corrispondenza che combina l’”irredentismo oggettuale” all’”attrattore strano”:  la linea iniziale dell’esagramma Tsiennè tutta nel basso e nella potenza dell’Heimlich dell’oca regale che si avvicina gradatamente alla sponda e siamo già nel paradigma del viaggio, che dall’acqua  verso le alture fino all’ambiguità etica della linea spezzata al 4° posto, ed è l’albero o un semplice ramo piatto, che, avendo sopra la complessità rattenuta che è quella dell’oggetto “a” costantemente proteso al ramo della vetta, al Meridiano, ed è per questo che l’erotica delle figure femminili si configura sul paradigma della “moglie che per tre anni non rimane incinta”, fino alla buona iconicità delle immagini, è la riga sopra, che fa il vento e il librarsi del volo delle oche reali: i segni misti dell’esagramma mostrano l’altro paradigma speculare a quello della “moglie”, che è la “fanciulla che viene data in sposa e che deve aspettare che l’uomo agisca”, come al Mercato Municipale di Alboret: il progresso graduale, ovvero lo stile di Sarenco, lo stile dell’oca reale che si avvicina prima alla sponda e poi alle alte nubi, quello dell’onda lunga e misteriosa  e delle dolci montagne equatoriali, fino  alle cipolle rosse al Mercato di Eldoret, un pedinamento del senso o dello schema verbale che si stende come una sorta di parallelo-Heimlichtra la sponda, l’altipiano,l’albero con il ramo piatto, la vetta e il volo tra le alte nubi[ix].
 byV.S.Gaudio


[i] Paul Ziff, “Verità e Poesia”, in: Idem, Itinerari filosofici e linguistici, © 1966, trad.it. Editori Laterza, Bari 1969.
[ii] Sarenco, La banda delle Somale, in: Idem, Poesie Scelte 1961-1990, Poetry is Over Collection, s.i.d.:pag.125.
[iii] Cfr. Paul Ziff, ibidem.
[iv] Sarenco, I funghi di Kakamega (1990), in: Idem, Poesie Scelte 1961-1990, ed.cit.: pag. 124.
[v] Jean Baudrillard, La trasparenza del male, trad. it. Sugarco edizioni, Milano 1991: pp. 165-166.
[vi] Sarenco,  Semeni I, in: Idem, ed.cit. :pag. 127.
[vii] Cfr. V.S. Gaudio, ‘U Porcu assicutava na Criata. Divagazione ziffiana sulla poesia di Mario Grasso, © 2007, Uh-Book 2015 on Youblisher. E’ consultabile online  anche su “Il Cobold”.
[viii] V.S.Gaudio, AMELIA’S SPRING. La Stimmung con Amelia Rosselli sull’impeto del desiderio o sul piglio elasticodella primavera che balza ora qui ora altrove, “Zeta”, rivista internazione di poesia  e ricerche, n.82, Campanotto editore, Udine  dicembre 2007.
[ix]  Adottando il metodo di cui abbiamo riferito in altri studi(vedi nota precedente), si mostra qui come l’esagramma dello stile della poesia geografica di Sarenco si è formato: al 6° posto, la riga sopra è quella della iconicità abbastanza buona, la linea è intera: ; al 5° posto, la complessità rattenuta codifica un’altra linea intera:; al 4° posto l’ambiguità etica, e quindi anche semantica, delinea una riga spezzata: – – ; al 3° posto la pregnanza espressiva e visiva configura una linea intera : ; al 2° posto la carica connotativa aperta è da linea spezzata: – – ; all’inizio, il codice ristretto produce un’altra linea spezzata: – –. Il trigramma superiore, tra iconicità e ambiguità, è Sunn, il Vento; il trigramma inferiore, tra la pregnanza e il codice ristretto, è Kenn, il Monte, la salda costanza da cui ha inizio  l’inesauribile movimento in avanti.

GOLF PATAGONICO ♦ Lebenswelt con Pelham G. Wodehouse e Aurélia Steiner d'Ushuaia

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Golf Patagonico Lebenswelt di V.S.Gaudio con Pelham G.Wodehouse e Aurélia Steiner d’Ushuaia
Ho imparato a giocare a golf piuttosto tardi, quando stavo a Ushuaia con Aurélia Steiner, che parlava quechua anche a letto, però non  aveva l’inflessione dialettale che hanno le ebree la cui Herkunftsi è stabilizzata per qualche generazione tra Sannicandro di Bari e l’alto Ionio cosentino; né, laggiù a volte la bontà  di Dio mi apparve immensa,  tracannava quell’acqua che bevono quelle ragazze, senza arte né un pizzico di patagonismo, che devono andare al concorso della Miss nazionale convinte che solo loro, che bevono quell’acqua, la fanno e, per questo, sono convinte di essere non solo belle ma le più belle, più orinano e più stanno allo specchio o si fanno i selfies e la didascalia: oggi ho fatto già 18 volte, sono 18 volte più bella di qualsiasi sciacquetta!


Anna Rawsonnon entra nella nostra storia,
ha il cognome del piccolo capoluogo della
provincia di Chubut, ma lei è australiana.
Strepitosi gli shorts, qui è più ectomorfa
e le stanno a pennello; qualche anno prima
era più mesomorfa e compatta.
Me lo insegnò il golf una giocatrice di golf, una che tra driver e putter, sapeva davvero come maneggiare la mazza, anche se aveva una pronuncia che mi ricordava  quella di Aurélia Gurgur, quella di Durazzo, che lo sapete come lo articola lo shqip: difatti, la mia maestra di golf mi faceva impazzire  quando, indicando  lo spazio erboso attorno alla buca, che è il putting, che già di suo non è innocuo, mi faceva intendere che dicesse  “petting”, e , con quei calzoncini bianchi a fior di culo, io non sapevo più rilassarmi[i]  e, che so?, invece di dar colpi leggeri, con il putter, davo  colpacci con la mazza pesante, il driver, insomma io contemplavo l’orizzonte, adirato, come il professore Derrick, nella famosa partita con Garnet nell’ Amore trai polli di Wodehouse[ii], e lei la mia maestra  se la godeva  per come avrei voluto trucidarla a colpi di mazza, più di quanto l’avesse mai rischiato in vita sua.
 Mi dava lezioni di golf quando d’estate ci spostavamo nella fattoria che Aurélia aveva nella provincia di Chubut [iii] (che a densità è ancor meglio di Ushuaia 1 vs 3!) tra Rawson e Comodoro Rivadavia,non posso dire di preciso dove altrimenti arriva troppa gente, si stava un po’ più caldi  che ad Ushuaia, e la tipa del Michigan poteva così ostendersi nei suoi shorts.
Un giorno mi disse: “Oggi non andiamo sulla piazzola di partenza, quindi scordati il driver, lascialo lì nella sacca, non ci saranno colpi pesanti oggi, sarà tutto sul leggero  sulla piazzola d’esercizio, con il putter mi devi far vedere  come col putting ce la mandi infine in buca”. A putting, naturalmente, anche con la mazza leggera che avrei dovuto usare, le venne fuori “petting”, e io le risposi che il petting essendo la parte più semplice del gioco avrei ottenuto  di sicuro un successo quasi immediato.  Lei, che era un po’ permalosa, come i giocatori di golf in tempo di cattiva sorte, mi disse che a volte non bastano quattro colpi per andare in buca, e io : ma quando ci andò il professor Derrick, era buono, si scrisse e che Garnet poi la fece in tre, ed era migliore; qui, la mia maestra si incazzò di brutto: “Ma dai, poetino, puoi fare tutto attorno al putting con tre colpi, tanto vale che metti la palla vicino alla buca e le dai il colpetto!”
La maestra aveva anche questo
tipo di shorts bianchi
Io ebbi l’ardire di rispondere: “Sarebbe maestoso!” E lei:  “Per trovare il giusto colpo per mandare la palla in buca, ti devi prima fare un’idea  esatta di come colpire la palla con la testa della mazza, hai capito, testa di cazzo?”
La guardavo  con la coda dell’occhio. Era adirata. Aggiunse, quasi urlando: “Impara come rotola…la palla e…l’effetto della natura dell’erba e dell’inclinazione del terreno…e come la devi tenere la mazza, la presa deve essere salda…ma quello che necessita nel putting( e disse ancora “petting”) è che ti metti vicino alla buca e dai qualche colpetto, poi la sposti indietro, la palla di 10 centimetri e continui a provare fino a quando riesci, ma non devi riuscirci subito, capisci? Quindi continuerai ad aumentare ancora la distanza, e vediamo come lo trovi il colpo giusto per mandarmela in buca la palla, e  allora, solo allora, capirai come devi colpire e quanto, e con la testa della mazza, con l’inclinazione giusta, come se fosse lo gnomone, il golf è un gioco di abilità, non di forza o di resistenza, ma devi dare con la mazza uno slancio vigoroso, hai capito, mio bel poetino saraceno?”
Su  come partire dalla schiena per colpire con la mazza e sulla sommatoria delle forze, imparai in fretta, è che con lei come maestra riuscivo sempre a sviluppare la giusta quantità di tensione, anche se i legamenti e le articolazioni avevano sempre una solidità elevata, e la capacità di rilassarmi invece era sempre più bassa, tanto che un giorno le chiesi di non venire sul campo con quei calzoncini che non mi facevano passare i 100.
-E che diavolo mi metto? I jeans della tua Aurélia? E se poi mi colpisci con la palla che è stata nel fosso quella chissà cosa si mette in testa! Tu, disse dopo una breve pausa, sei piuttosto quel tipo di giocatore di golf che veramente cessa quasi di essere umano, sei sotto la tensione  per i troppi falli che fai, l’ho visto l’altro giorno nella gara amichevole alla buona, sei troppo teso…”



- E’ che il (-phi) mi va su!
-Cosa? Cos’è il (-phi)?
-Niente. Ero sovrappensiero. Comunque ha sempre a che vedere con i falli…
-Ah…-fece lei con un vago sorriso. Poi disse: per evitare l’irrigidimento, faremo un circuito in più di scioglimento e un altro di flessibilità; ma non vuol dire che per questo ti devi ammosciare, insomma il tuo coso, come hai detto che si chiama?, il (-phi) , andiamo sulla piazzola d’arrivo, lo mantieni teso ma non troppo rigido, devi innestarlo con la marcia del deretano.
-Se è per questo, dissi, è quello il problema, solo che…non è quello di chi sta dando il colpo…



 Paula Creamer, le danno un apparato 1.75 x 59, e per questa corrispondenza non potrebbe che essere una longilinea ectomorfa, un tipo morfologico con un indice costituzionale sotto i 50, una come Naomi Campbell giovane o trentenne, vi pare che sia così? Il peso, pensiamo che debba essere corretto tra 65 e 66 chili, tanto che avendo hips da 90 cm avremmo un indice costituzionale pari a 51.42, da longilinea mesomorfa, come lo era la Christie Brinkley degli anni Ottanta: 90 x 100= 9000:175= I.C. 51.42(il valore delle longilinee mesomorfe è compreso tra 50 e 53). Posto il peso a 65 chili, avremmo un indice del pondus pari a 20: 175 – (90+65=)155=20, che è il gradino più basso del valore alto(la forchetta va da 20 a 12, più decresce, più il valore “alto” si alza, va verso l’”altissimo”); posto il peso a 66 chili, l’indice del pondus sarebbe pari a 19, e via di seguito.
 

-Il centro di gravità, poetino, è situato a metà corpo, vicino al punto della vita per te, e per me è un po’ più vicino alle anche, lo sapevi? Tutti i movimenti di battuta vanno iniziati dalle gambe per spostare il centro di gravità, però tu hai la mazza in mano, e il culo è come il manico, senza deretano e anche tronco, è come se perdessi il manico della mazza.
Mi guardò a lungo, ed era ancora lì, piegata come se fosse nella 17 del Foutre du Clergé, con quei calzoncini bianchi, e io mi chiedevo cosa stesse cercando nell’erba del putting, o cosa ci fosse mai nella buca. Alzò la testa verso di me, a sud e disse: - La testa orienta il corpo nello spazio e fornisce un punto di riferimento da quale si possono fare movimenti precisi del corpo.
-Questo lo vedo.
-Ascolta, poetino:  e guardami. Se ti concentri su di me con gli occhi, e non sono la palla, e tieni ferma la testa in modo che testa e collo siano punti di riferimento intorno ai quali si muove il corpo, i movimenti  verranno eseguiti con la massima precisione e avrai un ottimo controllo sul colpo che devi darmi. Se lasci invece vagare gli occhi, attorno alla palla che non sono, non solo non mi vedi più, ma vuol dire che hai perso un punto di riferimento basilare, e allora…
-Lo so- dissi- allora sto quasi per venire se…
-…Se giri la testa, il corpo e la mazza tendono a seguire il movimento della testa, che può essere contrario all’azione che si desidera fargli compiere. Se devi  spostare il corpo, la testa mantienila ferma.
- E la testa della mazza? – chiesi.
- Quando si usa un attrezzo per battere la palla, questo si flette e immagazzina energia durante l’impatto. Sostanzialmente nel tennis o quando  usiamo  il driver: una presa salda come una morsa è di importanza fondamentale per la potenza; se la tieni fiaccamente la mazza, anche la mazza per i colpi leggeri, non si piegherà all’impatto: perdi molta dell’energia che si sarebbe immagazzinata nell’attrezzo, per poi essere trasmessa alla palla; non è solo una questione di presa salda per il tennis, ma anche per il golf, se la palla ti fa bruciare la mano vuol dire che l’hai colpita a cazzo, ti devi muovere con, con la mazza, e con la forza che mi dai, se io fossi la palla, devi andare nella stessa direzione, mai opporti a me se sono la palla, protendi la mazza e colpiscimi, dài, poetino e quando arrivo, se sono la palla, incomincia a indietreggiare con la mazza tesa su di me, in modo che tutti e due viaggiamo nella stessa direzione. Ma- mi guardò ancora stando sempre nella posizione 17- devi polarizzarti, polarizzati su di me come palla, toccami, questo migliorerà il tuo equilibrio e ridurrà l’oscillazione anche della mazza. Basta tener gli occhi sulla palla.
- Sì, questo lo faccio. Ma, a lungo andare, vista così la palla, toccarla mi dà sì un punto di riferimento e all’inizio stabilizzo, anche con l’aiuto della mazza tesa, il corpo, ma se sei la palla e non sei il filo, il mio (-phi) perde l’equilibrio…forse per via dei calzoncini…dissi sovrappensiero, quasi borbottando.
- Al tennista a volte serve toccare la linea di servizio con l’alluce, tu …toccami…con la testa della mazza…leggera…e poi sferra il colpo, non hai da seguire la testa dell’avversario, né sapere dove va la sua testa andrà il suo corpo, qui si tratta della palla e della mazza che hai in mano, e della tua testa, del tuo corpo, osservami come palla la linea di vita per avere i segni rivelatori del mio movimento di potenza se fossi stato il tuo avversario in un gioco di squadra, ma qui è come se fossi la palla o, al limite, la buca, se sono in questa posizione, guarda la punta del piede d’appoggio, tu sei a sud, la punta del mio piede d’appoggio è a ovest, colpisci la palla in quella direzione!
Per avere questa maestra  di golf, dovetti chiedere a un giornalista che si occupava di golf e che riuscì a trovare questa tipa e a convincerla a raggiungerci in Patagonia  grazie al fatto che aveva quasi il mio stesso cognome, ed era della zona del Lago Michigan, o forse insegnava golf in una di quelle università; io, quando l’amico mi indicò l’account della maestra, quando la vidi in assetto da golf-training[iv]  mi resi conto che il (-phi) di Lacan ha qualcosa che sottentra nella meccanica e nella prossemica del golf, anche nel nome, e fatta la sommatoria tra i nostri nomi identici, il nome del golf e il nome del (-phi); anche quando la feci vedere ad Aurélia, la tipa produsse lo stesso effetto patagonistico, ma lei non me ne sottolineò nessun punctum, disse semplicemente: -Ah, è questa, la maestra!...
Qualche giorno dopo, in attesa che la nostra ospite arrivasse, Aurélia mi chiese:
-Ti piace tanto il golf? …
-C’è spazio qui, che cosa ci facciamo, ci mettiamo a correre dalla sera alla mattina, o lo riempiamo di vacche e con tutta quella merda che fanno, sai come lo riduciamo il microclima?
-No. Facciamo arrivare una bella troia a insegnarti i rudimenti della palla e della mazza  e di come si sposta nel campo una di quelle bestie che nell’antica Sibari ha contribuito a rendere imperituro il nome di quella civiltà di coglioni depravati!
-Aurèlia, suvvia, dai, cosa vuoi che me ne freghi di questa tipa che, se vai a vedere, potrebbe essere pure mia cugina, una cugina americana, ci pensi?
RalphLauren golf
-Certo. Ci penso. Tu invece pensa se mi facessi arrivare qui un “cugino” tedesco, uno di quei cazzoni tedeschi per le esercitazioni militari, eh? Altro che golf. Le ore che tu impieghi  a imparare l’uso della mazza da golf, io le passo a fare esercizi militari, ti piacerebbe, poetazzo della mazza da golf?
Il golf, e questo è scientifico, come il capitolo relativo, il numero XX, dell’ Amore fra i polli[v], ha anche una certa risoluzione, anche per chi ha avuto l’idea di pigliarsi un mese o più di vacanza lontano dai campi da golf americani, per entrare in un periodo di sviluppo, prima, e di perfezionamento, poi, del (-phi) del poeta che si fa discepolo per allietare il suo oggetto “a”, di sicuro è che, dopo quelle lezioni, il mio punteggio scese  a  capofitto: all’inizio, quando arrivò la mia maestra,  lavoravamo a un così basso livello di rendimento che gli effetti collaterali delle vitamine e dei sali minerali non mi davano fastidio; ma era una delizia il circuito di allenamento con quel portento della mia maestra: saltare la corda, indietro da seduti, spingersi via rovesciati, sollevarsi da posizione prona, salire su un panchetto, spingersi via, dallo scioglimento al riscaldamento, quel farsi in modo calmo, compiendo gli esercizi indicati, uno dopo l’altro, e poi il circuito di allenamento, che era la fase 3, e poi quello di rallentamento, e anche questo con calma e cominciai lì a dare letizia al mio oggetto “a”, infine la flessibilità e l’allenamento cardiorespiratorio, che poteva essere eseguito in qualsiasi momento della  giornata, e che dava molto fastidio ad Aurélia, 3 o 4 giorni alla settimana, arrivava la mia maestra e via per il campo, lei così patagonica, in quella Patagonia infinita, ci si muoveva a  un ritmo abbastanza rapido da far salire la frequenza cardiaca all’80% del nostro massimo per 6-10 minuti, questo tipo di sforzo continuato si raggiungeva correndo, o facendo lo shummulo per lunghi tratti a ritmo relativamente lento, era lo shummulo lento su lunga distanza, o SHULD.
Il perfezionamento  che venne servì a dare all’aumento della massa muscolare ottenuta nello sviluppo la qualità necessaria per il golf.  L’uso della mazza, leggera o pesante che fosse, aveva bisogno del circuito di preparazione per sport di braccia, e perciò spinte in su contando fino a 8, piegamenti delle braccia, scalini con le braccia, spinte di schiena, oh gaudio, fatte con lei, la patagonica del Michigan, l’esercizio isometrico con le braccia e la semileva, e poi, a metà strada dello stadio di perfezionamento, avevamo sempre più voglia di prender parte a una partita amichevole, a basso livello, ma, devo dirlo, il (-phi) scoppiava sia a me che alla mia maestra, lo dicono anche nei manuali: l’ideale sarebbe una combinazione di esperienza di esercitazione-gioco con la vostra istruttrice, e si può interrompere la partita quando si vuole per lavorare o darci dentro, come diceva la mia maestra, su qualsiasi aspetto del nostro stile si voglia. Ci fu  un’ultima partita regolare con la maestra, le dissi che il  mio obiettivo consisteva nel mettere in pratica un nuovo stile di colpi e che non saremmo tornati in nessun caso al vecchio stile di gioco, che se era basato sulla posizione 17[vi], questo nuovo non l’avremmo di certo impostato sulla posizione 18, l’allievo spingeva sulla posizione 40, l’Attrazione della Patagonia, mentre la maestra fu irremovibile per la posizione numero 30, la Carriola della Patagonia, che aveva, indubbiamente, nel profondo della mia istruttrice, pulsioni afferenti all’Angelus di MIllet e alla libido patafisica di cui all’interpretazione “paranoico-critica” di Salvador Dalí[vii].
Quel giovane indiavolato di Mr. Garnet, ne L’amore fra i polli, col putter alzato, stava  per mettere in buca la palla del secolo, battendo l’esterrefatto professor Derrick, se questi non avesse acconsentito a perfezionare il dispositivo di alleanza concedendogli la mano e approvando il relativo  dispositivo di sessualità della figlia; la palla rotolò dolcemente fuori della buca e  il giovane indiavolato fu battuto dal professor Derrick per avere il consenso e la benedizione di poter mettere il (-phi) nella sua 18^ buca.


In questa altra immagine della golfista australianaAnna Rawson , si vede che è una longilinea mesomorfa: è alta 178 centimetri e per avere questo pondus deve avere gli hips almeno da 90, tanto che avremmo un indice costituzionale un po’ superiore a 50 (che è il valore base delle longilinee mesomorfe)   : 90 x 100=9000.178=50.50.  Il peso, che non troviamo indicato in nessuna scheda, dovrebbe essere pari a 65-66 chili, tanto che il suo indice del pondus sarebbe compreso in un valore medio-alto: 178- (90+65=)155= I.P.23, che equivale  a quello della più giovane Michelle Wie.
 
Anche noi, come Garnet, quando finimmo quella partita, tornammo  alla fattoria , volevo riversare la mia gioia con Aurélia. 
“Aurélia!” vociai.
Nessuna risposta. Spalancai l’uscio della sala da pranzo. Nessuno. Andai in salotto. Era vuoto. Cercai fuori in giardino e anche in camera da letto. Non era né qua né là. Sarà andata a farsi una passeggiata. Mormorai. Entrai in cucina e sul tavolo trovai un biglietto: “Non sapevo che amassi tanto la Carriola, dicevi che non ti convinceva la critica metafisica di Dalì, però devo dire che la Maestra è un portento e tu con la mazza pesante, con lei a indicarti la buca giusta, sei meglio che alla pallamaglio! Cazzone maledetto, tu che la tiravi tanto lunga con quel maledetto gioco della tua infanzia, ‘u zullaro[viii], vaffanculo, poetazzo del putter, tu e quella puttana da driver a 18 buche!”. Meno male che non era scritto in quechua.
Mi ero dedicato d’impegno al golf, in quell’ora di ambascia, aveva detto Mr. Garnet nell’Amore fra i polli. Il golf, aggiunse, e dovevo convenirne, a ragione, è lo sport degli innamorati delusi. D’altra parte, non è detto che un uomo fallito in amore valga qualche cosa sul campo. Lui era a metà del romanzo; io sono alla fine della storia con Aurélia Steiner d’Ushuaia: in questo, il golf è stato davvero scientifico: sulle prime, il mio gioco era decisamente scadente, forse per via del fashion style della mia maestra del Michigan. Ma, dopo quei circuiti di sviluppo e perfezionamento, la mia forma normale si poteva definire discreta, così ratificò la mia omonima del Michigan. Accesi la pipa, come aveva fatto mio nonno negli anni venti del secolo scorso, che non aveva mai giocato a golf in Patagonia, e me ne andai a camminare per i campi, nella fresca notte d’estate; poi, al ritorno, potevo vedere la finestra illuminata della maestra del golf, cioè dello sport che annulla la risoluzione combinatoria tra dispositivo di sessualità e dispositivo di alleanza nei confronti di un determinato fenotipo, ancorché sia il padrone dello stesso campo di gioco: la rividi con la mazza pesante in mano e con quegli shorts gialli dell’altro giorno, questo portento patagonico del Michigan, altro che Michelle Wie, nel silenzio profondo della notte, ogni tanto un fruscio nell’erba o di là nella siepe, il profumo dei fiori nel giardino dall’altra parte, il mare, sentivo anche il mormorio distante del mare, e di là, in Patagonia, sarebbe venuto fuori l’albeggiare, Aurélia Gurgur di Durazzo, cazzo se mi mancava, con quel suo eloquio che manco a Shën Vasili in Calabria, mi avrebbe sussurrato: “Nella mia lingua, agonè l’albeggiare, e patëè l’oca”; e io, come un fesso: “Dio fa queste notti, tutte bianche e silenti, perché si possa vedere il nostro oggetto “a” con gli short gialli e ascoltare un’altra stronza che era oca dall’albeggiare al tramonto”.
Ma in effetti era già l’alba e io, sorpreso di sentirmi le membra indolenzite, e gli abiti fradici di guazza, detti un ultimo sguardo alla finestra di Miss Michigan e me ne andai a letto a vedere nel mio cielo della Patagonia l’albeggiare della mia oca e maestra di golf, lo sport degli amori che finiscono, appena fai le 9 o le 18 buche a seconda del percorso.



Michelle Wie, in Yellow shorts,
lei sì che sa come rilassarsi...
[i] Ma anche quando metteva gli shorts gialli, come quelli che mette di solito Michelle  Wie, il rilassamento non era  mai attuabile nemmeno al 40%.
[ii] Pelham G. Wodehouse, Love  Among the Chickens, © 1906.
[iii]Dove, a detta di Aurélia, si faceva più shummulo, per via dello Chubut, che, si sente come shummula perverso per via dell’acqua che contiene.
[iv] Un assetto Ralph Lauren blu, ancor più patagonico, per il suo pondus mesomorfo, di quanto il modello appaia sulla cover della rivista “Golf" con questa tipa più ectomorfa della mia maestra..
[v] Il capitolo XX del romanzo citato  ha per titolo: “Golf scientifico”.
[vi] Evidentemente, ci si riferisce alla posizione della  Pecorina, così come è chiamata, nel Foutre du Clergé deFrance(1790).  La 18, anche se richiama le 18 buche, sarebbe stata quella della Carezza del tenero amico, ma, in questo caso, ad impugnare il putter o il driver avrebbe dovuto essere la Maestra. La numero 40, nel testo citato, sarebbe l’Attrazionedi Milano; la 30 è semplicemente la Carriola, così patagonica nel Mito dell’Angelus di cui alla teoria di Dalí(cfr. nota successiva).
[vii] Cfr. Salvador Dalí, Le Mythe Tragique  de l’Angélus de Millet, Société Nouvelle des Editions Pauvert,© 1963.
[viii]Cfr. Massimo Cirri  Il Minigolf • V.S.Gaudio ‚'U Zùllaro in "Uh Magazine", 2013/09.


Michelle Wie la patagonica longilinea mesomorfa|1.85 x 68|, uno stato morfologico che tira su un indice del pondus medio-alto: attorno a 23 [altezza 185 cm. – ( pondus 94 cm + peso kg 68=)162=23], che è compreso nella forchetta 26-21, il valore è decrescente, si fa più alto verso il valore più basso; l’indice costituzionale dovrebbe aggirarsi sul valore base della longilinea mesomorfa standard, tra 50 e 50.8: hips 94cm x 100= 9400: altezza 185= 50.8.

Osvaldo Soriano e il calcio patagonico del nonno ♦

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Anche nei suoi racconti, come in quelli di Chatwin, Coloane e Sepúlveda, la Patagonia c’è. C’è coi suoi laghi di sogno e i suoi boschi pietrificati alla frontiera con il Cile: i cervi e gli uccelli giganti simili ai pappagalli che parlano la lingua degli indios, i chimangos che volteggiano all’orizzonte, i guanachi che ti sputano addosso.
Lo scrittore argentino Osvaldo Soriano (1943-1997) era innamorato di Evita Peron sin da bambino; e sino a piangerne la morte prematura. La conosceva “tutta bionda, dalle fotografie e dai notiziari al cinema”. Una foto di lei la teneva nella stanza. E suo padre, che ne odiava il marito, il colonnello Peron, presidente dell’Argentina, la riempiva sempre di insulti.
Soriano aveva una grande passione per il calcio. L’ha pure giocato, anche se non a grandi livelli. E di una partita – allucinante, fantasmatica, fuori d’ogni regolamento – racconta in Pensare con i piedi.
Si giocò nella Patagonia argentina nel 1942. Una partita di cui la storia non lascia traccia. Anzi, più partite furono giocate quell’anno, un vero “Mondiale”. Il mondiale del 1942 che non figura in alcun libro e di cui mai nessuno ha dato notizia. Lui non era ancora nato: e per il racconto dell’avvenimento si affida alle memorie del nonno, segnalinee di quella finale che durò un giorno e una notte.
Non c’erano né sponsor né giornalisti e, a un certo punto, dal campo di calcio sparirono sia il pallone che le porte. Per ricomparire al momento decisivo. Si scendeva in campo con il coltello nascosto. I difensori tiravano sassi o spezie negli occhi agli attaccanti avversari quando si avvicinavano all’area di rigore e li pungevano con spilli nelle mischie. Si giocava dunque con i sistemi più sleali, in campi ai limiti della praticabilità e senza linee per delimitare l’area di rigore. Con l’arbitro che sparava per fischiare i falli e che puntava la pistola contro i giocatori quando ne temeva l’aggressione. Le partite non finivano mai.
In quel “Mondiale” i tedeschi, venuti in Patagonia per portarvi il telefono, e volevano che le partite si disputassero nei posti dove già l’avevano istallato per comunicare al Führer le loro vittorie, superarono in semifinale gli italiani emigrati in Argentina, come prima avevano battuto gli emigrati degl’altri paesi europei, ma persero la finale con gli indios mapuches scesi dalle Ande.
Un’altra partita allucinante si giocò a Ushuaia, la città più meridionale del mondo nella Terra del Fuoco, tra socialisti e comunisti. Diretta (si fa per dire) da un arbitro che leggeva i libri di Hegel e di Spinoza e li usava come cartellini da mostrare ai giocatori scorretti. O da lui ritenuti tali, secondo criteri del tutto discutibili.
Si sedeva a terra e spiegava ai giocatori cosa Spinoza pensava “dell’amore, dell’invidia e della gelosia”. I socialisti difendevano il vantaggio a denti stretti e i comunisti, a un certo punto, avevano rinunciato a pressare perché il pareggio non serviva a nessuno. Avevano stabilito infatti – pensate un po’ – che la vittoria di una delle due squadre avrebbe messo fine alle loro dispute politiche e a trovare un accordo, quando l’arbitro sparò un colpo di pistola per fischiare il rigore a favore dei comunisti tra lo stupore e l’incredulità di tutti.
Sarebbe stato pareggio.
Ne scaturirono infinite discussioni e una confusione tale da favorire l’intervento della polizia cilena e di una colonna dell’esercito argentino. Tutti furono arrestati, pure l’arbitro filosofo. Aveva inventato il rigore temendo che, per la sconfitta dei comunisti, uno di loro non avrebbe mantenuto la promessa che gli aveva fatto prima della partita: di farlo imbarcare su una nave per il Nord America. Dove l’arbitro voleva andare.
Osvaldo Soriano scriveva di notte, in compagnia del proprio gatto, e dormiva di giorno sino al pomeriggio. È stato giornalista dell’Opinion finché non ha dovuto per ragioni politiche lasciare l’Argentina e trasferirsi a Parigi. Si era alla metà degli anni Settanta. Molti dei suoi libri, tra cui Pensare con i piedi, sono pubblicati in Italia da Einaudi. È stato amico di Eduardo Galeano, altro scrittore sudamericano che amava il calcio e che pure ne ha scritto.

Idiomatica del Prosciutto e del Culatello ▌

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Idiomatica Proibita
In 2 battute di  Mia Nonna dello Zen

I.                   “Pover’ammìjëaddìttë prësūtt, quann s’à-vvìst di-cānëpigliā!”
II.                 “Pènz ‘nu pōkë së jerësë Culatīll!”
¯
 I.                    “Povero me, disse Prosciutto, quando si vide preso dai cani!”
II.                 “Pensa un po’(cosa ti sarebbe successo) se fossi stato Culatello!”

 


 

Migrazione dell’Uccello di Mandelbaum ⁞

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Edgar Hilsenrath,
Orgasmo a Mosca,
Voland, Roma 2016
La Lebenswelt con EdgarHilsenrath Preparativi, Ingredienti e Scheda pulsionale di Szondi per l’ Orgasmo a Mosca
by V.S. Gaudio
 

Faccio una Lebenswelt con Edgar Hilsenrath – quello di Orgasmo a Mosca– e naturalmente che ci posso mettere dentro? Innanzitutto passa tutto attraverso il cazzo di Mandelbaum, che posso farci?, Mandelbaum, lo sapete no?, equivale a “mandorlo”, e , senza arrivare alla mandorla e nemmeno a Philippe e a Philippine dell’argot[i], è un cognome inequivocabile, è come la libido geografica dell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari, se ve lo ricordate, o, meglio, ve lo ricordo io: prendete il cazzo di Mandelbaum, che, parte da Mosca e deve arrivare in America, ed è un uccello magnifico, a detta della signorina che, gravida, l’ha mandato a prendere, tramite il corriere del padre,  che è nientemeno che Nino Pepperoni, boss dei boss della mafia americana, insomma è tutto legale, quell’uccello va spostato e sposato prima che nasca il frutto del mandorlo e della Pepperoni.
Questo cazzo di Mandelbaum è una cosa seria, intanto se io lo scrivo e lo metto qui sul web, se ci rimetto sulla sidebar, o sotto il post, la pubblicità AdSense, questi, come vedono questo cazzo di Mandelbaum, che è enorme, stando a quel che dice il corriere che è andato a prenderlo, Schnitzel, che, prima di mandarcelo, l’hanno castrato, e il bello è che lui si chiama “Ritaglio”, poi se vai in cucina sarebbe Schnitzel, “scaloppina”: non è singolare?, insomma dicevo che quelli di Google, se vedono ‘sto cazzo, mi mandano subito l’email che ho violato le norme, le norme della pubblicità che consiste in questo: più o meno, nonostante abbia milioni di visualizzazioni, se non ti cliccano la pubblicità non esce niente e, aspettate, per uscire qualcosa, con ritmi di visualizzazioni pari alla lunghezza del cazzo di Mandelbaum, niente, ci vogliono almeno due o tre anni per fare 70 euro, e quindi questi ti rompono il…, scusate: ti mandano l’avviso per niente, un clic, sarebbe forse manco un centesimo, e invece il romanzo con tutto quel cazzo, purché viene preso in libreria, nessuno gli dice: ma signor Hilsenrath, mamma mia quanto cazzo, e quella troia di Anna Maria Pepperoni poi, e il castrato, e la sposa, che dovrebbe essere romena e di sicuro è abbondante con le tette sode anche senza reggiseno, non avrà avuto più di vent’anni,  quando Mandelbaum passa in Ungheria, che si fa smandorlare dal Mandorlo perché lo sposo ungherese purosangue che Schnitzel, che aveva la nonna ungherese,  se non fosse stato castrato, se lo vorrebbe inculare lui, lì nei ritagli della notte,  si è addormentato e si è dimenticato della mandorla della sua Philippine rumena, e se non ci fosse stato a volare di là quel grande uccello russo di Mandelbaum, sarebbe stata sì una vergogna, anche in terra di confine e di passaggio, lo sposo dorme, gli aveva detto Schnitzel e quella piange per la vergogna ma hai visto che gambe e che poppe che ha? E allora Mandelbaum ha infilato il lungo cazzo duro nella figa bagnata della sposa, e questo, disse  il castrato: presumo che fosse la figa, perché la sposa ha cacciato un urlo, ha slanciato all’indietro le braccia che prima teneva avvinghiate al collo di Mandelbaum, ha sollevato di scatto le gambe scalciando per aria, ha strabuzzato gli occhi, inarcato la schiena e urlato una seconda volta, e quando ho riattraversato di soppiatto la cucina, l’autista si muoveva ritmicamente sopra Anisoara…ma signor Hilsenrath, basta, per carità tolga questo grande uccello altrimenti…la pubblicità si offende e non gliela facciamo volare più nel suo cielo!
Comunque, è un po’ come i Promessi Sposi, a pensarci, quello di Piero Chiara, forse,  tant’è vero che come mette piede nella Terra del Ritorno, a Mandelbaum  non gli si erige più: veramente, non vi sto a spiegare perché, ma devono passare e sposarsi in Israele, e la faccenda adesso è questa: quando era a Mosca, all’ebreo Mandelbaum il mandorlo fioriva che ogni passaggio al meridiano uno si fermava a rimirarlo: e cazzo, che cazzo di primavera è questa, mai visto un mandorlo così in fiore! Pure nei vari stati attraversati, stando alla testimonianza di Ritaglio, il promesso sposo di Anna Maria Pepperoni, che è mingherlino, come in fondo, se non guardate i fiori, è mingherlino il mandorlo, fa vedere al lettore il dispositivo di sessualità per il quale Anna Maria deve legalizzare il dispositivo di alleanza, insomma Anna Maria ha perso la testa per uno come Mandelbaum e non si riesce a capire perché: il padre non lo sa, la madre nemmeno, il corriere man mano capisce e scopre la verità: Anna Maria ha perso la testa per il grande uccello di Mandelbaum, che è bella come immagine, se vi fermate a rimirarla: il Mandorlo con un Uccello mai visto da queste parti, ma che dico da queste parti, l’abbiamo visto a Mosca, e Anna Maria, che di uccelli a New York cazzo se ne ha visti e beccati, e anche in altre parti dell’America, a un certo punto all’inizio pare che sia a Pittsburgh, dove, si sa, non c’è un uccello che vola nemmeno  a pagarlo a peso d’oro, una che ha preso questo uccello a Mosca  e dice che è volata con lui nel cielo sopra Mosca e dintorni, cazzo già che c’era, poteva ri-direzionarlo  quel gran pata-uccello
verso le Americhe e avrebbe fatto risparmiare al padre tutto quel dispendio e quello spiegamento di dollari per farlo emigrare di soppiatto, e strisciando,  grazie alla perizia geografica di Ritaglio, prima, e, poi, dell’arabo Kebab, che è un uomo distinto e colto ma che, detto tra noi, gli piace montare gli asini, e questo, giura chi l’ha visto, sarebbe bello da vedere,anche se Giovanna I d’Angiò ad Amantea in Culabria già nel XIII secolo aveva postulato la proairetica dell’asino che vola [per via dell’uccello], e questa è da “umanesimo di Stato”, che attiene sempre alla pulsione “s” di Szondi [vedi la scheda delle pulsioni qua sotto] ma, quantomeno, non è il ciuccio ad essere montato!
Allora, questa Lebenswelt, la sto preparando, intanto ecco gli
ingredienti:
-          Un grande uccello sul Mandorlo a Mosca
-          Mandorlo o Mandelbaum
-          Un castrato, Schnitzel, o Ritaglio
-          La scala antincendio in America, e il Four Roses
-          Mosca
-          New York
-          Pepperoni
-          Pepperona inseminata
-          Slivovitz, l’avvocato tuttofare di Pepperoni, e la parrucca
-          Mӑmӑliga(una specie di polenta romena)
-          Cetrioli ungheresi sottaceto
-          La Terra del Ritorno, Israele
-          Kebab e gli asini
-          Terre di transito: Romania, Ungheria, Austria, Turchia, Armenia, Italia
-          L’uccello fiacco, l’anatra zoppa, sul Mandorlo a Tel Aviv
-          Il presidente del consiglio italiano che si gratta il sedere e  deve salvare Pepperoni & Pepperona, la mafia americana
-          L’uccello sul Mandorlo vola in quattro o cinque terre di transito
-          La Pepperona  anche in Italia è stata disseminata
-          Nella terra del Ritorno l’uccello di Mosca sul mandorlo che era patagonico è pata-agonico
 

 
            ○ NomenKlatura della Lebenswelt

1. Il Grande Mandorlo di Mosca a Tel Aviv. Rotazione e ciclo colturale del Cazzo.
            2. Agraria della castrazione e emigrazione del Grande Uccello.
            3. Dal Kolchoz al Kibbutz: psicosomatica del rinsecchimento immediato del    Grande Mandorlo russo.
            4. Pepperoni Spa. Agraria, emigrazione, geografia sulla rotta del Grande Uccello di Mosca

  Fattori pulsionali di Ritaglio, Miss Pepperoni e Gran Mandorlo Russo

Fosse passato al confine tra Romania e Ungheria l’altro ungherese, Leopold Szondi, quello dell’ Introduction à l’Analyse du Destin│©1972, trad.it. Asorolabio-Ubaldini 1975ci avrebbe lasciato qualche appunto sui vari fattori pulsionali degli attanti della storia: Schnitzel, con la pulsione “s”, bisogno di aggressività e di ratto, che viene rapito e castrato, sadico e pederasta, socializzata la sua pulsione di omicida sadico avrebbe potuto fare, e difatti fa, di tutto: macellaio, chirurgo, passa ferri, boscaiolo, carrettiere, guardiano di zoo, lottatore, massaggiatore, autista, cacciatore, soldato, addirittura colono, vai a vedere: sarà andato anche lui in Israele; Anna Maria Pepperoni è dentro la pulsione di sorpresa, tra esibizionismo e voyeurismo, una pulsione combinata tra “e” e “hy”, dalla panettiera alla modella, in sublimazione una di quelle zoccole che smettono di acchiappare uccelli quando la bi-pulsione è contratta tra umanesimo religioso e arte drammatica, tanto che questa troia esplosiva può convertire l’isteria di conversione in catatonia, specialmente durante le orge cui partecipa nell’attesa che arrivi il Grande Uccello di Mosca, d’altronde siamo nell’ambito della pseudologia fantastica che, drammatizzata, porta all’esagerazione e all’univocizzazione dell’Orgasmo Assoluto a Mosca abbinato al codice catastale dell’ inseminazione generativa; il cazzone russo è dentro la pulsione “k”, quella del narcisismo primario, che, socializzata, produce ruoli come insegnante, professore di matematica, fisica, filosofia, economia politica, ingegnere, critico d’arte, libraio, tipografo, impiegato postale, ma anche soldato e contadino; in sublimazione, il grande mandorlo , quando non è in fiore o addirittura si secca, riflette, filosofeggia o fa matematica, se non estetica fino alla metafisica, e, comunque, con quel gran cazzo che può sempre far passare al meridiano dell’oggetto “a”, in sintomatologia può esprimere tratti temporali in cui rifiuta di lavorare, o non può lavorare, potrebbe vagabondare, certamente come avrebbe potuto fare il flâneur a Tel Aviv?, e nei ritagli di tempi praticare il furto con scasso, quando non ci sono spose rumene al confine ungherese da onorare mentre lo sposo fresco sta già dormendo alla prima.
Edgar Hilsenrath, Moskauer Orgasmus© 1979
Trad.it. Orgasmo a Mosca, trad. di Roberta Gado, Voland, Roma 2016
Trad.fr. Orgasme à Moscou, èditions Attila 2013



[i]Non dimentichiamo che la radice di “Mandelbaum”, che, in tedesco, è il “mandorlo”, in lingua russa è :мандӑ(leggi: “mandà)f. volg., figa, fregna, mona.  Mandorlo” è: миндӑль(leggi: “m’indàl’”) e миндӑльничание(leggi: “m’indàl’n’ician’ije”) corrisponde a “effusioni sentimentali; accondiscendenza; complimenti.Il “ricavato dimandorle”, che è quello che, prodotto in quell’orgasmo assoluto, ha ingravidato l’americana Pepperoni,  si chiama “m’indàl’nyj”: миндӑльный; starebbe anche per “dolciastro”, “mellifluo”.
 

 
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